Il cittadino e le sue virtù
secondo Aristotele

L'etica di Aristotele non è nè "neutra" nè "oggettiva": il suo discorso ha, nella società, un preciso interlocutore, un destinatario privilegiato. Aristotele non si rivolge nè a re e a sacerdoti, nè alla folla che gremisce l'agora. Egli studia e descrive il comportamento del "cittadino", dell'uomo libero, proprietario di terre e moderatamente benestante, interessato al governo della città e all'amministrazione della casa. Egli si rivolge cioè a quella media aristocrazia urbana che, intorno alla metà del IV secolo, aveva ormai abbandonato le ambizioni di potere assoluto che erano state proprie di uomini come Crizia e Platone, ma continuava a formare l'ossatura della vita della città, il serbatoio da cui escono i politici, gli avvocati, gli intellettuali, insomma la "classe dirigente", anche se ristretta nei limiti municipali. Che questo ceto sia il destinatario dell'etica aristotelica, lo conferma la sua analisi delle virtù. Ad ogni grupp socialmente determinato corrisponde, secondo Aristotele, una specifica virtù. Ma mentre la virtù degli schiavi, dei lavoratori manuali, dei figli, delle donne, consiste sostanzialmente nell'obbedienza che essi devono -in forme diverse- al capofamiglia, al padrone della casa, i problemi etici veri e propri si pongono solo a proposito del comportamento di quest'ultimo, l'unico ad esser libero di decidere della propria condotta nella famiglia e nella cità, l'unico ad essere passibile di valutazione morale. In che cosa consiste