La felicità
secondo Aristotele

Ma qual'è il fine della virtuosità del "giusto mezzo"? Il fine è il bene, risponde Aristotele: ma non si tratta di un bene sovrumano e in qualche modo teologica, come pretendeva Platone, bensì di quel che tutti gli uomini cercano e desiderano, e che è alla portata di tutti: dunque la felicità. Tutti possono essere felici, a condizione di realizzare la loro natura, di comportarsi secondo la loro specifica virtù. C'è però, naturalmente, una gerarchia della virtù, e quindi anche della felicità. Se la relativa felicità dello schiavo consisterà nel fermo esercizio della virtù dell'obbedienza, la felicità del cittadino consisterà nel praticare la virtù secondo ragione: questo lo metterà in condizioni di assolvere nel miglior dei modi il suo dovere nella famiglia e nella sociètà, lo circonderà di amici e di stima, lo ricompenserà coi giusti onori; o, almeno, gli concederà la gioia di una coscienza tranquilla, serenamente appagata della propria vita. Ma c'è una virtù, dunque una felicità ancor superiore a questa, perchè esprime l'essenza stessa dell'uomo nella sua forma più alta: la virtù della sapienza, la felicità della contemplazione e della pura conoscenza.