XIV. Il leone regnante



Tacere è un tormento, parlare una pena.

Essendosi creato re delle fiere il leone,
e volendo raggiungere la fama di equità,
sviò dalla antica abitudine,
e tra quelle contento di poco cibo
rendeva i sacri diritti con incorrotta lealtà.
Dopo che cominciò a vacillare per pentimento

e non poetndo mutare natura, cominciò a chiamare alcuni e con inganno chiedere se gli puzzasse la bocca. Quelli che dicevano “puzza” e che dicevano “ Non puzza”, li sbranava tuttavia tutti, così che era saziato di sangue. Avendo fatto questo a molti, poi interrogava la scimmia se avesse puzzo in bocca. Egli disse che odorava quasi di cinnamomo e quasi degli altari degli dei. Il leone  arrossì per l’adulatore, ma per ingannare, cambiò lealtà e cercò l’inganno e
 si fingeva languire.
Subito vennero i medici; e questi, come toccarono le vene e videro il polso sano, lo persuasero a prendere del cibo che fosse leggero e levasse il fastidio per la digestione, come tutte le cose sono lecite ai re.
”Mi è ignota, disse, la carne di scimmia; vorrei provarla.” Come parlò, subito la benparlante scimmia viene uccisa, perché presto prendesse la sua carne come cibo.
Unica è infatti la pena di chi parla e di chi non parla.