6. Ab his castris oppidum Remorum nomine Bibrax aberat milia passuum VIII. Id ex itinere magno impetu Belgae oppugnare coeperunt. Aegre eo die sustentatum est. Gallorum eadem atque Belgarum oppugnatio est haec: ubi circumiecta multitudine hominum totis moenibus undique in murum lapides iaci coepti sunt murusque defensoribus nudatus est, testudine facta portas succedunt murumque subruunt. Quod tum facile fiebat. Nam cum tanta multitudo lapides ac tela coicerent, in muro consistendi potestas erat nulli. Cum finem oppugnandi nox fecisset, Iccius Remus, summa nobilitate et gratia inter suos, qui tum oppido praeerat, unus ex iis qui legati de pace ad Caesarem venerant, nuntium ad eum mittit, nisi subsidium sibi submittatur, sese diutius sustinere non posse. 6. Ad otto miglia da questo accampamento era situata una città dei Remi chiamata Bibratte. I Belgi, appena arrivati, si diedero ad assalirla con grande violenza. A stento si poté resistere per quel giorno. Sia i Galli che i Belgi usano questa tattica d'assedio: dopo aver interamente circondato le mura in massa, ed aver sguarnito i bastioni dai difensori con un fitto lancio di pietre, formata la testuggine, incendiano le porte ed abbattono le mura. Anche in questo caso,la tattica si era rivelata efficiente: era così grande il numero degli assalitori che lanciavano pietre e giavellotti, che nes­suno poteva resistere sui bastioni. Quando la notte ebbe posto fine all'assalto, il Remo Iccio, il più nobile ed influente tra i suoi concittadini, allora capo della città, uno di quelli che avevano fatto parte della legazione inviata a Cesare per trattare la pace, gli manda a dire che, se non gli fossero stati inviati soccorsi, non avrebbe potuto resistere più a lungo.
   
7. Eo de media nocte Caesar isdem ducibus usus qui nuntii ab Iccio venerant, Numidas et Cretas sagittarios et funditores Baleares subsidio oppidanis mittit; quorum adventu et Remis cum spe defensionis studium propugnandi accessit et hostibus eadem de causa spes potiundi oppidi discessit. Itaque paulisper apud oppidum morati agrosque Remorum depopulati, omnibus vicis aedificiisque quo adire potuerant incensis, ad castra Caesaris omnibus copiis contenderunt et a milibus passuum minus duobus castra posuerunt; quae castra, ut fumo atque ignibus significabatur, amplius milibus passuum VIII latitudinem patebant. 7. In piena notte, Cesare, utilizzando come guide gli stessi messaggeri inviati da Iccio, manda in aiuto degli assediati la cavalleria numida, gli arcieri cretesi e i frombolieri delle Baleari. Con il loro arrivo, mentre aumentava nei Remi, con la speranza di potersi difendere, l'accanimento nel contrattaccare, diminuiva per lo stesso motivo nei nemici la speranza d'impadronirsi della città. I Belgi, quindi, dopo una breve sosta nei pressi della città, devastati i campi dei Remi ed incendiati tutti i villaggi e i casali che poterono raggiungere, puntarono al completo sull'accampamento di Cesare e si fermarono a meno di due miglia. Il loro accampamento, a giudicare dal fumo e dal numero dei fuochi, si apriva su un fronte di più di otto miglia.
   
8. Caesar primo et propter multitudinem hostium et propter eximiam opinionem virtutis proelio supersedere statuit; cotidie tamen equestribus proeliis quid hostis virtute posset et quid nostri auderent periclitabatur. Ubi nostros non esse inferiores intellexit, loco pro castris ad aciem instruendam natura oportuno atque idoneo, quod is collis ubi castra posita erant paululum ex planitie editus tantum adversus in latitudinem patebat quantum loci acies instructa occupare poterat, atque ex utraque parte lateris deiectus habebat et in fronte leniter fastigatus paulatim ad planitiem redibat, ab utroque latere eius collis transversam fossam obduxit circiter passuum CCCC et ad extremas fossas castella constituit ibique tormenta conlocavit, ne, cum aciem instruxisset, hostes, quod tantum multitudine poterant, ab lateribus pugnantes suos circumvenire possent. Hoc facto, duabus legionibus quas proxime conscripserat in castris relictis ut, si quo opus esset, subsidio duci possent, reliquas VI legiones pro castris in acie constituit. Hostes item suas copias ex castris eductas instruxerunt. 8. Cesare, tenuto conto del numero dei nemici e dell'altissima fama del loro valore, decise di evitare per il momento lo scontro campale. Ogni giorno, tuttavia, ingaggiava scontri di cavalleria per saggiare la forza del nemico e l'audacia dei nostri. Quando vide che i nostri non erano inferiori, scelse davanti all'accampamento un luogo per conformazione idoneo ed opportuno allo schieramento dell'esercito in ordine di battaglia; infatti il colle dove era stato posto il campo, dominando di poco la piana, presentava un fronte della stessa ampiezza dello schieramento dell'esercito; scosceso su entrambi i lati, formava sul davanti una cresta poco accentuata che si abbassava insensibilmente verso la pianura. Cesare fece scavare su entrambi i lati del colle due fossati di circa quattrocento passi  perpendicolari rispetto alla linea dello schie­ramento, fece costruire alle estremità dei fortini e vi fece collocare delle macchine da lancio, per evitare che, quando l'esercito fosse stato schierato, i nemici, numerosi com'erano, potessero accerchiare i nostri durante il combattimento. Fatto ciò, lasciate al campo le due legioni da poco arruolate, perché intervenissero in caso di necessità, schierò a battaglia davanti all'accampamento le altre sei. Anche il nemico, fatte uscire le truppe dall'accampamento, le aveva schierate a battaglia.
   
9. Palus erat non magna inter nostrum atque hostium exercitum. Hanc si nostri transirent hostes expectabant; nostri autem, si ab illis initium transeundi fieret, ut impeditos adgrederentur, parati in armis erant. Interim proelio equestri inter duas acies contendebatur. Ubi neutri transeundi initium faciunt, secundiore equitum proelio nostris Caesar suos in castra reduxit. Hostes protinus ex eo loco ad flumen Axonam contenderunt, quod esse post nostra castra demonstratum est. Ibi vadis repertis partem suarum copiarum traducere conati sunt eo consilio ut, si possent, castellum, cui praeerat Q. Titurius legatus, expugnarent pontemque interscinderent; si minus potuissent, agros Remorum popularentur, qui magno nobis usui ad bellum gerendum erant, commeatuque nostros prohiberent. 9. Una piccola palude 15 si estendeva tra il nostro esercito e quello nemico. I nemici attendevano, nella speranza che i nostri comin­ciassero ad attraversarla, i nostri, dal canto loro, si tenevano pronti in armi, per aggredirli mentre si trovavano in difficoltà, se avessero tentato per primi il passaggio. Frattanto i due schieramenti erano impegnati in uno scontro di cavalleria. Poiché nessuno dei due eserciti si azzardava ad attraversare per primo la palude, essendosi concluso in nostro favore lo scontro di cavalleria, Cesare ricondusse i suoi all'accampamento. Subito i nemici si dirigono verso il fiume Assona, che, come si è detto, scorreva alle spalle del nostro accampamento. Trovati dei guadi, tentano di far passare parte delle truppe sull'altra sponda con l'intento di espugnare, possibilmente, il fortino comandato dal legato Quinto Titurio e di distruggere il ponte; se non vi fossero riusciti, avrebbero almeno devastato i campi dei Remi, per noi assolutamente necessari alla condotta della guerra, tagliandoci i rifornimenti.
   
10. Caesar certior factus ab Titurio omnem equitatum et levis armaturae Numidas, funditores sagittariosque pontem traducit atque ad eos contendit. Acriter in eo loco pugnatum est. Hostes impeditos nostri in flumine adgressi magnum eorum numerum occiderunt; per eorum corpora reliquos audacissime transire conantes multitudine telorum reppulerunt primosque, qui transierant, equitatu circumventos interfecerunt. Hostes, ubi et de expugnando oppido et de flumine transeundo spem se fefellisse intellexerunt neque nostros in locum iniquiorum progredi pugnandi causa viderunt atque ipsos res frumentaria deficere coepit, concilio convocato constituerunt optimum esse domum suam quemque reverti, et quorum in fines primum Romani exercitum introduxissent, ad eos defendendos undique convenirent, ut potius in suis quam in alienis finibus decertarent et domesticis copiis rei frumentariae uterentur. Ad eam sententiam cum reliquis causis haec quoque ratio eos deduxit, quod Diviciacum atque Haeduos finibus Bellovacorum adpropinquare cognoverant. His persuaderi ut diutius morarentur neque suis auxilium ferrent non poterat. 10. Cesare, avvertito da Titurio, punta contro di loro portando al di là del ponte tutta la cavalleria, i Numidi armati alla leggera, i frombolieri e gli arcieri. Vi fu un'aspra battaglia. I nostri, assaliti i nemici in difficoltà durante il guado, ne fecero strage; gli altri, che con audacia straordinaria tentavano di passare sui cadaveri, furono respinti da una pioggia di frecce; quanti riuscirono a raggiungere l'altra riva furono circondati dalla cavalleria e massacrati. I nemici, quando si resero conto che non avrebbero potuto espugnare la città di Bibratte, né passare il fiume, e che i nostri non sarebbero avanzati per dar battaglia su un terreno sfavorevole, visto anche che le loro scorte di frumento cominciavano a scarseggiare, convocato un consiglio, decisero che sarebbe stato più opportuno tornare ciascuno nel proprio paese, per correre poi tutti in aiuto del popolo che per primo fosse stato assalito dall'esercito romano. Avrebbero avuto così il vantaggio di combattere sul proprio terreno e di servirsi delle scorte di grano che avevano in patria. Un altro motivo li spingeva a prendere questa risoluzione: avevano saputo che Diviziaco e gli Edui si avvicinavano alle terre dei Bellovaci e non era stato possibile persuadere questi ultimi a fermarsi più a lungo, senza portare aiuto ai propri concittadini.