1946-1948 nasce la Terza Italia


Da qualche tempo il dibattito sulle riforme costituzionali è al centro dell’attenzione dei mass media. Ciò è pienamente giustificato dall’importanza e dallo spessore che stanno assumendo i lavori della Commissione Bicamerale istituita per deliberare un progetto di revisione costituzionale da sottoporre alle aule parlamentari. Vi è la sensazione che su queste tematiche per la prima volta ci sia la possibilità di passare da una sfera quasi esclusivamente accademica ad una concreta ipotesi riformatrice. In presenza di tale contesto quindi non è fuori luogo ripercorrere, anche in modo necessariamente sintetico, gli eventi che portarono dalla caduta del Fascismo alla formazione di un nuovo Patto costituzionale fra i cittadini italiani, anche per meglio capire in quale direzione è opportuno che vadano le riforme e soprattutto quali contenuti è bene che vengano preservati.

La ricostruzione può partire ricordando l’organo politico attorno quale ruoterà la vita politica ed istituzionale del Paese negli anni della resistenza: il C.L.N. Il Comitato di Liberazione Nazionale, costituito all’indomani dell’8 settembre 1943, comprendeva al proprio interno tutti gli orientamenti antifascisti: dai comunisti ai liberali, dai socialisti agli azionisti ai cattolici democratici. Questa unitarietà delle forze antifasciste, fu uno degli elementi fondamentali del passaggio dalla dittatura alla democrazia e caratterizzerà, come vedremo, tutta la fase costituente. Quasi subito si venne a creare un contrasto tra il C.L.N. e la Monarchia su una questione costituzionale di primaria importanza.

Materia del contendere era stabilire se la futura trasformazione dello Stato, a guerra finita, avrebbe dovuto essere affidata agli organi previsti dallo Statuto Albertino, Carta costituzionale in quel momento ancora in vigore, oppure sarebbe stato necessario indire una apposita assemblea con poteri costituenti, cioè per scrivere una Carta Costituzionale "ex novo". Questo, lungi dall’essere un problema eminentemente giuridico, era una questione politica molto seria. La Real Casa temeva infatti, ed a ragione, che la discontinuità rispetto alla Legge Fondamentale che, sia pure talvolta solo formalmente, aveva retto il Regno fin dai tempi dell’Unità d’Italia, avrebbe potuto comportare anche la fine dell’istituzione monarchica. Il conflitto si risolse nella primavera del 1944 con la cosiddetta "tregua istituzionale".


- GRANDE SVOLTA: DIRITTO DI VOTO PER TUTTI

In virtù di questo compromesso istituzionale, il Governo Badoglio, formato subito dopo il Colpo di Stato del 25 luglio 1943, lasciava il posto ad un Esecutivo presieduto da Ivanoe Bonomi, espressione di tutte le forze facenti parte del C.L.N.. Di lì a poco Vittorio Emanuele III, pur non abdicando formalmente, si ritirò a vita privata nominando il figlio Umberto I "Luogotenente generale del Re". Inoltre, un decreto-legge del 25 giugno 1994 sancì l’indizione di una Assemblea Costituente che avrebbe deliberato "la nuova Costituzione dello Stato", disponendo al contempo che "i ministri ... giurano sul loro onore...di non compiere, fino alla convocazione dell’Assemblea Costituente, atti che comunque pregiudichino la soluzione della questione istituzionale". Successivamente il conflitto si spostò su quale dovesse essere l’organo deputato a scegliere tra Monarchia e Repubblica: l’Assemblea Costituente o il Corpo elettorale.

Dopo molti contrasti, un decreto del marzo 1946 stabilì che la scelta sarebbe stata compiuta dal voto popolare a suffragio universale. Una decisione di portata epocale. Per la prima volta nella storia ciascun cittadino maggiorenne avrebbe potuto incidere sull’assetto istituzionale e politico dello Stato italiano, e questo a soli tre anni dalla fine della dittatura e ad un anno dalla fine della seconda guerra mondiale. Il 9 maggio 1944, a pochi giorni dal voto, Vittorio Emanuele III tentò un colpo di scena finale: l’abdicazione in favore del figlio Umberto, che così da "Luogotenente del regno" divenne Re, appunto il "Re di maggio" come verrà poi per sempre ricordato. L’estremo tentativo di Vittorio Emanuele può essere agevolmente spiegabile. Al suo aiutante di campo, generale Puntoni, che gli faceva osservare come tale comportamento avrebbe potuto ingenerare nell’opinione pubblica la convinzione di una fuga del sovrano davanti al voto popolare, il vecchio monarca rispose con voce aspra e tagliente: "Con l’abdicazione la posizione di mio figlio e della dinastia risulteranno consolidate. Ciò che pensa l’opinione pubblica non mi importa affatto...".


- REFERENDUM: LA MONARCHIA E’ FINITA

Ma il 2 giugno 1946 i cittadini, chiamati alle urne per il referendum istituzionale e per l’elezione dei membri dell’Assemblea Costituente, si espressero a favore della Repubblica, ponendo definitivamente la parola "fine" su di una istituzione e un Casato che, fra luci (Risorgimento ed Unità nazionale) ed ombre (accondiscendenza nei confronti del Fascismo ed ignominiosa fuga a Brindisi), aveva caratterizzato circa un secolo di Storia italiana. I risultati del voto furono proclamati dalla Cassazione un paio di settimane più tardi: la Repubblica aveva vinto con circa due milioni di voti di scarto. L’esito della consultazione popolare sortì due effetti.

Da una parte confermò i timori nutriti dalle forze favorevoli alla Repubblica, in particolare Comunisti, Socialisti e Azionisti, che il voto meridionale e femminile andasse in prevalenza alla Monarchia; tanto che queste forze spinsero fortemente affinché anche questa scelta fosse compiuta dalla Costituente; dall’altra, viceversa, la consultazione popolare aveva sancito e consacrato in modo definitivo l’opzione repubblicana.

Il 13 giugno 1946, dopo alcuni giorni di forte tensione politica, Umberto II lasciò l’Italia. I risultati delle elezioni per l’Assemblea Costituente, tenutesi con metodo proporzionale, avevano disegnato un quadro politico abbastanza preciso. Erano stati premiati soprattutto i grandi partiti di massa: D.C., P.S.I. e P.C.I.. Ma ciò che più contava, al di là delle configurazioni delle singole forze politiche, era la contemporanea presenza nell’Assemblea dei tre principali filoni politico-culturali del Paese, e cioè la cultura cattolica, quella marxista e quella liberale con tutte le diverse articolazioni ed orientamenti.

La nuova Assemblea si insediò il 25 giugno 1946 e, come primo atto, elesse Giuseppe Saragat suo Presidente, e pochi giorni dopo Enrico De Nicola Capo provvisorio dello Stato. Furono eletti membri della Costituente tutti i più importanti nomi del mondo politico, giuridico e culturale dell’epoca: da Croce a Einaudi, da Togliatti a Nenni, da Mortati a De Gasperi , da Calamandrei a Dossetti. Per accelerare e snellire i lavori, il 19 luglio 1946 fu affidato ad una apposita "Commissione per la Costituzione" il compito di redigere il testo base, da sottoporre poi all’intera Assemblea. Questa commissione era composta di 75 membri, scelti proporzionalmente fra le varie componenti della Costituente.


- LA COSTITUENTE COMINCIA IL LAVORO

A sua volta si divise poi in tre Sottocommissioni. Una si sarebbe occupata della parte del progetto relativa ai "diritti e doveri dei cittadini", un’altra dell’ordinamento costituzionale della repubblica" e la terza dei diritti e doveri economico-sociali (talvolta sovrapponendosi alla prima). Al termine dei lavori delle Sottocommissioni, fu affidato il compito di coordinarne i risulatti ad un "Comitato di redazione" composto di 18 membri, in buona parte giuristi.

La Commmissione dei 75 recepì gran parte del lavoro compiuto dal "Comitato di redazione", e presentò al "plenum" dell’Assemblea un progetto definitivo il 31 gennaio 1947. L’approvazione finale del testo definitivo avvenne il 22 dicembre 1947; il 27 la Carta fu promulgata dal Capo provvisorio dello Stato ed il 1 gennaio 1948 entrò in vigore, come espressamente stabilito dalla XVIII disposizione transitoria.

I lunghi mesi del ‘46-’47 furono caratterizzati da due elementi fondamentali. Da una parte il cosiddetto "spirito costituente", e cioè l’idea che, pur nelle diverse impostazioni ideologiche, le forze politiche dovessero trovare un accordo che costituisse la "casa comune" di tutti gli italiani, dall’altra la netta distinzione fra il lavoro della Costituente e l’attività di Governo. Sotto il primo aspetto, era comune a tutti i raggruppamenti politici la ricerca di un accordo che consentisse al nostro Paese di entrare in una fase nuova della propria storia e al tempo stesso lo preservasse dal pericolo di un ritorno al regime dittatoriale. In quest’ottica era chiaro a tutti che si dovesse in primo luogo porre l’attenzione sui punti cardine del nuovo Patto costituzionale e che questi principi fossero accettati e condivisi dallo schieramento più ampio possibile. Lo spirito dei costituenti (una classe politica ed intellettuale infinitamente di livello più alto rispetto a quelle successive) fu quindi quello di lavorare, pur non dimenticando gli specifici orientamenti di ciascuno, alla realizzazione di un assetto istituzionale che consentisse il più ampio sviluppo democratico. In questo quadro si inserisce la separazione fra l’attività politica e di governo e i lavori dell’Assemblea.


- LE SINISTRE ESPULSE DAL GOVERNO

La prova più lampante di ciò fu costituita dalla cosiddetta "svolta" del maggio 1947, consistente nella estromissione dall’Esecutivo dei rappresentanti delle sinistre a seguito del mutamento di quadro politico venutosi a creare sia internamente che all’estero. In quei giorni De Gasperi formò un Governo monocolore, cioè composto esclusivamente da democristiani, con l’inclusione, in qualità di "tecnici", del liberale Einaudi al Bilancio e alla Vicepresidenza del Consiglio, del repubblicano Sforza e dell’indipendente Merzagora.

Con il mutamento di linea a seguito della decisione degasperiana, cambiò l’indirizzo politico-economico italiano. Quello che sarebbe poi diventato il nuovo Capo dello Stato si battè per una strenua difesa della lira attuando una severa politica creditizia; dal canto suo Merzagora al Commercio Estero, aumentò le imporatzioni di derrate alimentari, dando un duro colpo al mercato nero. Pochi giorni prima della promulgazione della Costituzione, entrarono a far parte del Governo liberali, repubblicani e socialdemocratici, sancendo quindi in modo formale il mutamento di linea politica dell’Esecutivo.

Si può dire che queste vicende chiusero definitivamente il periodo caratterizzato dalla comune responsabilità di governo da parte di tutte le forze che avevano fatto parte del C.L.N. e quindi della resistenza. Le prospettive aperte con la "svolta" di maggio erano ormai diventate concreta direttiva politica. Le elezioni del 18 aprile 1948 avrebbero confermato questa nuova linea di tendenza. Tuttavia, nonostante questo rilevante terremoto politico, i lavori dell’Assemblea Costituente non ne risentirono in modo marcato, ma anzi si fece via via strada l’idea che fosse ancor più necessario arrivare in tempi ragionevoli ad un accordo sui valori e le regole costituzionali che avrebbero nei decenni successivi presieduto al libero gioco democratico. Ma quali furono i valori sulla base dei quali venne stipulato il Patto costituzionale? Va innanzitutto sgomberato il campo da un equivoco circa il suo carattere "compromissorio". Nell’accezione che siamo oggi abituati a dargli, questo termine evoca qualcosa di bassamente spartitorio, in qualche modo collegato ad una concezione molto meschina della politica. Viceversa per le vicende che stiamo esaminando questo termine può essere utilizzato ed inteso unicamente in un senso "alto e nobile".


- I DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO

Se la forza delle Costituzioni contemporanee, non facendo più parte di quelle cosiddette ottriate (cioè concesse dal sovrano), va ricercata nell’ampio consenso che le contraddistingue, allora il concetto di "compromesso", stando a significare l’accordo su molteplici principi ed istituti giuridici fra le varie forze politiche dell’epoca, ne costituisce un punto non certo di debolezza bensì di forza. I valori sui quali si realizzò il Patto costituzionale, sia pure dopo estenuanti discussioni e notevoli contrasti, furono innanzitutto il rispetto e la tutela dei diritti inviolabili dell’Uomo, l’acquisizione del principio democratico universale, la libertà e l’uguaglianza formale e sostanziale tra i cittadini.

Questi valori si tradussero, in termini giuridici, con la fissazione di alcuni principi fondamentali, la maggior parte dei quali contenuti nella prima parte della nostra Carta e che la stessa Corte Costituzionale ha avuto più volte modo di ribadirne l’immodificabilità, anche in presenza di una forte stagione riformatrice della Carta stessa.