Figure retoricheLe FIGURE RETORICHE sono particolari forme espressive, artifici del discorso volti a dare maggiore incisività e un particolare effetto sonoro o di significato ad una descrizione, un’immagine, una sensazione, una emozione, ecc. Si distinguono tradizionalmente le seguenti categorie di figure: figure di contenuto: L’idea viene espressa in maniera più calzante ed evocativa, usando un’immagine che ha con essa una relazione di somiglianza. Tra le più usate: allegoria, antonomasia, catacresi, iperbole, metafora, metonimia, perifrasi, personificazione, prosopopea, similitudine, sineddoche, sinestesia. figure di parola e di pensiero: Le parole vengono disposte nel verso con una tecnica particolare (figure di parole) riproducendo speciali effetti. Quando invece le proprie idee vengono arricchite di sfumature personali si hanno le figure di pensiero. Tra le più usate: allitterazione, anadiplosi, anafora, anastrofe, asindeto, chiasmo, climax, enallage, endiadi, epanadiplosi, figura etimologica, ipallage, iperbato, onomatopea, paronomasia, poliptoto, polisindeto, raddoppiamento, ripetizione, zeugma (di parola ); e : antitesi, eufemismo, ironia, ossimoro (di pensiero ) figure di sentimento: L’intensità dello stato d’animo poetico viene posto in rilievo modificando un suono o trasformando la struttura del verso. Le principali sono: apostrofe, epifonema, esclamazione, interrogazione, ipotiposi. Esistono centinaia di figure retoriche, e tra queste, in ordine alfabetico: Allegoria ; Allitterazione; Anadiplosi/raddoppiamento ; Anafora ; Analessi ; Analogia ; Anastrofe ; Antifrasi ; Antitesi ; Antonomasia ; Chiasmo ; Climax ; Ellissi ; Enfasi ; Eufemismo ; Ipallage ; Iperbole ; Iperbato ; Metafora ; Metonimia ; Onomatopea ; Ossimoro ; Paronomasia ; Prosopopea/personificazione ; Similitudine ; Sineddoche ; Sinestesia. L’allegoria (dal greco allon “altro” e agoreuo “dico” = "dire diversamente"), è la figura retorica (di contenuto) mediante la quale un concetto astratto viene espresso attraverso un'immagine concreta. E’ stata definita anche “metafora continuata”. Tra le allegorie tradizionali è celeberrima quella della nave che attraversa un mare in tempesta, fra venti e scogli ecc.: rappresenta il destino umano, i pericoli, i contrasti ecc., mentre il porto è la salvezza. Esempi: Nella Divina Commedia, Dante racconta un viaggio immaginario nel mondo dell'aldilà, che significa allegoricamente l'itinerario di un'anima verso la salvezza cristiana. Tutto il poema è infatti visto come un'allegoria.
Nel Canto notturno, di Leopardi, in cui v'è una stupenda allegoria tra il vecchierel, bianco, infermo... e la vita umana: “..Vecchierel bianco, infermo, mezzo vestito e scalzo, con gravissimo fascio in su le spalle, per montagna e per valle, per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, al vento, alla tempesta, e quando avvampa l'ora, e quando poi gela, corre via, corre, anela varca torrenti e stagni, cade, risorge, e più e più s'affretta, senza posa o ristoro, lacero, sanguinoso; infin ch'arriva colà dove la via e dove il tanto faticar fu volto: abisso orrido, immenso, ov'ei precipitando, il tutto oblia. Vergine luna, tale è la vita mortale...” (G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, vv.21/38)
L'allitterazione (dal latino adlitterare, che significa "allineare le lettere") è la figura retorica (di parola) che consiste nella ripetizione di una lettera, di una sillaba o più in generale di un suono all'inizio o all'interno di parole successive (Coca Cola, Marilyn Monroe, Deanna Durbin, Mickey Mouse). Pone l'attenzione sul legame fonico che lega più parole.
Esempi: "..di me medesmo meco mi vergogno.." (F. Petrarca, Canzoniere, SonettoI, v.11) allitterazione della lettera "m". "..La madre or sol, suo dì tardo traendo,.." (U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni, v.5) allitterazione con le lettere "s", "t" e "do". "Fr/e/sche le mie parole ne la s/era (G. D’Annunzio, La sera fiesolana, vv.1-4), allitterazioni di "f", "s", dei gruppi "fr" e "sc" e la ripetizione-iterazione della "e". “Col mare mi sono fatto una bara di freschezza”. (G. Ungaretti, Universo) “..Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell’aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell’umida sera..”. (G. Pascoli, La mia sera, vv 13-16) L’anadiplosi (dal greco anadíplosis = "raddoppiamento") è la figura retorica (di parola) che consiste nella ripetizione di uno o più elementi terminali di un segmento di discorso, all'inizio del segmento successivo.
Esempi: “..Ma passavam la selva tuttavia. “..ma la gloria non vedo non vedo il lauro e 'l ferro ond'eran carchi..” (G. Leopardi, Canti, «All'Italia», vv. 4-5) “..Amore, amore, assai lungi volasti “C'è un fanciullo che incontro nelle mie povera mano, la città è morta. È morta...". (S. Quasimodo, Giorno dopo giorno, vv.1-3)
L'anafora (dal greco anaphérō, “riporto, ripeto”) è la figura retorica (di parola) che consiste nel ripetere una o più parole all'inizio di segmenti successivi di un testo (periodi, sintagmi, frasi ), per sottolineare un’immagine o un concetto.
Esempi: “..Tu fiore non retto da stelo,
“Per me si va nella città dolente, per me si va nell'eterno dolore per me si va tra la perduta gente…” (Dante Alighieri, Divina Commedia - Inferno - Canto III, vv 1-3)
“..Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona Caina attende chi a vita ci spense…” (Dante, Divina Commedia - Inferno - Canto V, vv 100-107)
“..Ascolta. Piove salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, (G. D’Annunzio, La pioggia nel pineto, vv.8-32)
Si ha l'analessi (dal greco análēpsis, “prendere nuovamente” nel senso di fare una restrospezione o flashback = lampo all'indietro) quando nella narrazione vengono ricordati eventi passati mentre il tempo reale scorre. L'analessi perciò è un rivolgimento della struttura della fabula cioè della sequenza logica e cronologica degli avvenimenti e può essere introdotta nel corso del racconto da demarcatori temporali del tipo "Alcuni anni fa" in opposizione a "ora", oppure da verbi come "ricordare", "pensare".
Esempi: Nell'Iliade, il narratore, dopo aver evocato la contesa fra Achille e Agamennone, punto di partenza del suo racconto, ritorna indietro di una decina di giorni per esporne la causa in una quarantina circa di versi retrospettivi.
Un racconto quasi interamente basato sull'analessi è La cognizione del dolore di Gadda. In quest'opera infatti continuamente la narrazione si interrompe per recuperare episodi del passato.
L’Ulisse di James Joyce o Alla ricerca del tempo perduto di Proust sono altri chiari esempi di utilizzo di analessi.
L’analogia è l'accostamento immediato di due immagini, situazioni, oggetti tra loro lontani di somiglianza, basato su libere associazioni di pensiero o di sensazioni piuttosto che su nessi logici o sintattici codificati. Come l'ungarettiana "balaustrata di brezza". Nella poesia tradizionale l'analogia era espressa mediante la similitudine, che veniva introdotta dalle particelle correlative «come…, così… ( tale )». I nuovi poeti sopprimono le particelle correlative e fondono insieme nell'analogia i due concetti. L'uso dell'analogia è molto antico e frequente e coincide in qualche misura con la metafora. L’uso frequente dell’analogia è una delle caratteristiche della poesia ermetica.
Esempi: “..Tornano in alto ad ardere le favole..” (Ungaretti, Stelle, v.1): tornano in cielo a splendere le stelle, belle come le illusioni (le favole) che addolciscono la vita.
“..Si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi..” (Montale, Meriggiare pallido e assorto, vv.11-12): dai picchi nudi di vegetazione come una testa calva si levano i canti delle cicale che sono come tremuli scricchiolii. L'anastrofe (dal greco anastrophē, inversione/rovesciamento) è la figura retorica (di parola) che consiste nell’inversione dell'ordine naturale delle parole all'interno di un verso, per dare rilievo ad una parola che viene ad essere anticipata. È affine all'iperbato ma, a differenza di esso, non implica l'inserimento di un inciso tra i termini.
Esempi: “..Allor che all'opre femminili intenta sedevi, assai contenta ..” (Leopardi, Canti, A Silvia, vv.10-11) “Mi scosse, e mi corse
L'antìfrasi (dal greco antí, “contro”, e phrásis, “locuzione” = espressione contraria) è una figura retorica consistente nell'usare un'espressione per significare l'opposto di ciò che in realtà si vuol dire, per cui una voce viene usata in senso opposto al suo vero significato. Si ricorre a questa quando si vuole caricare di ironia un aggettivo attribuendogli il significato opposto di quello che ha solitamente. Così ad esempio i Greci diedero superstiziosamente il nome di Eumenidi (le benevole) alle Erinni.
Esempi: Dante la usa per rendere più evidente il suo amaro sdegno quando si rivolge a Firenze per denunciare le infelici condizioni in cui si è ridotta per le lotte intestine, frutto di un conflitto politico dissennato: “Or ti fa lieta, ché che tu hai ben onde: tu ricca, tu con pace e tu con senno” (Dante, Purgatorio, VI, vv. 136-137)
L'antitesi (dal greco antìthesis, "contrapposizione") è una figura retorica di pensiero che consiste nell’ottenere il rafforzamento di un concetto aggiungendo la negazione del suo contrario (Lavorava di notte, non di giorno) oppure accostando due parole o concetti opposti (temo e spero).
Esempi: “..Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; non rami v'eran, ma stecchi con tosco..” (Dante, Inferno, XIII)
“Pace non trovo e non ho da far guerra; e temo e spero; e ardo e sono un ghiaccio; e volo sopra 'l cielo e giaccio in terra; e nulla stringo e tutto 'l mondo abbraccio…” (F. Petrarca, Canzoniere, CXXXIV, vv.1-4)
“..So che non foco, ma ghiaccio eravate, (V. Cardarelli, Illusa gioventù, vv 7-10) “..Ma come, o Vecchio, un giorno fu distrutto (Guido Gozzano, L’analfabeta, vv.121-124) L'antonomàsia (Dal greco antonomàsia =: «diversa denominazione», composto da: anti= invece; onoma=nome) è una figura retorica (di contenuto) con la quale ad un nome si sostituisce una denominazione che lo caratterizza. Si può sostituire un nome comune, un epiteto (aggettivo) o una perifrasi ad un nome proprio o al nome di una cosa e viceversa. Alcuni esempi: "il segretario fiorentino" (Machiavelli), "il padre della lingua italiana" (Dante), "la città celeste" (il Paradiso), "il principe delle tenebre" (il diavolo), "l'eroe dei due mondi" (Garibaldi), "il sommo bene" (Dio). Per converso, talvolta l'antonomasia consiste nella sostituzione di un nome comune con uno proprio: 'un Giuda' per 'un traditore', 'un Ercole' per 'una persona molto forte'. Esempi: “..i voi pastor s'accorse il Vangelista, (Vangelista = San Giovanni Evangelista) (Dante, Inferno, XIX, vv.106-108) (Francesco Petrarca, Canzoniere, LXXV, vv.3-4) (l'antiqua madre = la terra) (Ludovico Ariosto, Orlando furioso, II, XXXIII, vv.5-7)
(Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, IV, I, vv.1-4)
(Ugo Foscolo, All'amica risanata, vv.82-84)
(Giosuè Carducci, Agli amici della Valle Tiberina, vv.49-50)
(Giosuè Carducci, Heu pudor!, vv.13-14)
Il chiasmo (dal greco chiasmòs, derivato a sua volta dalla lettera dell'alfabeto greco χ -chi -, che illustra graficamente la disposizione incrociata degli elementi del chiasmo) è la figura retorica (di parola) che consiste nel disporre, in forma di incrocio, di X, gli elementi costitutivi di una frase , in modo da rompere il normale parallelismo delle parole, creando un incrocio immaginario tra due coppie di parole, in versi o in prosa, secondo il modello A, B, B1, A1. E' quindi un parallelismo capovolto in cui i due elementi del discorso concettualmente paralleli sono disposti in ordine inverso. Ecco un esempio: io solo / combatterò, procomberò sol io (Leopardi): in io solo combatterò l'ordine è soggetto-predicato, in procomberò sol io è predicato-soggetto. La corrispondenza degli elementi disposti in ordine inverso può riguardare sia il piano grammaticale che quello semantico. Il chiasmo può essere: A. chiasmo piccolo, quando sono posti in corrispondenza parole o sintagmi; B. chiasmo grande, quando sono poste in corrispondenza intere frasi. Si distinguono inoltre: A. chiasmo semplice: quando gli elementi disposti specularmente tra di loro hanno la stessa funzione sintattica nei due membri; B. chiasmo complicato o antimetabole: permutazione nell'ordine delle parole con capovolgimento di senso: Chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha fame (incrocio semantico con parallelismo sintattico e specularità delle corrispondenze di significato); Se è caldoraffreddalo e riscaldalo se è freddo (incrocio sintattico con specularità delle funzioni sintattiche e parallelismo delle corrispondenze di significato). Esempi: “..Viva (A) la fama (B) loro (C); e tra lor (C) gloria (B) splenda (A) del fosco tuo l'alta memoria.” (Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, XII, 54). “Le donne (A), i cavallier (B), l'arme (B1), gli amori (A1)..” (Ludovico Ariosto, L'Orlando furioso, canto I) dove le donne sono legate agli amori e i cavalieri alle armi.
(F. Petrarca, Canzoniere, sonetto 134) “..Il vento (A) soffia (B) e nevica (B) la frasca (A)..” (Giovanni Pascoli, Lavandare, v.7)
“..il pudor (A) mi fa vile (B) e prode (B1) l’ira (A1)..” (U. Foscolo, Il proprio ritratto, Sonetti, VIIbis, v.11) “..la fuga e la vittoria, (A. Manzoni, Il cinque maggio, vv.45-48 ) in cui a "vittoria" e "reggia", momenti di gloria, si contrappongono "fuga" e "tristo esiglio", a delimitare gli estremi nella vita di Napoleone, in una sorta di X. “UNO PER TUTTI (Alexandre Dumas. I tre moschettieri) si può notare chiaramente la disposizione a X delle parole: basta infatti tracciare due linee, una che unisca le parole "tutti" e un'altra che unisca le parole "uno", per ottenere una X.
“..odi greggi belar, muggire armenti..” (G. Leopardi, Il passero solitario, v.8) in questo verso di Leopardi, l'ordine parallelo "sostantivo + verbo" è stato rotto per costruire uno schema incrociato "sostantivo + verbo/verbo + sostantivo".
“..né il sol più ti rallegra né ti risveglia amor..” (G. Carducci, Pianto antico, vv.15-16); il chiasmo si ha tra la parte nominale delle due proposizioni parallele (sol, amor) e la parte verbale (rallegra, risveglia). “..Trema un ricordo nel ricolmo secchio, nel puro cerchio un'immagine ride..” (E. Montale, Cigola la carrucola del pozzo, vv.3-4); il chiasmo riguarda la disposizione degli elementi sintattici: verbo (trema /ride) - soggetto (un ricordo/un'immagine) - complemento (nel ricolmo secchio/nel puro cerchio). “..con tonfi spessi e lunghe cantilene..” (G. Pascoli, Lavandare, v.6); in questo caso invece la relazione si instaura da una parte tra i due sostantivi, e dall'altra tra i due aggettivi: tonfi/cantilene; spessi/lunghe.
La climax (dal greco klímax, «scala»), detta anche gradazione (gradatio, gradus passo in latino) è una figura retorica (di parola) che consiste nell’accostamento di termini o locuzioni semanticamente affini per perseguire l’effetto di un’intensità espressiva crescente. Se l'intensità è decrescente si parla di anticlimax o climax discendente o gradazione discendente. Un simile procedimento risulta particolarmente efficace soprattutto in poesia, dove l'intensificazione del concetto attraverso la progressione naturale dal vocabolo più debole al più forte è incrementata in modo significativo dai valori fonici e ritmici delle parole. Esempi: “..Quivi sospiri, pianti ed alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai…” (Dante, Inferno, III, vv.22-23) I 3 termini: sospiri, pianti e alti guai (lamenti), sono graduati per intensità crescente. “..O mia stella, o fortuna, o fato, o morte, o per me sempre dolce giorno e crudo, come m’avete in basso stato messo.” (F. Petrarca, Canzoniere, CCXCVIII, vv.12-14)
“…..Così tra questa immensità s' annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare.” (G. Leopardi, Infinito,vv.13-15) In questo caso si attua una gradazione in senso discendente (Anticlimax) attraverso immensità-s'annega-naufragar, che anche ritmicamente riproducono un progressivo abbandono della mente.
“Don ... Don ... E mi dicono, Dormi! (G. Pascoli, La mia sera, vv.33-35) “..Fermava il volo sopra la sua tomba, (G. Pascoli, Poemi Italici, Rossini, Canto II) L'ellissi (dal greco élleipsis “omissione/mancanza”) è una figura retorica (di parola) che consiste nell'omettere, all'interno di una frase, uno o più termini che sia possibile sottintendere, per conseguire un particolare effetto di concisione e icasticità o effetti di attesa e di tensione. E' molto usata nella narrativa ma anche nella poesia ove riguarda soprattutto il verbo.
Esempi: “..Ai posteri l'ardua sentenza..” (A. Manzoni, Il cinque maggio, vv.31-32) Manzoni omette il verbo 'toccherà'.
“..Rivedo i luoghi dove un giorno ho pianto: (G. Pascoli, Pensieri, Il passato, Myricae) nell’ultimo verso vi è l’ellissi del verbo che è sottinteso ma facilmente intuibile.
In narratologia indica l'omissione di qualche segmento della storia narrata: Dante, nel III canto dell'Inferno, non racconta come abbia superato l'Acheronte.
L'enfasi (dal greco èmphasis, da empháinō, «esibisco, mostro») è una figura retorica di tipo sintattico che consiste nel mettere in particolare rilievo un termine o una frase, in modo da sottolinearne il significato e le implicazioni, lasciando intuire più di quanto non venga esplicitamente detto. Nella frase Lui sì che è un amico l'enfasi mette in evidenza le implicazioni della parola amico, nella frase il sangue non è acqua si sottolinea l'importanza dei legami di sangue. Carlo mi piace: è un uomo!: è sottinteso che si tratta di un uomo coraggioso. Nel linguaggio parlato l'enfasi si accompagna a un aumento di intensità della voce e dei gesti. Esempi: (T. Tasso, Gerusalemme liberata, Canto XIX, v.318) l’enfasi consiste nel rendere più intensi i concetti di vivere e regnare.
“..Sì, se l’arroganza dei vostri pari fosse legge per i pari miei..” (Manzoni, I promessi sposi, Cap. IV) l’enfasi consiste nella particolare carica che l’espressione assume.
L’Eufemismo (dal verbo greco euphemèo, «risuonare bene») è una figura retorica (di pensiero) che consiste nell'uso di una parola o di una perifrasi al fine di attenuare un'espressione ritenuta o troppo banale, o troppo offensiva, oscena, inopportuna o troppo cruda. Ad esempio:"questo piatto lascia a desiderare" per non dire che è ripugnante, o la convenzione di usare il verbo "andarsene" per per "morire". Il suo opposto è il disfemismo, in cui si usa volutamente, ma in senso scherzoso o affettuoso, una parola sgradevole o volgare al posto di una normale o positiva Esempi: “..Quando rispuosi, cominciai: - Oh lasso,
L'ipàllage (dal greco hypallagē, «sostituzione/scambio», derivato da hypallássō, «cambio») è una figura retorica (di parola) che consiste nel riferire grammaticalmente una parte della frase a una parte diversa da quella a cui dovrebbe riferirsi semanticamente, cioè consiste nell' attribuire a un termine di una frase qualcosa (qualificazione, determinazione o specificazione) che logicamente spetterebbe a un termine vicino. In genere la parte del discorso su cui avviene lo spostamento è l'aggettivo, che viene attribuito a un sostantivo diverso da quello a cui il suo significato lo dovrebbe normalmente e logicamente legare: in questo caso si parla anche di enallage dell'aggettivo (dal greco enallaghé, 'scambio interno' figura retorica con cui l'ipallage spesso coincide). Ad esempio come avviene nel verso 'il divino del pian silenzio verde' (daIl bove di G. Carducci), invece di "il divino silenzio del verde piano"; 'verde' è riferito a 'silenzio' e non a 'pian', come dovrebbe.
Esempi: “..Altae moenia Romae..” («le mura dell'alta Roma», invece di «le alte mura di Roma») (Virgilio, Eneide, I, v.7) “...gemina teguntur lumina nocte..” ("gli occhi sono coperti da una doppia notte" al posto di "entrambi gli occhi sono coperti dalla notte") (Catullo, Carme 51, vv.11-12)
(l' aggettivo paziente è riferito all' arnese marra ma logicamente va riferito a un essere umano cioè al contadino che usa la marra e che è paziente) (G. Pascoli, Arano, vv.5-6).
“…ma io deluse a voi le palme tendo…” (l’aggettivo deluse è sintatticamente complemento predicativo dell’oggetto palme, ma logicamente andrebbe riferito al soggetto io) (U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni, v.7) L'iperbole (dal greco, hyperbolé, “scaglio oltre, sollevo”) è una figura retorica (di contenuto) che consiste nell'esagerare, per eccesso o per difetto, un concetto sino all’inverosimile. Un esempio calzante può essere “ la settimana é trascorsa in un attimo”, oppure “hai impiegato un secolo ad arrivare!”, "È un secolo che non lo vedo"; "Scendo tra un minuto"; "Sono in un mare di guai"; "Mi piace da morire"; "Non ha un briciolo di cervello". Dalla storia, il detto proverbiale di Carlo V: "Sui miei dominii non tramonta mai il sole". Esempi: "..O frati, - dissi, - che per centomila “..Va l'Asia tutta e va l'Europa in guerra…” “..Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti) “..Ma sedendo e mirando, interminati
“..Come sei più lontana della luna, “[…] giacché la calca era tale, che un granello di miglio, come si suol dire, non sarebbe andato in terra…” (A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. 12)
L'iperbato (dal greco hypér, 'sopra', e báino, 'sposto' = "passo oltre") è una figura retorica (di parola), affine all'anastrofe, che rappresenta un'inversione nell'ordine naturale delle parole all'interno di una frase. L'iperbato si realizza separando elementi che nella normale sintassi della frase dovrebbero essere contigui, interponendo altri termini e producendo un andamento irregolare della frase rispetto all'ordine previsto. Simile all'iperbato è anche l'epifrasi, che consiste nello spostare un gruppo di parole al termine di un enunciato per definirne meglio il significato. Esempi: “..Sparsa è d'arme la terra..”
“...ma valida (Alessandro Manzoni, Il cinque maggio, vv.87-90)
“..e tu gli ornavi del tuo riso i canti che il lombardo pungean Sardanapalo..” (U. Foscolo, I sepolcri, vv.57-58)
“e tutti l'ultimo sospiro mandano i petti alla fuggente luce..” (U. Foscolo, Sepolcri, vv.122-123), “ ... a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura.” (U. Foscolo, A Zacinto, vv.13-14)
“..il divino del pian silenzio verde..” La metafora (dal greco metaphéro, “io trasporto”, composto da metà = "oltre, al di là" e phéro = "porto") è una figura retorica (di contenuto) consistente nella sostituzione di un termine proprio con uno figurato, in seguito ad una trasposizione simbolica di immagini. Così, dicendo: "Tizio è un coniglio", intendiamo dire che è pavido come un coniglio. Dicendo: "L'infanzia è l'alba della vita", intendiamo dire che è l'inizio della vita, come l'alba lo è del giorno. Differisce dalla similitudine per l'assenza di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali ("come"). Oltre che con la metafora, uno spostamento di significato si attua anche con la metonimia e la sinèddoche. Le metafore possono essere costruite in vari modi: - con un sostantivo ("una montagna di compiti"; "una salute di ferro"); - con un aggettivo ("gli anni verdi"=della giovinezza); - con un verbo ("il pavimento della stanza balla"); - con un predicato nominale ("quella ragazza è una perla"; oppure: "sei proprio una ZUCCA!"). Con la metafora il poeta riesce a nutrire la sua poesia di allusioni e la contorna di significati emblematici che noi dobbiamo sapere interpretare. Esempi: “..Io non piangea, sì dentro impetrai..” (Dante, Inferno, XXXIII, v.49) Questa frase è pronunciata dal conte Ugolino il quale con questa espressione vuole intendere che a causa di un dolore fortissimo il suo animo non provava alcuna emozione, era diventato - cioè - ‘duro come una pietra’. “..ch'amor conduce a piè del duro lauro ch'à i rami di diamante e d'or le chiome..” (F.Petrarca, Canzoniere, XXX, vv.22-23); Petrarca allude a Laura riferendo di una pianta di alloro con rami di diamante e chioma dorata ai piedi della quale Amore conduce chi è colpito dai suoi dardi. “… e prego anch’io nel tuo porto quiete…” “..Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi “…tutto ei provò: la gloria (A. Manzoni, Il Cinque Maggio, vv.43-48) nella polvere=in disgrazia; sull’altar=in trionfo “..Tu fior de la mia pianta “..Si devono aprire le stelle "..Anche un uomo tornava al suo nido.." (G. Pascoli, X Agosto, v.13) nido=casa “Non ho voglia “Alle sponde odo l'acqua colomba, “Piove senza rumore sul prato del mare..” La metonimia (Dal greco metá "trasferimento" e ónoma "nome" = 'scambio di nome' ) è una figura retorica (di contenuto) che consiste, nell’espressione di un concetto per mezzo di una parola diversa da quella propria, ma ad essa legata da una relazione di contiguità o di interdipendenza logica o materiale. Si distingue dalla metafora (che è più libera e tiene conto di somiglianze anche vaghe), perché, nella metonimia, la parola sostituente appartiene allo stesso campo semantico della sostituita o le due parole hanno un rapporto di causa/effetto o un legame di reciproca dipendenza (contenente/contenuto, occupante/luogo occupato, proprietario/proprietà materiale o morale, ecc.). La metonimia arricchisce il senso delle parole proprio perché instaura collegamenti con ciò che non è enunciato e che risulta evidente attraverso la metonimia. La metonimia può essere realizzata anche sostituendo una parola con più parole di uno stesso campo semantico:droga (polvere bianca) – petrolio (oro nero). Quando la connessione tra le due parole è di tipo quantitativo, ad esempio la parte per il tutto, la metonimia prende il nome di sineddoche. Esempi: Si hanno vari casi di sostituzioni metonimiche, tra le più frequenti il principio di relazione può essere in base a:
· causa/effetto: - ascolto Mozart = la musica di Mozart; - ho comprato un Raffaello = un quadro di raffaello. - ha una bella mano = una bella scrittura; - sentire le campane = i rintocchi delle campane; - avere le guance rigate di pianto = di lacrime; - “..s’accendon le finestre (le finestre sono illuminate) ad una ad una come tanti teatri..” (V. Cardarelli, Sera di Liguria, 5-6);
· effetto/causa: - guadagnare da vivere con il sudore della fronte = con un lavoro pesante, che fa sudare; - questa vita è una valle di lacrime = un luogo di sofferenza; - “..assursero in fretta dai blandi riposi, chiamati repente da squillo (tromba) guerrier..” (A. Manzoni, Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti, Adelchi, 35-36); - “..Talor lasciando le sudate carte..“ (tralascia gli studi impegnativi che fanno sudare sui libri) (G. Leopardi, A Silvia, v.16);
· materia/oggetto: - possedere molti ori = monili d'oro; - lucidare gli ottoni = gli oggetti di ottone; - “..mentre Rinaldo così parla, fende con tanta fretta il suttil legno (barca) l’onde..” (L. Ariosto, Orlando furioso, Canto XLIII, LXIII);
· contenente/contenuto: - bere un bicchiere = il contenuto del bicchiere; - ho mangiato un piatto squisito = il cibo contenuto nel piatto; - “..ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini (dal mosto che bolle nei tini) l’anime a rallegrar..” (G. Carducci, San Martino, vv. 5-8);
· astratto/concreto: - confidare nell’amicizia = negli amici; - la giovinezza è spensierata = i giovani; - le prepotenze della nobiltà = dei nobili; - “..Tutta vestita a festa la gioventù (i giovani) del loco lascia le case, e per le vie si spande..” (G. Leopardi, Il passero solitario, vv. 32-34);
· concreto/astratto: - avere del fegato = del coraggio; - è un uomo di buon cuore = di buoni sentimenti; - “… porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela (faticoso lavoro)..” (G. Leopardi, A Silvia, vv. 20-22);
· simbolo/cosa simbolizzata: - “… e intanto vola il caro tempo giovanil; più caro che la fama e l’allor (gloria poetica),…” (G. Leopardi, Le ricordanze, vv. 43-45);
· strumento/persona: - è il primo flauto dell'orchestra = musicista che suona il flauto; - “..Lingua mortal (un uomo) non dice quel ch’io sentiva in seno…” (G. Leopardi, A Silvia, vv. 26-27); L'onomatopea (dal greco ónoma, “nome” e poiéin, “fare” = "formazione di parole") è una figura retorica (di parola) che consiste nel riprodurre, attraverso i suoni linguistici, i rumori o i suoni esistenti in natura. Si usa distinguere le onomatopee primarie, o vere e proprie, che sono per l'appunto parole che hanno l'unica capacità di evocare l'impressione di un suono e non portatrici di un proprio significato; sono così onomatopee del genere quelle imitano il verso di un animale, come bau o miao, oppure particolari suoni umani come brr o ecciù, ma anche rumori tipici di oggetti o di azioni, come il perepepé o i il bumdella deflagrazione. Derivano poi solitamente da queste, o indirettamente attraverso un processo onomatopeico, le onomatopee secondarie, o artificiali, che sono invece parole (aggettivi, sostantivi, verbi ecc.) contemplate dalla grammatica codificata, che riproducono il suono corrispondente al loro campo semantico, come possono essere il verbi che indicano appunto il verseggiare di un animale: miagolare, abbaiare. ecc. Il nostro lessico contiene numerosi vocaboli onomatopeici (miagolare,tintinnare, ticchettio, ululare, mormorio, dondolio, ululato, boato, tuono, ecc.): In poesia anche il ritmo può concorrere al processo espressivo dell'onomatopea: il verso “volaron sul ponte che cupo sonò”, di Alessandro Manzoni, ottiene l'imitazione del rimbombo delle assi del ponte levatoio sotto gli zoccoli dei cavalli con il ritmo e il gioco fonetico delle parole impiegate. Esempi: “... il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo…” (G. Pascoli, Tuono, vv.3-4) Pascoli riproduce suggestivamente il rumore del tuono inserendo all'interno delle parole suoni che richiamano il suo significato. “…Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle..” (G.Pascoli, La mia sera, vv. 3-4). “..Un'ape tardiva sussurra..” (G.Pascoli, Il gelsomino notturno, v. 13) “…ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi..” (E. Montale, Meriggiare pallido e assorto, vv. 3-4) “Le vele le vele le vele che schioccano e frustano al vento..” (D. Campana, Barche amarrate, vv. 1-2) “..Sciacqua, sciaborda, scroscia, schiocca, schianta, romba, ride, canta,…” (G. D’Annunzio, Alcyone, L’onda, vv. 63-65)
“Clof, clop, clock, (A. Palazzeschi, La Fontana malata, vv.1-10)
L'ossimoro (dal greco oxýmoron, oksys «acuto» e morós «ottuso, sciocco») è una figura retorica (di pensiero) che consiste nell'accostare nella medesina locuzione due termini che esprimono concetti contrari e che si contraddicono producendo un effetto paradossale. L'etimologia corrisponde al francese idiot savant. A differenza della figura retorica dell'antitesi, i due termini sono spesso incompatibili. Si tratta di una combinazione tale da creare un originale contrasto, ottenendo spesso sorprendenti effetti stilistici. Esempi: lucida follia, brivido caldo, silenzio assordante, disgustoso piacere, attimo infinito, buio accecante.
Esempi: “..O viva morte, o dilettoso male, come puoi tanto in me, s’io nol consento?..” (F. Petrarca, S’amor non è, Canzoniere, vv.7-8)
“..E 'l naufragar m'è dolce in questo mare.” (G. Leopardi, L’Infinito, v.15) “..tal che mi fece, or quand'egli arde 'l cielo, tutto tremar d'un amoroso gielo. (F. Petrarca, Non al suo amante più Diana piacque, Canzoniere, vv. 7-8)
(A.Manzoni, I Promessi Sposi, cap. 15); “..Figure di Neumi elle sono “..gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve..” (S. Quasimodo, Lettera alla madre, v.3)
“bianca bianca nel tacito tumulto..” (G. Pascoli, Il lampo, v.4)
“Un piccolo infinito scampando..” (G. Pascoli, Festa lontana, Myricae v.1)
La Paronomasia (dal greco pará, “vicino”, e onomasía, “denominazione”) è una figura retorica (di parola) che consiste nell'accostare due o più parole di suono simile (differendo per una o due lettere) ma significato diverso usate con l'intento di ottenere particolari effetti fonici e, insieme, rafforzarne la correlazione. È il procedimento base dei giochi di parole e degli scioglilingua: “Chi non risica non rosica”, “Chi dice donna dice danno”, “Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa”, “il troppo stroppia”. Esempi: "..ch'i' fui per ritornar più volte volto.." (Dante, Inferno, canto I, v.36) “Pace non trovo e non ho da far guerra (F. Petrarca, Pace non trovo e non ho da far guerra, Canzoniere, vv.1-4) “..Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi,…” (G. Leopardi, L’infinito, vv. 5-6) “..Tu, placido e pallido ulivo, non dare a noi nulla;…” (G. Pascoli, La canzone dell’ulivo, vv. 60-61)
“..Ascoltare fra i pruni e gli sterpi Schiocchi di merli, frusci di serpi..” (E. Montale, Meriggiare pallido e assorto, vv.3-4) "..Trema un ricordo nel ricolmo secchio.." (E. Montale, Cigola la carrucola nel pozzo, v.3) “..Scrisse musiche inedite, inaudite, oggi sepolte in un baule o andate al macero…” (E. Montale, Xenia I, 13, vv.4-6) La prosopopea, (dal greco prósopon, 'volto' e poiéin, 'fare'), o personificazione, è una figura retorica (di contenuto) che consiste nell’attribuire qualità, azioni o sentimenti umani ad animali, oggetti, o concetti astratti. Spesso questi parlano come se fossero persone. E’ una prosopopea anche il discorso di un defunto. La poesia ha sempre fatto un largo uso di una simile tecnica espressiva. Ad es. in Leopardi, che si rivolge così alla luna: "Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / silenziosa luna?". La tendenza alla personificazione, spesso inconscia, è rintracciabile anche nel linguaggio comune. Ad es.: "Quest'inverno il sole non ha proprio voglia di farsi vedere". Più precisamente si può affermare che se la personificazione "parla" diventa allora Prosopopea. Se lo scrittore si rivolge alla personificazione fa un'Apostrofe: Personificazione: “..D’Achille i cavalli intanto, veduto il loro auriga dalla lancia di Ettore nella polvere abbattuto, lontano dalla battaglia erano là piangenti..”( Omero, Iliade, Libro XVII, 540-543). Prosopopea: “..Vieni a veder la tua Roma che piagne vedova e sola... Cesare mio, perchè non m'accompagne?..”(Dante, Purgatorio, Canto VI). Apostrofe: “..bei cipressetti, cipressetti miei fedeli amici d'un tempo migliore..” (Carducci, Davanti San Guido, vv.17-18, si rivolge ai cipressi). Esempi: “… e da le aurate volte “..Oh quei fanali come s’inseguono “..Intesi allora che i cipressi e il sole una gentil pietade avean di me, e presto il mormorio si fe' parole: - Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'..” (G. Carducci, Davanti San Guido, vv.33-36). “..Là, presso le allegre ranelle, “..Da un pezzo si tacquero i gridi: “..Mentre il cipresso nella notte nera “..E’ giù, “..Vanno a sera a dormire dietro i monti “..I monti a cupo sonno La similitudine (dal latino similitudo, “somiglianza”) è la figura retorica (di contenuto) in cui si paragonano persone, animali, cose, sentimenti, immagini, situazioni per associazione di idee; è introdotta da come, sembra, pare, è simile, somiglia, ecc. . Ad esempio: bianca come la neve; rosso come il fuoco. E’, sul piano letterario, la più importante delle due forme di Paragone; l’altra è la Comparazione. Si ha “similitudine” (non “comparazione”) quando i termini del confronto non sono intercambiabili, perché la loro intercambiabilità altererebbe almeno il senso del paragone: Questo rimorso pesa come un macigno è ben diverso da Questo macigno pesa come un rimorso. Si ha, invece, “comparazione” quando il paragone fra due entità è reversibile senza alterazioni di senso: Quel pioppo è alto come la mia casa è molto simile a La mia casa è alta come quel pioppo. Differisce dalla metafora per la presenza di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (come, sembra,pare, è simile, somiglia, ecc.) e per le conseguenze nella struttura della frase che questo comporta.
Esempi: “..Nella destra scotea la spaventosa peliaca trave; come viva fiamma, o come disco di nascente Sole balenava il suo scudo…” (Omero, Iliade, Libro XXII, vv.171-174) “..Gli venne dunque incontro il figlio amato di Ettore, simile a chiara stella..” (Omero, Iliade, Libro VI, vv.343-345)
“..Come d'autunno si levan le foglie l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie, similemente il mal seme d'Adamo gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni come augel per suo richiamo..” (Dante, Inferno, Canto III, vv.112-117) “..e caddi come l'uom cui sonno piglia..” (Dante, Inferno, Canto III, v.136) "..Come sul capo al naufrago l'onda s'avvolve e pesa l'onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa Scorrea la vista a scernere prode remote invan; Tal su quell'alma il cumulo delle memorie scese..." (Manzoni, Il cinque maggio, vv.51-68) “..Come un branco di segugi, dopo aver inseguito invano una lepre, tornano mortificati verso il padrone, co' musi bassi, e con le code ciondoloni, così, in quella scompigliata notte, tornavano i bravi al palazzotto di don Rodrigo. …” (Manzoni, I promessi sposi, Cap.XI)) "..quando partisti, come son rimasta! come l'aratro in mezzo alla maggese.." (Pascoli, Lavandare, Myricae, vv.7-8) “Fresche le mie parole ne la sera ti sien Come il fruscio che fan le foglie del gelso..” (D'Annunzio, La sera fiesolana, vv.1-3) “..Un tappeto di smeraldo sotto al cielo il monte par..” (Carducci, In Carnia, vv.3-4)) “..Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane: mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto dell’infanzia vissuta tra queste colline, tanto è giovane. E’ come il mattino. Mi accenna negli occhi tutti i cieli lontani di quei mattini remoti…” (C. Pavese, Incontro, vv. 14-18) La sinèddoche (dal greco syn, “insieme” e dékhomai, “ricevo” = ricevere insieme) è una figura retorica (di contenuto), che consiste nell'uso in senso figurato di una parola al posto di un'altra. E’ affine alla metonimia, dalla quale si distingue perché il rapporto fra il termine impiegato e quello sostituito non è di tipo qualitativo (logico) ma quantitativo. Si ha dunque sinèddoche quando si usa: 1. il tutto per la parte: l'Europa (i paesi dell'Unione) ha deliberato; Italia batte Germania 2-0 (intendendo le rispettive squadre nazionali di calcio), scarpe di vitello (intendendo le scarpe in pelle di vitello); 2. la parte per il tutto: son rimasti senza tetto (senza casa), bocche (persone) da sfamare; 3. di una qualità/caratteristica per il tutto: il ferro (spada); 4. del singolare per il plurale e viceversa: l'Italiano (inteso come persona)all'estero (gli Italiani all'estero, la servitù (per un solo domestico); 5. del genere per la specie e viceversa: felino (gatto), mortali (uomini), pini (conifere), pane (cibo).
Esempi: “..O animal grazioso e benigno
“..Era un girare, un rimescolarsi di gran cappe, d'alte penne, di durlindane pendenti, , un moversi librato di gorgiere inamidate e crespe, uno strascico intralciato di rabescate zimarre..” (Manzoni, I promessi sposi, Cap.IV)
“..E se da lunge i miei tetti saluto..” (Foscolo, In morte del fratello Giovanni, v.8) “…E quando ti corteggian liete “..Magnanimo animale Non credo io già, ma stolto..” (G.Leopardi, La Ginestra, vv. 98-99). “..Quando vi mettete a fare tutti quei figliuoli non ci pensate che sono tante bocche che mangiano?..” (G.Verga, Novelle rusticane, Il reverendo) “..E quando la fatal prora d’Enea “..Sotto l’ali dormono i nidi, La sinestesia (dal greco syn, “insieme” e aisthesis “sensazione”: “sensazione simultanea”) è la figura retorica (di contenuto) che consiste nell’accostamento di sensazioni diverse avvertite simultaneamente. È un tipo particolare di metafora che prevede la creazione di un’immagine associando termini che appartengono a sfere sensoriali diverse. Essa ricorre anche nella lingua parlata di tutti i giorni (esempio "Giallo squillante"). Ha largo uso in poesia. Il suo uso risale alla poesia antica e fu prediletta dai poeti simbolisti di fine '800, che ne fecero un largo uso, ma in particolare costituisce uno stilema tipico dell'area ermetica della poesia italiana del Novecento.
Esempi: “…a poco a poco mi ripigneva là dove 'l sol tace..” (Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto I, vv.59-60) (sensazione visiva + sensazione uditiva) “..io venni al luogo d’ ogni luce muto..” (Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto V, v.28) (sensazione visiva + sensazione uditiva) “..Non vi ster molto, ch'un lamento amaro “… al lamento d’agnello dei fanciulli, all'urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo?..” (S. Quasimodo, Alle fronde dei salici, vv.4-7) (sensazione uditiva + sensazione visiva) “..Dolcezza si rispecchia ampio e quieto Il divino del pian silenzio verde.” (G. Carducci, il bove, vv.13-14) (sensazione uditiva + sensazione visiva) “..Ma per le vie del borgo “..Dormi! bisbigliano, Dormi!
“..Dai calici aperti si esala
“..Sepolto nella bruma il mare odora…” “..Per la fresca finestra
| |||||||||||||||||
|