Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo di Galilei
Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, stampato a Firenze nel 1632,
verte sul confronto fra due sistemi astronomici, quello geocentrico di Tolomeo e
quello eliocentrico di Copernico. Si suddivide in quattro giornate di dibattito,
al quale partecipano tre personaggi: Filippo Salviati, nobiluomo fiorentino, che
sostiene le tesi copernicane ed è portavoce di Galileo; Simplicio, filosofo
aristotelico, che difende il sistema tolemaico; il patrizio veneziano Giovanni
Francesco Sagredo, che all'inizio della discussione è neutrale, poi abbraccia la
tesi eliocentrica.
Nella prima giornata gli interlocutori affrontano una questione importantissima
nella cosmologia aristotelica, la perfezione e l'immutabilità dei corpi celesti.
Attraverso una serrata serie di argomentazioni, si arriva a concludere che le
proprietà fissate da Aristotele sono insostenibili da un punto di vista logico.
Si smentisce inoltre che la Terra sia al centro del mondo. Nella seconda
giornata si esaminano le obiezioni tradizionali contro il movimento diurno della
Terra. Nella terza giornata si discute sul moto annuo della Terra e sulle stelle
nuove; si dimostra, poi, che, accettando la teoria di Copernico, i fenomeni
celesti, fra cui la natura delle macchie solari, possono essere spiegati in modo
chiaro e razionale. Infine, nella quarta giornata, la dottrina copernicana viene
adoperata per definire l'origine delle maree, che, secondo la tesi galileiana
espressa per bocca di Filippo Salviati, sono il risultato degli effetti della
rotazione della Terra (intorno a se stessa) combinati con quelli della sua
rivoluzione (intorno al Sole).
L'autore delinea felicemente i caratteri dei tre interlocutori. Il Salviati è lo
scienziato dalla personalità equilibrata, acuto e razionale; Simplicio riflette
gli ambienti chiusi con i quali il Galilei si è trovato in contatto nella vita;
pedante e pieno di boria, Simplicio non è però né sciocco né incolto; ha
piuttosto il difetto di non sapersi liberare del dogmatismo dottrinario per
accostarsi con mentalità sgombra di pregiudizi alle nuove idee. Sulla sua
identità sono state fatte numerose congetture e molti, già al tempo di Galileo,
vedevano adombrato in lui il papa mecenate Urbano VIII, ma l'ipotesi, pur
interessante, non è confermata con sicurezza. Il Sagredo è curioso e
intelligente, e interviene nella conversazione con arguzia e ironia, rendendola
più mossa, brillante e cordiale.
Il dialogo è uno schema espositivo già in uso nel dibattito umanistico e
rinascimentale, ma Galileo lo trasforma in uno strumento vivo e immediato di
trasmissione e di confronto d'idee. Le punte polemiche del Saggiatore sono
attenuate e la certezza d'essere nel giusto, basata su una riflessione ormai
matura, suggerisce allo scrittore toni pacati, frutto di un sereno equilibrio.
La prosa limpida, elegante e insieme solenne è il felice risultato dell'unione
tra le convinzioni dell'uomo di scienza, saldo nelle sue teorie, e la creatività
dell'artista.
Con Il Saggiatore e il Dialogo, Galileo fa scuola nell'ambito della ricerca non
solo scientifica ma anche letteraria; dopo Leonardo da Vinci, egli per primo
adotta il volgare, o meglio il toscano, per trattare argomenti di scienza.
Diversamente da Leonardo, però, Galileo non è "omo sanza lettere" e conosce alla
perfezione il latino, che ha già adoperato nei suoi primi scritti. Dietro alla
sua scelta linguistica sta pertanto una dichiarata volontà pedagogica: l'impegno
a divulgare con chiarezza le proprie scoperte e dottrine e la ferma fiducia che
tutti gli uomini siano in grado di apprendere, solo che vengano dati loro gli
strumenti necessari.