86.
His rebus cognitis Caesar Labienum cum cohortibus sex subsidio
laborantibus mittit: imperat, si sustinere non posset, deductis cohortibus
eruptione pugnaret; id nisi necessario ne faciat. Ipse adit reliquos,
cohortatur ne labori succumbant; omnium superiorum dimicationum fructum in
eo die atque hora docet consistere. Interiores desperatis campestribus
locis propter magnitudinem munitionum loca praerupta ex ascensu temptant:
huc ea quae paraverant conferunt. Multitudine telorum ex turribus
propugnantes deturbant, aggere et cratibus fossas explent, falcibus vallum
ac loricam rescindunt. |
86.
Vista la situazione, Cesare manda Labieno con sei coorti in aiuto al
presidio in difficoltà; ordina che, se non riesce a mantenere la
posizione, faccia uscire le coorti e contrattacchi, ma solo se è
necessario. Si reca di persona presso le altre truppe e le esorta a
non lasciarsi sopraffare dalla fatica: questo è il giorno, il momento, in
cui coglieranno il frutto di tutte le precedenti battaglie. Gli assediati,
disperando di poter sfondare la possente linea fortificata del piano,
tentano di scalare le alture portando con sé quanto avevano. Con una
pioggia di proiettili respingono i difensori dalle torri, riempiono le
fosse con terra e graticci, demoliscono con le falci il vallo e il
rivestimento. |
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87.
Mittit primo Brutum adulescentem cum cohortibus Caesar, post cum aliis
Gaium Fabium legatum; postremo ipse, cum vehementius pugnaretur, integros
subsidio adducit. Restituto proelio ac repulsis hostibus eo quo Labienum
miserat contendit; cohortes quattuor ex proximo castello deducit, equitum
partem sequi, partem circumire exteriores munitiones et ab tergo hostes
adoriri iubet. Labienus, postquam neque aggeres neque fossae vim hostium
sustinere poterant, coactis una XL cohortibus, quas ex proximis praesidus
deductas fors obtulit, Caesarem per nuntios facit certiorem quid faciendum
existimet. Accelerat Caesar, ut proelio intersit. |
87.
Cesare manda dapprima il giovane Bruto con alcune coorti, poi il legato
Gaio Fabio con delle altre; infine, mentre infuriava la battaglia, conduce
personalmente forze fresche. Riequilibrate le sorti della battaglia e
respinto il nemico, muove verso il settore in cui aveva mandato Labieno;
fa uscire quattro coorti dal forte più vicino, ordina che una parte della
cavalleria lo segua, mentre l'altra, passando intorno alle fortificazioni
esterne, assalga il nemico alle spalle. Labieno, visto che né il
terrapieno, né il fossato riuscivano a contrastare l'assalto nemico,
riunisce trentanove coorti, che aveva avuto la fortuna di poter ritirare
dai forti vicini, e manda un messaggero a Cesare per informarlo di quanto
aveva intenzione di fare. Cesare si affretta per prender parte al
combattimento. |
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88.
Eius adventu ex colore vestitus cognito, quo insigni in proeliis uti
consuerat, turmisque equitum et cohortibus visis quas se sequi iusserat,
ut de locis superioribus haec declivia et devexa cernebantur, hostes
proelium committunt. Vtrimque clamore sublato excipit rursus ex vallo
atque omnibus munitionibus clamor. Nostri omissis pilis gladiis rem gerunt.
Repente post tergum equitatus cernitur; cohortes aliae appropinquant.
Hostes terga vertunt; fugientibus equites occurrunt. Fit magna caedes.
Sedulius, dux et princeps Lemovicum, occiditur; Vercassivellaunus Arvernus
vivus in fuga comprehenditur; signa militaria septuaginta quattuor ad
Caesarem referuntur: pauci ex tanto numero se incolumes in castra
recipiunt. Conspicati ex oppido caedem et fugam suorum desperata salute
copias a munitionibus reducunt. Fit protinus hac re audita ex castris
Gallorum fuga. Quod nisi crebris subsidiis ac totius diei labore milites
essent defessi, omnes hostium copiae deleri potuissent. De media nocte
missus equitatus novissimum agmen consequitur: magnus numerus capitur
atque interficitur; reliqui ex fuga in civitates discedunt. |
88.
Riconosciuto, al suo arrivo, dal colore del mantello che di solito
indossava in battaglia come segno di riconoscimento, avvistati gli
squadroni di cavalleria e le coorti che lo seguivano, poiché dalle alture
si vedevano i pendii e i declivi per i quali passavano, i nemici attaccano
battaglia. Si leva da entrambe le parti il grido di guerra cui risponde
dal vallo e da tutte le fortificazioni un altro grido. I nostri, lasciati
da parte i giavellotti, combattono corpo a corpo con le spade. La
cavalleria compare improvvisamente alle spalle; altre coorti si
avvicinano. I nemici volgono in fuga; la cavalleria affronta i fuggitivi.
Ci fu una grande strage. Cade Sedullo, comandante e principe dei
Lemovici, l'Arverno Vercassivellauno viene preso vivo durante la fuga,
vengono consegnate a Cesare settantaquattro insegne militari; di un
esercito così numeroso, pochi tornano incolumi all'accampamento. Dalla
città vedono la strage e la fuga dei loro compagni: perduta ogni
speranza, richiamano le truppe che stavano dando l'assalto alle nostre
fortificazioni. Il segnale della ritirata, udito dal campo, produce
l'immediata fuga dei Galli. Se i nostri soldati non fossero stati sfiniti
per i frequenti interventi sul campo e per la fatica dell'intera giornata
di combattimento, tutte le forze nemiche sarebbero state distrutte. La
cavalleria, lanciata all'inseguimento, raggiunge intorno alla mezzanotte
la retroguardia; molti vengono catturati e uccisi, gli altri, in fuga,
raggiungono le loro nazioni. |
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89.
Postero die Vercingetorix concilio convocato id bellum se suscepisse non
suarum necessitatium, sed communis libertatis causa demonstrat, et quoniam
sit fortunae cedendum, ad utramque rem se illis offerre, seu morte sua
Romanis satisfacere seu vivum tradere velint. Mittuntur de his rebus ad
Caesarem legati. Iubet arma tradi, principes produci. Ipse in munitione
pro castris consedit: eo duces producuntur; Vercingetorix deditur, arma
proiciuntur. Reservatis Aeduis atque Arvernis, si per eos civitates
reciperare posset, ex reliquis captivis toto exercitui capita singula
praedae nomine distribuit. |
89.
Il giorno dopo Vercingetorige convoca l'assemblea, ribadisce di non aver
intrapreso questa guerra per fini personali, ma per la comune libertà, e
poiché bisognava cedere alla Fortuna, egli si offriva ai Galli, pronto a
qualsiasi decisione, sia che avessero voluto placare i Romani con la sua
morte, sia che avessero voluto consegnarlo vivo. Si mandano ambasciatori
a Cesare per decidere sulla questione. Egli ordina di consegnare le armi e
di portargli i capi. Cesare è assiso davanti al campo, sulle
fortificazioni, qui vengono portati i capì gallici. Vercingetorige viene
consegnato, le armi vengono gettate ai suoi piedi. Messi da parte gli
Edui e gli Arverni, per servirsene eventualmente nel tentativo di
recuperarne le nazioni, distribuisce tutti gli altri prigionieri ai
soldati, come bottino, in ragione di uno a testa. |
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90.
His rebus confectis in Aeduos proficiscitur; civitatem recipit. Eo legati
ab Arvernis missi quae imperaret se facturos pollicentur. Imperat magnum
numerum obsidum. Legiones in hiberna mittit. Captivorum circiter viginti
milia Aeduis Arvernisque reddit. Titum Labienum duabus cum legionibus et
equitatu in Sequanos proficisci iubet: huic Marcum Sempronium Rutilum
attribuit. Gaium Fabium legatum et Lucium Minucium Basilum cum legionibus
duabus in Remis collocat, ne quam ab finitimis Bellovacis calamitatem
accipiant. Gaium Antistium Reginum in Ambivaretos, Titum Sextium in
Bituriges, Gaium Caninium Rebilum in Rutenos cum singulis legionibus
mittit. Quintum Tullium Ciceronem et Publium Sulpicium Cabilloni et
Matiscone in Aeduis ad Ararim rei frumentariae causa collocat. Ipse
Bibracte hiemare constituit. His litteris cognitis Romae dierum viginti
supplicatio redditur. |
90.
Fatto ciò, si reca nel paese degli Edui ed accetta la resa della nazione.
Qui viene raggiunto da una delegazione degli Arverni, che si dichiarano
pronti ad obbedire a ogni sua richiesta. Impone la consegna di un gran
numero di ostaggi. Restituisce circa ventimila prigionieri agli Edui e
agli Arverni. Invia le legioni nei quartieri d'inverno. Ordina a Tito
Labieno di recarsi con due legioni e la cavalleria nel territorio dei
Sequani: gli assegna Marco Sempronio Rutilo. Colloca Gaio Fabio e Lucio
Minucio Basilo con due legioni nel paese dei Remi, per proteggerli da
eventuali attacchi dei Bellovaci. Manda Gaio Antistio Regino presso gli
Ambivareti, Tito Sestio dai Biturigi, Gaio Caninio Rebilo tra i Ruteni,
con una legione ciascuno. Colloca Quinto Tullio Cicerone e Publio Sulpicio
a Cabillone e Matiscone, presso l'Arar, nel paese degli Edui, con
l'incarico di provvedere agli approvvigionamenti di frumento. Quanto a
lui, decide di passare l'inverno a Bibratte. Per le imprese di quell'anno,
riferite a Roma dai rapporti di Cesare, vengono tributati venti giorni di
solenni cerimonie di ringraziamento agli dèi. |