16. Caesar, etsi discessum hostium animadvertere non poterat incendiis oppositis, tamen id consilium cum fugae causa initum suspicaretur, legiones promovet, turmas mittit ad insequendum; ipse veritus insidias, ne forte in eodem loco subsistere hostis atque elicere nostros in locum conaretur iniquum, tardius procedit. Equites cum intrare fumum et flammam densissimam timerent ac, si qui cupidius intraverant, vix suorum ipsi priores partes animadverterent equorum, insidias veriti liberam facultatem sui recipiendi Bellovacis dederunt. Ita fuga timoris simul calliditatisque plena sine ullo detrimento milia non amplius decem progressi hostes loco munitissimo castra posuerunt. Inde cum saepe in insidiis equites peditesque disponerent, magna detrimenta Romanis in pabulationibus inferebant. 16. Anche se la barriera di fiamme impediva a Cesare di accor­gersi della fuga del nemico, egli sospettava che lo stratagemma fosse stato messo in atto a questo scopo; fece quindi avanzare le legioni e lanciò all'inseguimento gli squadroni di cavalleria. Temendo tuttavia un agguato, procedeva lentamente, nel caso che il nemico fosse rimasto sul posto e tentasse di portare i nostri su un terreno sfavorevole. I cavalieri esitavano ad addentrarsi tra il fumo e le fiamme densissime, e se alcuni con maggiore audacia vi si inoltravano, a stento riuscivano a vedere la testa dei loro stessi cavalli; temendo quindi un'imboscata, dettero modo ai Bellovaci di ritirarsi liberamente. In questo modo i nemici, in una fuga dettata dal timore, ma eseguita con astuzia, percorse senza perdite non più di dieci miglia, si accamparono in posizione vantaggiosissima. Di là, tendendo continui agguati con truppe di fanteria e cavalleria, infliggevano gravi perdite ai Romani, quando uscivano per procurarsi il foraggio.
   
17. Quod cum crebrius accideret, ex captivo quodam comperit Caesar Correum, Bellovacorum ducem, fortissimorum milia sex peditum delegisse equitesque ex omni numero mille, quos in insidiis eo loco collocaret, quem in locum propter copiam frumenti ac pabuli Romanos missuros suspicaretur. Quo cognito consilio legiones plures quam solebat educit equitatumque, qua consuetudine pabulatoribus mittere praesidio consuerat, praemittit: huic interponit auxilia levis armaturae; ipse cum legionibus quam potest maxime appropinquat. 17. Gli incidenti si succedevano senza sosta, quando Cesare venne a sapere da un prigioniero che Correo, capo dei Bellovaci, aveva scelto tra tutti seimila fanti valorosissimi e mille cavalieri con i quali tendere un agguato nel luogo in cui sospettava si sarebbero recati i Romani a far foraggio, perché particolarmente ricco di frumento e di pascolo. Scoperto il piano, Cesare fa uscire più legioni del solito, e manda avanti la solita scorta di cavalleria che aveva il compito di proteggere i foraggiatori; vi interpone le truppe ausiliarie armate alla leggera e prende personalmente il comando delle legioni, avvicinandosi il più possibile.
   
18. Hostes in insidus dispositi, cum sibi delegissent campum ad rem gerendam non amplius patentem in omnes partes passibus mille, silvis undique aut impeditissimo flumine munitum, velut indagine hunc insidiis circumdederunt. Explorato hostium consilio nostri ad proeliandum animo atque armis parati, cum subsequentibus legionibus nullam dimicationem recusarent, turmatim in eum locum devenerunt. Quorum adventu cum sibi Correus oblatam occasionem rei gerendae existimaret, primum cum paucis se ostendit atque in proximas turmas impetum fecit. Nostri constanter incursum sustinent insidiatorum neque plures in unum locum conveniunt; quod plerumque equestribus proeliis cum propter aliquem timorem accidit, tum multitudine ipsorum detrimentum accipitur. 18. 1 nemici che stavano in agguato, avendo scelto per condurre l'operazione un campo non più largo di un miglio in tutte le direzioni, completamente circondato da boschi impenetrabili e protetto da un fiume molto profondo, lo strinsero come in una rete. I nostri, al corrente del piano nemico, pronti a combattere con le armi e nell'animo, perché, sentendosi appoggiati dalle legioni, non rifiutavano nessun genere di scontro, scesero nel campo uno squadrone dietro l'altro. Al loro arrivo, Correo pensò che gli si offrisse l'occasione di attuare il piano: si mostrò in un primo momento con pochi uomini e mosse all'assalto dei primi squadroni. I nostri sostengono con fermezza l'assalto ed evitano di ammassarsi in un sol luogo, una manovra che, negli scontri di cavalleria, rende pericolo­so per i combattenti il loro stesso numero, nel caso vi sia un mo­mento di panico.
   
19. Cum dispositis turmis in vicem rari proeliarentur neque ab lateribus circumveniri suos paterentur, erumpunt ceteri Correo proeliante ex silvis. Fit magna contentione diversum proelium. Quod cum diutius pari Marte iniretur, paulatim ex silvis instructa multitudo procedit peditum, quae nostros coegit cedere equites. Quibus celeriter subveniunt levis armaturae pedites, quos ante legiones missos docui, turmisque nostrorum interpositi constanter proeliantur. Pugnatur aliquamdiu pari contentione; deinde, ut ratio postulabat proeli, qui sustinuerant primos impetus insidiarum hoc ipso fiunt superiores, quod nullum ab insidiantibus imprudentes acceperant detrimentum. Accedunt propius interim legiones, crebrique eodem tempore et nostris et hostibus nuntii adferuntur, imperatorem instructis copiis adesse. Qua re cognita praesidio cohortium confisi nostri acerrime proeliantur, ne, si tardius rem gessissent, victoriae gloriam communicasse cum legionibus viderentur; hostes concidunt animis atque itineribus diversis fugam quaerunt. Nequiquam: nam quibus difficultatibus locorum Romanos claudere voluerant, eis ipsi tenebantur. Victi tamen perculsique maiore parte amissa consternati profugiunt partim silvis petitis, partim flumine (qui tamen in fuga a nostris acriter insequentibus conficiuntur), eum interim nulla calamitate victus Correus excedere proelio silvasque petere aut invitantibus nostris ad deditionem potuit adduci, quin fortissime proeliando compluresque vulnerando cogeret elatos iracundia victores in se tela conicere. 19. I nostri squadroni di cavalleria, mantenendo le formazioni, combattevano a turno in ordine sparso, per evitare che la fanteria venisse circondata sui fianchi, quando, mentre Correo era impegnato nel combattimento, il resto dei nemici irrompe dal bosco. La battaglia si inasprisce e si diversifica. A lungo le forze si equilibrano, il grosso della fanteria nemica si fa avanti poco alla volta, uscendo dal bosco, e costringe la nostra cavalleria a ripiegare. Ma questa viene prontamente soccorsa dalla fanteria leggera che, come ho detto, precedeva le legioni e, inserendosi nei ranghi della cavalleria, combatte con fermezza. Si combatte per un certo tempo ad armi pari, poi, come stabilito dai principi della scienza bellica, quelli che per primi avevano sostenuto l'attacco nemico hanno il sopravvento, proprio perché, aspettandosi l'agguato, non avevano subito alcun danno. Intanto le legioni si avvicinano: tanto ai nostri che al nemico giungono contemporaneamente reiterati messaggi: il generale arriva con le truppe in ordine di combattimento. A questa notizia, i nostri, confortati dall'appoggio delle legioni, combattono con maggiore accanimento per concludere in fretta, non volendo dividere con le legioni l'onore della vittoria. I nemici si perdono d'animo e cercano in ogni direzione una via di scampo. Invano: erano intrappolati nelle stesse strettoie in cui avevano voluto chiudere i Romani. Vinti, battuti, perduta la maggior parte dei loro, costernati, fuggono a caso, gettandosi chi nei boschi, chi nel fiume. Ma i nostri, lanciati all'inseguimento, li raggiungono in fuga, mentre Correo, per nulla abbattuto dalla disfatta, non si lascia convincere a lasciare la battaglia e a rifugiarsi nei boschi, né cede ai nostri ripetuti inviti alla resa, ma combattendo con grande coraggio e ferendo molti dei nostri, costringe i vincitori a lasciarsi travolgere dall'ira e a crivellarlo di colpi.
   
20. Tali modo re gesta recentibus proeli vestigiis ingressus Caesar, cum victos tanta calamitate existimaret hostes nuntio accepto locum castrorum relicturos, quae non longius ab ea caede abesse plus minus octo milibus dicebantur, tametsi flumine impeditum transitum videbat, tamen exercitu traducto progreditur. At Bellovaci reliquaeque civitates repente ex fuga paucis atque his vulneratis receptis, qui silvarum benefieio casum evitaverant, omnibus adversis, cognita calamitate, interfecto Correo, amisso equitatu et fortissimis pcditibus, cum adventare Romanos existimarent, concilio repente cantu tubarum convocato conclamant, legati obsidesque ad Caesarem mittantur. 20. Mentre così si concludeva l'operazione, Cesare giunge che erano ancora freschi i segni della battaglia. Pensando che i nemici, abbattuti per una tale disfatta, quando ne avessero avuta notizia, avrebbero abbandonato l'accampamento, la cui distanza dal luogo della strage si diceva non superasse le otto miglia circa, nonostante il serio ostacolo costituito dal fiume, fa passare l'esercito e avanza. I Bellovaci e le altre nazioni, dopo essersi visti arrivare all'improvviso, in fuga, i pochi, e per di più feriti, che erano riusciti a scampare alla morte riparando nei boschi, in una situazione totalmente sfavorevole, saputo della disfatta, della morte di Correo, della perdita della cavalleria e di tutti gli elementi migliori della fanteria, ritenendo prossimo l'arrivo dei Romani, convocano in fretta l'assemblea al suono delle trombe e chiedono tutti a gran voce che si mandino a Cesare ambasciatori e ostaggi