51.
Nostri, cum undique premerentur, XLVI centurionibus amissis deiecti sunt
loco. Sed intolerantius Gallos insequentes legio decima tardavit, quae pro
subsidio paulo aequiore loco constiterat. Hanc rursus XIII legionis
cohortes exceperunt, quae ex castris minoribus eductae cum Tito Sextio
legato ceperant locum superiorem. Legiones, ubi primum planitiem
attigerunt, infestis contra hostes signis constiterunt. Vercingetorix
ab radicibus collis suos intra munitiones reduxit. Eo die milites sunt
paulo minus septingenti desiderati. |
51.
I nostri, assaliti da ogni parte, perduti quarantasei centurioni, furono
costretti ad abbandonare la posizione. Ma la X legione, che era schierata
di riserva in una posizione leggermente più favorevole, frenò il furioso
inseguimento dei Galli, appoggiata a sua volta dalle coorti della XIII
legione, che, uscite dal campo minore con il legato Tito Sestio si erano
attestate più in alto. Appena le legioni ebbero raggiunto la zona
pianeggiante, si fermarono volgendo le insegne contro il nemico.
Vercingetorige riportò le sue truppe dalla base del colle all'interno
delle fortificazioni. Quel giorno perdemmo poco meno di settecento
soldati. |
|
|
52.
Postero die Caesar contione advocata temeritatem cupiditatemque militum
reprehendit, quod sibi ipsi iudicavissent quo procedendum aut quid agendum
videretur, neque signo recipiendi dato constitissent neque ab tribunis
militum legatisque retineri potuissent. Exposuit quid iniquitas loci
posset, quid ipse ad Avaricum sensisset, cum sine duce et sine equitatu
deprehensis hostibus exploratam victoriam dimisisset, ne parvum modo
detrimentum in contentione propter iniquitatem loci accideret. Quanto
opere eorum animi magnitudinem admiraretur, quos non castrorum munitiones,
non altitudo montis, non murus oppidi tardare potuisset, tanto opere
licentiam arrogantiamque reprehendere, quod plus se quam imperatorem de
victoria atque exitu rerum sentire existimarent; nec minus se ab milite
modestiam et continentiam quam virtutem atque animi magnitudinem
desiderare. |
52.
Il giorno dopo, Cesare, convocata l'assemblea generale dell'esercito,
rimproverò la sconsideratezza e la cupidigia dei soldati, il fatto che
avessero deciso di propria iniziativa dove dovevano andare e cosa
dovevano fare, che non si fossero fermati al segnale della ritirata né si
fossero lasciati trattenere dai tribuni dei soldati e dai legati. Spiegò
quale importanza strategica avesse una posizione svantaggiosa, come lui
aveva capito ad Avarico, quando, pur avendo sorpreso i nemici senza capo e
senza cavalleria, aveva rinunciato a una sicura vittoria, per non subire
nello scontro la benché minima perdita dovuta alla posizione sfavorevole.
Quanto ammirava il coraggio di uomini, che né le fortificazioni del campo
nemico, né l'altezza del monte, né le mura della città avevano potuto
ostacolare, tanto più deplorava la loro indisciplina e arroganza, perché
pensavano di poter valutare meglio del loro generale le condizioni di una
vittoria e il successo di un'azione. Egli esigeva dai soldati disciplina e
obbedienza, non meno che coraggio e forza d'animo. |
|
|
53.
Hac habita contione et ad extremam orationem confirmatis militibus, ne ob
hanc causam animo permoverentur neu quod iniquitas loci attulisset id
virtuti hostium tribuerent, eadem de profectione cogitans quae ante
senserat legiones ex castris eduxit aciemque idoneo loco constituit. Cum
Vercingetorix nihil magis in aequum locum descenderet, levi facto equestri
proelio atque secundo in castra exercitum reduxit. Cum hoc idem postero
die fecisset, satis ad Gallicam ostentationem minuendam militumque animos
confirmandos factum existimans in Aeduos movit castra. Ne tum quidem
insecutis hostibus tertio die ad flumen Elaver venit; pontem refecit
exercitumque traduxit. |
53.
Terminato il discorso rivolgendo in conclusione parole di conforto ai
soldati, affinché non si lasciassero turbare dall'accaduto e non
attribuissero al valore dei nemici quanto era dipeso dalla posizione
sfavorevole, pur sempre convinto dell'opportunità della partenza, Cesare
fece uscire le legioni dall'accampamento e le schierò in ordine di
battaglia su un terreno favorevole. Poiché Vercingetorige continuava a
tenere le sue truppe al riparo delle fortificazioni e non scendeva in
pianura, dopo un piccolo scontro di cavalleria conclusosi favorevolmente,
ricondusse l'esercito al campo. Il giorno dopo Cesare attuò la stessa
manovra e, ritenendo di aver fatto abbastanza per mortificare la
tracotanza dei Galli e rassicurare i soldati, levò il campo e mosse verso
il territorio degli Edui. Senza che i nemici tentassero neppure di
inseguirli, dopo due giorni giunse al fiume Elaver, ricostruì il ponte e
fece passare l'esercito sull'altra sponda. |
|
|
54.
Ibi a Viridomaro atque Eporedorige Aeduis appellatus discit cum omni
equitatu Litaviccum ad sollicitandos Aeduos profectum: opus esse ipsos
antecedere ad confirmandam civitatem. Etsi multis iam rebus perfidiam
Aeduorum perspectam habebat atque horum discessu admaturari defectionem
civitatis existimabat, tamen eos retinendos non constituit, ne aut inferre
iniuriam videretur aut dare timoris aliquam suspicionem. Discedentibus his
breviter sua in Aeduos merita exposuit, quos et quam humiles accepisset,
compulsos in oppida, multatos agris omnibus ereptis copiis, imposito
stipendio, obsidibus summa cum contumelia extortis, et quam in fortunam
quamque in amplitudinem deduxisset, ut non solum in pristinum statum
redissent, sed omnium temporum dignitatem et gratiam antecessisse
viderentur. His
datis mandatis eos ab se dimisit. |
54.
Qui giunto, viene informato dagli Edui Viridomaro ed Eporedorige, che gli
avevano chiesto un colloquio, che Litavicco era partito con tutta la
cavalleria per cercare di sollevare gli Edui; era opportuno che loro due
lo Precedessero per mantenergli fedele la nazione. Sebbene Cesare avesse
già avuto modo in diverse occasioni di sperimentare la perfidia degli
Edui e ritenesse che la loro partenza non avrebbe fatto altro che
accelerare la defezione della nazione, decise tuttavia di non trattenerli,
per non dare l'impressione di volerli offendere o suscitare il sospetto di
una sua qualche inquietudine. Al momento della loro partenza espose in
breve quali titoli di riconoscenza poteva vantare nei confronti degli Edui:
chi erano e in quali condizioni si trovavano quando li aveva accolti sotto
la sua protezione, costretti a rinchiudersi nelle roccheforti, spogliati
delle loro terre, privati delle loro alleanze, costretti a pagare un
tributo e a consegnare ostaggi nella maniera più umiliante; a quale
ricchezza e potenza egli li aveva portati, al punto che non solo si
vedevano reintegrati nel primitivo stato, ma godevano di una dignità e
potenza mai raggiunte. Con l'incarico di riferire queste sue parole, li
congedò. |
|
|
55.
Noviodunum erat oppidum Aeduorum ad ripas Ligeris opportuno loco positum.
Huc Caesar omnes obsides Galliae, frumentum, pecuniam publicam, suorum
atque exercitus impedimentorum magnam partem contulerat; huc magnum
numerum equorum huius belli causa in Italia atque Hispania coemptum
miserat. Eo cum Eporedorix Viridomarusque venissent et de statu civitatis
cognovissent, Litaviccum Bibracti ab Aeduis receptum, quod est oppidum
apud eos maximae auctoritatis, Convictolitavim magistratum magnamque
partem senatus ad eum convenisse, legatos ad Vercingetorigem de pace et
amicitia concilianda publice missos, non praetermittendum tantum commodum
existimaverunt. Itaque interfectis Novioduni custodibus quique eo
negotiandi causa convenerant pecuniam atque equos inter se partiti sunt;
obsides civitatum Bibracte ad magistratum deducendos curaverunt; oppidum,
quod a se teneri non posse iudicabant, ne cui esset usui Romanis,
incenderunt; frumenti quod subito potuerunt navibus avexerunt, reliquum
flumine atque incendio corruperunt. Ipsi ex finitimis regionibus copias
cogere, praesidia custodiasque ad ripas Ligeris disponere equitatumque
omnibus locis iniciendi timoris causa ostentare coeperunt, si ab re
frumentaria Romanos excludere aut adductos inopia in provinciam expellere
possent. Quam ad spem multum eos adiuvabat, quod Liger ex nivibus creverat,
ut omnino vado non posse transiri videretur. |
55.
Novioduno era una città degli Edui situata in buona posizione sulle
rive della Loira. Cesare vi aveva radunato gli ostaggi di tutte le nazioni
galliche, il frumento, il denaro pubblico e gran parte dei bagagli suoi e
dell'esercito; vi aveva anche inviato un gran numero di cavalli acquistati
in Italia e in Spagna per questa guerra. Quando Eporedorige e Viridomaro
vi giunsero, vennero a conoscenza dello stato delle cose nella loro
nazione: Litavicco era stato accolto dagli Edui a Bibratte, una città che
gode presso di loro di una grande influenza; Convittolitave, il sommo
magistrato, si era recato da lui con gran parte del senato, ed erano stati
inviati ambasciatori a Vercingetorige, con pubblica delibera, per
concludere un trattato di pace e di alleanza. Ritennero quindi di dover
approfittare di un'occasione tanto vantaggiosa. Massacrata la guarnigione
di stanza di Novioduno e quanti vi si trovavano per commerciare o per
viaggio, spartirono tra di loro il denaro e i cavalli e fecero condurre
gli ostaggi delle varie nazioni a Bibratte presso il sommo magistrato; la
città, che ritenevano di non poter difendere, la incendiarono, perché
non fosse di alcuna utilità ai Romani; caricarono sulle barche e
portarono via tutto il frumento possibile, sul momento, distrussero il
resto nell'incendio o gettandolo nel fiume. Si dettero ad arruolare
personalmente truppe dalle regioni confinanti, a disporre presidi e
guarnigioni sulle rive della Loira, a far comparire in ogni zona la
cavalleria per incutere timore, nell'intento di tagliare i rifornimenti di
grano ai Romani o ricacciarli nella loro provincia dopo averli ridotti
alla fame. Li sosteneva nella loro speranza il fatto che la Loira era in
piena per lo scioglimento delle nevi e passarla a guado appariva
assolutamente impossibile. |