Gorgia

(gr. Gorgías; lat. Gorgias), sofista e retore greco (Lentini ca. 485-? 376 a. C.). Nel 427 a. C. fu inviato ad Atene per chiedere aiuti contro i Siracusani. Già allora e più tardi, quando tornò e si stabilì in Grecia come maestro di retorica, entusiasmò e si arricchì con la sua arte oratoria, capace di sedurre e trascinare ogni ascoltatore indipendentemente dall'argomento trattato. Il suo stile si fondava su un ritmo di brevi frasi contrapposte e sull'uso di immagini poetiche e di figure retoriche. Ci restano solo frammenti o testimonianze dei discorsi Pitico e Olimpico (per la concordia dei Greci contro i Persiani) e dell'Epitaffio (per i caduti in guerra); per intero sono pervenuti l'Elena e il Palamede, esercizi di bravura in difesa di quei due personaggi mitologici. Nel suo scritto Sul non essere o sulla natura (noto da estratti di epoca posteriore) G. sostiene che: non solo il non-essere ma anche l'essere non è (perché dovrebbe trovarsi nel non-essere che non è, oppure essere illimitato, ma allora non sarebbe in alcun luogo, quindi ancora non ci sarebbe); e se anche l'essere fosse non sarebbe conoscibile (perché l'essere essente sarebbe sempre altro dall'essere pensato); se anche fosse conoscibile sarebbe incomunicabile (perché per comunicare ci si serve delle parole e le parole non sono l'essere). In queste tesi si esprime il nihilismo gorgiano che la critica ha voluto vedere innanzi tutto in funzione antieleatica: mentre Parmenide negava nell'unità dell'essere immutabile il mondo quotidiano della molteplicità e del divenire, proprio a quest'ultimo s'interessava G., per il quale la parola, liberata da ogni compito di esprimere l'essere, rimaneva nelle mani del retore disponibile per persuadere gli uomini intorno "a ciò che merita di essere approvato", da stabilirsi di volta in volta sulla base di criteri di fatto.