LXXXIX. Gellius

 

Gellius est tenuis: quid ni? cui tam bona mater

    tamque valens vivat tamque venusta soror

tamque bonus patruus tamque omnia plena puellis

    cognatis, quare is desinat esse macer?

qui ut nihil attingat, nisi quod fas tangere non est,

    quantumvis quare sit macer invenies.

LXXXIX. Gellio

Gellio è gracile: perché no? Ma gli viva la madre
   tanto buona e valida e la sorella così carina,
lo zio così buono e tutto così pieno di ragazze
   parenti, perché egli smetterebbe di esser magro?
Anche se non toccasse nulla,  se non quello che non è lecito toccare,
  quanto mai scoprirai perché sia magro.

   

XC. Nascatur

 

Nascatur magus ex Gelli matrisque nefando

    coniugio et discat Persicum aruspicium:

nam magus ex matre et gnato gignatur oportet,

    si vera est Persarum impia religio,

gnatus ut accepto veneretur carmine divos

    omentum in flamma pingue liquefaciens.

XC. Nasca

Nasca un mago da Gellio e dalla sacrilega unione
   della madre ed impari la divinazione persiana:
bisogna proprio che  sorga un mago dalla madre e dal figlio,
   se è vera l'empia religione dei Persiani,
generato  perché veneri con canto gradito
   sciogliendo sulla fiamma il grasso omento.

   

XCI. Non ideo

 

Non ideo, Gelli, sperabam te mihi fidum

    in misero hoc nostro, hoc perdito amore fore,

quod te cognossem bene constantemve putarem

    aut posse a turpi mentem inhibere probro;

sed neque quod matrem nec germanam esse videbam

    hanc tibi, cuius me magnus edebat amor.

et quamvis tecum multo coniungerer usu,

    non satis id causae credideram esse tibi.

tu satis id duxti: tantum tibi gaudium in omni

    culpa est, in quacumque est aliquid sceleris.

XCI. Non così

Non così,  Gellio, speravo che tu mi fossi fidato
    in questo nostro misero, in questo perduto amore,
perché ti avessi conosciuto o ti pensassi costante
   o poterti bloccare la mente da una turpe infamia;
ma né perché vedevo che tu avevi una madre e questa
   sorella, il cui garnde amore mi consumava.
E benchè con te fossi unito da molta amicizia,
   non credevo tu avessi tale causa sufficiente.
Tu lo ritenesti sufficiente: tu hai tanta gioia in ogni
   colpa, in qualunque c'è qualche misfatto.

   

XCII. Lesbia mi

 

Lesbia mi dicit semper male nec tacet umquam

    de me: Lesbia me dispeream nisi amat.

quo signo? quia sunt totidem mea: deprecor illam

    assidue, verum dispeream nisi amo.

XCII. Lesbia mi

Lesbia mi parla sempre male e non tace mai
  di me: che io crepi, se Lesbia non m'ama.
Con quale prova? Perché altrettanto son le mie (prove): la maledico
  continuamente, ma ch'io crepi se non la amo.

   

XCIII. Nil nimium

 

Nil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere,

    nec scire utrum sis albus an ater homo.

XCIII. Per nulla troppo

Per nulla troppo mi curo, Cesare, volerti piacere,
   né sapere se sia un uomo bianco o nero.

   

XCIV. Mentula

 

Mentula moechatur. Moechatur mentula?    Certe.

    Hoc est quod dicunt: ipsa olera olla legit.

XCIV. Minchia

Minchia puttaneggia. Puttaneggia Minchia? Certo.
    Questo è ciò che dicono: proprio la pentola raccoglie verdure.

   

XCV. Zmyrna

 

Zmyrna mei Cinnae nonam post denique messem

    quam coepta est nonamque edita post hiemem,

milia cum interea quingenta Hortensius uno

*    *    *    *    *    *    *    *    

Zmyrna cavas Satrachi penitus mittetur ad undas,

    Zmyrnam cana diu saecula pervolvent.

at Volusi annales Paduam morientur ad ipsam

    et laxas scombris saepe dabunt tunicas.

Parva  mei mihi sint cordi monimenta sodalis,   

    at populus tumido gaudeat Antimacho.

XCV. Zmirna

La Zmirna del mio Cinna infine dopo la nona messe,
   da che iniziò, e dopo il nono inverno è uscita,
mentre intanto Ortensio cinquecento mila…
*   *   *   *   *   *
Zmirna sarà mandata alle profonde acque del Satraco,
   a lungo i vecchi secoli racconteranno Zmirna.
Gli annali di Volusio moriranno presso la stessa Padova
   e spesso offriranno larghe tuniche agli sgombri.
Mi stiano sempre a cuore i piccoli ricordi dell'amico,
  il popolo invece goda del tronfio Antimaco.

   

XCVI. Si quicquam

 

Si quicquam mutis gratum acceptumque sepulcris

    accidere a nostro, Calve, dolore potest,

quo desiderio veteres renovamus amores

    atque olim missas flemus amicitias,

certe non tanto mors immatura dolori est

    Quintiliae, quantum gaudet amore tuo.

XCVI. Se qualcosa

Se qualcosa di gradito ed accetto può giungere
   ai muti sepolcri, Calvo, dal nostro dolore,
da quella nostalgia con cui rinnoviamo gli antichi amori
  e piangiamo le amicizie già partite,
certo la morte immatura di Quintilia non è di tanto
   dolore, in quanto gode dell' amore tuo.

   

XCVII. Non

 

Non (ita me di ament) quicquam referre putavi,

    utrumne os an culum olfacerem Aemilio.

nilo mundius hoc, nihiloque immundius illud,

    verum etiam culus mundior et melior:

nam sine dentibus est. hic dentis sesquipedalis,

    gingivas vero ploxeni habet veteris,

praeterea rictum qualem diffissus in aestu

    meientis mulae cunnus habere solet.

hic futuit multas et se facit esse venustum,

    et non pistrino traditur atque asino?

quem siqua attingit, non illam posse putemus

    aegroti culum lingere carnificis?

XCVII. Non


Non (davvero mi amino gli dei!) pensai di riferire nulla,
    se dovessi fiutare la bocca o il culo ad Emilio.
Per nulla più mondo questo, e per nulla più immondo quella,
    anzi davvero più mondo e migliore il culo:
infatti è senza denti. Questa ha denti fuori misura,
   poi gengive di vecchia cassa (di carro) ,
inoltre è solito avere una bocca aperta come la vulva
   spaccata d'una mula  in calore che piscia.
Costui ne ha fottute molte e si crede essere carino,
   e non è messo alla macina ed all'asino?
Se una lo tocca, penseremmo che non possa
   leccare il culo di un boia malato.

   

XCVIII. In te

 

In te, si in quemquam, dici pote, putide Victi,

    id quod verbosis dicitur et fatuis.

ista cum lingua, si usus veniat tibi, possis

    culos et crepidas lingere carpatinas.

si nos omnino vis omnes perdere, Victi,

    hiscas: omnino quod cupis efficies.

XCVIII. Contro te


 Contro te, se contro qualcuno, si può dire, Vizzio,
    ciò che si dice ai ciarloni ed agli stupidi.
Con quella lingua, se ti capitasse il caso, potresti
    leccare i culi e le scarpe di cuoiaccio.
Se ci vuoi far crepare tutti, Vizzio,
apri bocca: realizzerai del tutto ciò che desideri.

   

XCIX. Surripui

 

Surripui tibi, dum ludis, mellite Iuventi,

    suaviolum dulci dulcius ambrosia.

verum id non impune tuli: namque amplius horam

    suffixum in summa me memini esse cruce,

dum tibi me purgo nec possum fletibus ullis

    tantillum vestrae demere saevitiae.

nam simul id factum est, multis diluta labella

    guttis abstersisti omnibus articulis,

ne quicquam nostro contractum ex ore maneret,

    tamquam commictae spurca saliva lupae.

praeterea infesto miserum me tradere amori

    non cessasti omnique excruciare modo,

ut mi ex ambrosia mutatum iam foret illud

    suaviolum tristi tristius elleboro.

quam quoniam poenam misero proponis amori,

    numquam iam posthac basia surripiam.

XCIX. Ti rubai

Ti rubai, mentre giocavi, mielato Giovenzio,
    un bacetto più dolce della dolce ambrosia.
Ma non l'ho passata impunemente: ma più d'un'ora
   mi ricordo di essere stato piantato in cima ad una croce,
mentre per te mi purgavo né potevo con alcun pianto
  togliere un pochino della vostra crudeltà.
Appena infatti ciò accadde, astergesti i labbrucci
   bagnati di molte gocce con tutte le dita,
che non rimanesse nulla contatto dalla nostra bocca,
   come  per la sporca saliva d'una scompisciata lupa.
Inoltre non cessasti di consegnare me misero ad un crudele
   amore e tormentarmi in ogni modo,
perché da ambrosia mi fosse mutato ormai quel
   bacetto più triste del triste elleboro.
Poiché una tal pena proponi al misero amore,
   mai più in futuro ruberò dei baci.