Gli Ebrei... ritornano nella terra promessa (I PARTE)


"Guarda la terra di Canaan, dice il Signore, che io darò in possesso ai figli di Israele... questa è la terra che io giurai ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe dicendo ‘Io la darò alla tua progenie’". Sono le quattro del pomeriggio del 14 maggio 1948 e queste parole, che Mosè ascoltò dall’alto del monte Nebo prima di morire (Antico Testamento, Deuteronomio), sembrano aleggiare sulla folla che si stipa in una spoglia sala del museo di Tel Aviv. Per il popolo ebreo, condannato ad errare nel mondo per secoli, perseguitato, umiliato, carcerato nei mostruosi e pestilenziali ghetti, privato dei più elementari diritti umani, vittima dei massacri perpetrati dalle legioni romane, dalle pie schiere dei Crociati, dalle orde musulmane e infine da quella macchina criminale rappresentata dalle SS germaniche, questo è un momento di profonda, inesprimibile commozione. Oggi nasce lo Stato di Israele. David Ben Gurion, circondato da un religioso silenzio, legge la proclamazione di indipendenza. La sua voce è tesa, appena incrinata dall’emozione."Eretz Israel (la Terra d’Israele, ndr.) fu la culla del popolo ebraico. Fu qui che si plasmò la sua identità spirituale, religiosa e politica. Fu qui che gli ebrei formarono il loro Stato, crearono valori d’importanza nazionale e universale e diedero al mondo il Libro dei Libri. Dopo esser stato esiliato con la forza dalla sua terra, il popolo ebraico mantenne la propria fede per tutta la diaspora e non cessò mai di pregare e sperare di poter, un giorno, far ritorno nella sua patria e riottenervi la sua libertà politica".

"Legati da questi vincoli storici e tradizionali, gli ebrei, una generazione dopo l’altra, lottarono per stabilirsi nell’antica patria. Negli ultimi decenni sono tornati in massa. Pionieri, maapilim (gli immigrati giunti in Israele infrangendo le leggi restrittive, ndr.) e difensori hanno fatto fiorire il deserto, hanno riportato a nuova vita la lingua ebraica, costruito villaggi e città e creato una prospera comunità che controlla la propria economia e la propria cultura, che ama la pace ma è in grado di difendersi, che reca i benefici del progresso a tutti gli abitanti del paese e aspira all’indipendenza... Il 29 novembre 1947 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò una risoluzione che sanciva la costituzione di uno Stato ebraico in Eretz Israel; l’Assemblea generale chiese agli abitanti di Eretz Israel di compiere tutti i passi che da parte loro fossero necessari per l’applicazione di tale risoluzione.

Il riconoscimento da parte dell’ONU del diritto del popolo ebraico alla fondazione del proprio Stato è irrevocabile". "Questo è un diritto naturale del popolo ebraico: il diritto di poter disporre del proprio destino, come tutti gli altri popoli, nel proprio Stato sovrano". "Pertanto noi, membri del Consiglio del Popolo, rappresentanti della Comunità ebraica di Eretz Israel e del Movimento sionista, siamo riuniti qui nel giorno della cessazione del mandato britannico su Eretz Israel e in virtù del nostro diritto naturale e storico e in conformità con la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dichiariamo la costituzione di uno Stato ebraico in Eretz Israel che si chiamerà Stato di Israele". Nella parte finale del discorso David Ben Gurion, che sarà il primo presidente del consiglio (19481954) del nuovo Stato, dichiara la volontà di pace del suo paese". "Chiediamo – mentre infieriscono le ostilità dirette contro di noi da mesi – agli abitanti arabi dello Stato di Israele di mantenersi in pace e di partecipare alla costruzione dello Stato sulla base della piena eguaglianza dei diritti di cittadinanza e con adeguata partecipazione a tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti.

Porgiamo la mano a tutti gli Stati vicini e ai loro popoli in un’offerta di pace e di buon vicinato e chiediamo loro di stabilire rapporti di cooperazione e di reciproca assistenza con il popolo ebraico sovrano che vive nel nostro territorio. Lo Stato di Israele è pronto a dare il proprio contributo a uno sforzo comune per il progresso dell’intero Medio Oriente". Quando Ben Gurion chiude il suo discorso e la dichiarazione viene firmata dai membri del Consiglio del Popolo, nella sala si leva una preghiera: "Che tu sia lodato, Signore, nostro Dio, Re dell’Universo, che ci hai mantenuti in vita e ci hai protetti e ci hai consentito di vedere questo giorno". Ma il momento della pace non è ancora giunto per il popolo di Israele. Poche ore dopo la dichiarazione di indipendenza riprendono in grande stile i mai interrotti attacchi contro la comunità ebraica in Palestina. Questa volta – il 15 maggio – si forma una "grande armata" nella quale sono riuniti gli eserciti egiziano, giordano, irakeno, siriano e libanese, affiancati da un contingente dell’Arabia Saudita. Con la massiccia aggressione, portata all’interno del nuovo Stato, gli arabi vogliono dimostrare in modo clamoroso il loro rifiuto del Piano di spartizione approvato dall’Onu nel novembre del 1947.
La guerra, che viene combattuta in diverse riprese, dura tredici mesi. Le Forze di difesa israeliane, che sono male armate e inferiori numericamente ma perfettamente addestrate, respingono la "grande armata" fuori dai confini di Eretz Israel. E nel luglio del 1949 il giovane Stato firma accordi separati di armistizio con l’Egitto, la Giordania, il Libano e la Siria. Come ha potuto questo David-Israel – 650.000 abitanti, un esercito popolare di qualche decina di migliaia di soldati – sostenere il colpo d’ariete del Golia arabo?

Per rispondere alla domanda, prima di continuare questa breve storia dello Stato ebraico, è necessario retrocedere nel tempo di oltre un centinaio d’anni. Partiamo dal 1840, che vede Israele ancora inglobato nel già declinante impero ottomano. Le condizioni di vita degli ebrei che sono rimasti nella loro terra d’origine – sono poche migliaia – migliorano lentamente e la situazione favorisce l’immigrazione dall’Europa. Nascono nuovi insediamenti ma Gerusalemme, Nablus e Haifa continuano a essere i maggiori poli di attrazione. Con l’aiuto degli ebrei che sono sparsi in tutto il mondo vengono acquistati diversi terreni agricoli. Non sono certo terre "buone": gli effendi, i latifondisti che vivono al Cairo, a Damasco o a Beirut vendono – e a caro prezzo – soltanto dune e paludi, non le fertili terre della Samaria. Ma lentamente quei fondi si trasformano e il duro lavoro dei nuovi proprietari li rende fecondi. Per impostare l’attività in modo più razionale e aumentare quindi la produttività, viene fondata a Mikveh Israel la prima scuola di agricoltura.

E’ il periodo in cui si forma l’ossatura dell’Yshuv, ossia l’insediamento ebraico organizzato. Nel 1860 appare anche la prima stampa ebraica. Questo lento e sofferto momento storico è la matrice dalla quale nasce il "grande sogno": la costituzione di uno Stato. La prima proposta viene lanciata già nel 1839 da sir Moses Montefiore, finanziere ebreo inglese di origine italiana, che contribuisce generosamente agli sforzi dei suoi fratelli di fede che ogni giorno compiono il miracolo di far fiorire la vita dalla nemica sabbia del deserto. E se non uno Stato – dice sir Moses – almeno una comunità autonoma. Ma chi fa scattare il meccanismo inarrestabile che porterà alla realizzazione del sogno – quanto antico! – è il giornalista ebreo francese Theodor Herzl.
Nel 1896 scrive un libretto che, pur accolto da qualcuno e da qualche ambiente come "un documento bizzarro, una curiosità storica più che un programma di azione", cade come una scintilla in una situazione combustibilissima. L’Yshuv sta irrobustendosi. Nel 1878 ha cominciato a prendere una fisionomia precisa con la fondazione di Petah Tikva, madre degli insediamenti agricoli ebraici.

Nel 1887 la popolazione aumenta sensibilmente con l’arrivo della massa di ebrei della prima alià (letteralmente la "salita" alla terra promessa): sono coloro che fuggono dai grandi pogrom scatenati in Russia e Romania contro le comunità "giudee", pogrom che vengono presentate come "furia spontanea di popolo", ma che in realtà sono ispirati dalle autorità per scaricare i malumori di una popolazione vessata dalla spietata tirannide dello zar. E queste "furie spontanee" si lasciano dietro negozi distrutti, case bruciate, sinagoghe devastate e saccheggiate, donne violentate, morti e feriti; dal 1881 al 1921 si contano oltre duemila pogrom duemila massacri, duemila fiumi di sangue che inondano la società civile di tutto il mondo. La comunità fuggita dall’inferno russo si sparpaglia nei villaggi agricoli esistenti e ne fonda di nuovi nella Giudea (Rishon le Zion, Ekron, Edera), in Samaria (Zichron Ya’acov) e in Alta Galilea. Una parte va a vivere in città. E il lavoro per la ricostruzione dell’identità, nazionale e personale, prende impulso anche grazie a questi profughi provati nel corpo ma non nello spirito, perché nei loro miserabili ghetti hanno tenuto accesa la fiamma della cultura nazionale, della religione, hanno continuato a insegnare ai loro figli la dotta lingua ebraica, la gloriosa storia dei regni e dei re dell’antica terra di Israele.

Nell’Yshuv la lingua ebraica torna a vivere per tutti, e diventa elemento unificante, riscoperta dell’ebraicità. Nel 1892 un’assemblea di insegnanti fissa i termini ebraici da usare nella matematica e nelle scienze naturali e progetta un piano di studi scolastici unificato. Dopo circa dieci anni l’ebraico diventa la principale lingua di una comunità che prima comunicava faticosamente attraverso i vari dialetti o quella specie di neolingua rappresentata dall’yiddish, un cocktail di ebraico e tedesco nato dalla diaspora. Tuttavia l’Yshuv vive una vita dura. La popolazione è scarsa e dispersa, le comunicazioni e i trasporti carenti e insicuri, gran parte del suolo ancora in un profondo stato di abbandono, la malaria è endemica per la presenza di molte paludi, l’atteggiamento dell’amministrazione turco-ottomana è ostile e oppressivo.
All’inizio del 1882 viene emessa una legge che vieta l’insediamento degli ebrei dell’Europa orientale. L’acquisto delle terre viene sottoposto a restrizioni, diventa impossibile la costruzione di edifici senza uno speciale permesso che deve essere richiesto a Costantinopoli. L’opprimente politica del governo ottomano rende più difficile lo sviluppo agricolo e produttivo dell’Yshuv, ma non lo ferma. Anzi. La situazione è un terreno fecondo per la crescita dell’idea lanciata da Herzl nell’ironizzato libretto che corre nel mondo con quel suo esaltante titolo:"Lo Stato ebraico".

Nel 1897 Theodor Herzl organizza il primo congresso sionista e fonda a Basilea l’Organizzazione sionista mondiale. In questo movimento viene organizzata e prende forza la millenaria pulsione del popolo ebraico a ritornare alla sua terra. Il sionismo, movimento di liberazione nazionale, diventa la risposta moderna a secoli di discriminazione e ostracismo, di oppressione e persecuzione omicida e alla crescente coscienza che il popolo ebraico può liberarsi soltanto con l’autodeterminazione. Gli scopi dell’Osm sono precisi: ritorno degli ebrei alla terra d’Israele; rinascita, sul suolo patrio, della vita nazionale ebraica; raggiungimento di una dimora riconosciuta e legalmente assicurata agli ebrei nella loro patria storica. Da quell’anno la marcia verso la vittoria finale si fa più rapida. L’Yshuv riceve nuova linfa dall’arrivo di migliaia di ebrei che, delusi dal fallimento della rivoluzione russa del 1905, costituiscono la seconda ondata di immigrazione nel paese. Socialisti e sionisti entusiasti puntano a dar vita a una classe operaia ebraica, a riscattare la terra con "il sudore della fronte" e a impegnarsi in ogni tipo di lavoro manuale al fine di edificare una società pienamente produttiva e autosufficiente. L’influenza dei gruppi socialisti è determinante: la comunità ebraica comincia a darsi un’organizzazione politica.

Il primo kibbutz (così viene definita la colonia agricola collettiva di grandi proporzioni) viene fondato nel 1909 sulla riva meridionale del lago Kinneret (Tiberiade) sulla terra acquistata dal Keren Kayemet (Fondo nazionale ebraico). Quasi contemporaneamente viene fondato il primo gruppo ebraico di autodifesa, l’Hashomer (il Guardiano) che si assume la responsabilità della sicurezza dei nuovi villaggi ebraici dagli attacchi degli arabi. E’ l’embrione di un futuro esercito che darà lezioni di tattica e strategia al mondo intero. Qualche tempo dopo, sulle dune a nord di Jaffa, sorge Tel Aviv. La vita degli uomini dell’Yshuv è dura, da pionieri; molti dei nuovi arrivati ripartono alla ricerca di una condizione meno stressante, ma la maggioranza resta a battersi.
E’ il 1914 e in Eretz Israel ci sono 85.000 ebrei. Nel 1800 erano 10.000. Il 1914 è un anno nefasto per il mondo e per la comunità ebraica che vive in terra d’Israele. Scoppia la prima guerra mondiale che investe anche il Medio Oriente, dove sono in gioco grossi interessi europei: uno dei più importanti è rappresentato dal canale di Suez. E la situazione d’emergenza – sono in marcia le truppe russe, inglesi e francesi – fa scattare i primi provvedimenti. Nel dicembre del 1914 il governo turco dà ordine di deportare gli ebrei stranieri, nella primavera successiva il sionismo viene messo fuori legge e i suoi sostenitori condannati all’esilio. Fra coloro che vengono cacciati vi sono David Ben Gurion e Ytzhak Ben-Zvi, futuro presidente della repubblica.

Alla fine del 1915 circa 12.000 ebrei sono costretti ad abbandonare Eretz Israel: La maggioranza finisce ammassata nei campi profughi dell’Egitto, 500 si arruolano nel Corpo sionista mulattieri che combatte con gli Alleati a Gallipoli. Non è il solo contributo che gli ebrei danno alla guerra contro i turchi. Del corpo di spedizione inglese, comandato dal generale Allenby, fa parte anche la Legione ebraica, formata da due battaglioni di fucilieri reali (il 38º London e il 39º American). E c’è un terzo battaglione, formato da 850 volontari locali, il First Judean. L’11 dicembre 1917 questi soldati assieme agli ebrei di tutto il mondo vivono un altro dei grandi momenti storici che nel giro di pochi anni modificheranno il destino del "popolo errante": il generale Allenby entra in Gerusalemme alla testa dei suoi uomini.

Dopo quattro secoli l’impero ottomano deve rinunciare al dominio sulla Terra Santa. Questa vittoria segna una svolta. Già nei primi mesi della guerra Herbert Samuel, un ministro del governo, Herbert Asquith aveva dimostrato ai suoi colleghi che l’Inghilterra e gli ebrei avevano un interesse comune a staccare la Palestina dall’impero turco, ragion per cui le aspirazioni sioniste andavano incoraggiate. Nel 1917 il ministro degli Esteri inglese, lord Balfour, formula la sua famosa dichiarazione nella quale viene riconosciuto il legame storico del popolo ebraico con la Palestina e che impegna l’Inghilterra ad appoggiare l’insediamento in Palestina di un national home (focolare nazionale). Questi punti vengono approvati dai vari governi alleati e nel giugno del 1922 vengono ribaditi da una risoluzione del Congresso degli Stati Uniti. Nel luglio dello stesso anno la Società delle Nazioni conferisce ufficialmente alla Gran Bretagna un mandato del quale la dichiarazione Balfour fa parte integrante.