SCHOPENHAUER - il mondo come volontà

Critica all'idealismo e conoscenza - Il mondo come volontà - Il dolore, la noia e gli inganni della volontà
L'arte e la compassione - L'ascesi e le sue dimensioni

La conoscenza del mondo è dunque come una cortina che ci separa dalla realtà, ce la nasconde nella sua intima essenza. Bisogna infrangere questo velo di Maja, di cui parla la sapienza indiana; dissolvere questa immagine, quasi onirica, che la nostra attività conoscitiva ci presenta come il nostro mondo, e penetrare nel cuore stesso della realtà. Ma come? Qual è il filo d'Arianna? Quando mi chiedo, argomenta Schopenhauer, che cosa sono io, di me posso certo aver conoscenza, una conoscenza «sintetica a priori», derivata cioè dalla sintesi dei dati sensibili, relativi alla mia corporeità, con le forme a priori del mio pensiero. A livello conoscitivo, pertanto, io sono il mio corpo. A tale livello, però, la conoscenza che ho di me non è altro che immagine, rappresentazione analoga a quella del mondo fuori di me. Vedo me stesso «oggettivamente», come un «oggetto» tra gli altri che costituiscono il «mio» mondo rappresentativo. Il velo di Maja, che nasconde a me la realtà, in tal modo nasconde a me anche l'essenza piú profonda di me stesso. Io mi scorgo esterno a me, lontano da me; come esterna e lontana mi appare la realtà. C'è una separazione tra me, soggetto di conoscenza, e me, oggetto conosciuto. Anzi, la conoscenza che ho di me è perfettamente analoga a quella che di me ha un'altra persona. Ma allora sono veramente io quello che io conosco? O non sono qualcosa di piú e di diverso, che non risulta dalla «rappresentazione» che io, al pari di un'altra persona, ho di me? A questa domanda dà una risposta proprio l'analisi del «corpo». Il mio corpo è il mezzo che mi pone in relazione col mondo, attraverso la sensibilità; infatti il mondo si presenta a me attraverso questa mia sensibilità che mi fornisce di esso quei «dati sensibili» che, ordinati nel pensiero mi permettono di costituire la «rappresentazione» della realtà. Allora io so che il mio corpo non può ridursi al puro «oggetto», non è estraneo a me, ma è la realtà in cui io sono radicato, per la quale io sono un individuo, e che io, per cosí dire, «conosco dal di dentro». Io so dunque che il me conoscente e il me conosciuto coincidono. Quindi l'unità del mio io col mio corpo - unità che io percepisco con esperienza immediata costituisce quel filo d'Arianna che mi permette di conoscere la mia essenza; poiché il mio corpo vivente si muove, agisce, e ogni suo movimento è espressione di volontà, io sono volontà; la volontà è ciò che mi caratterizza essenzialmente.

Il senso tanto cercato di questo mondo che mi sta davanti come mia rappresentazione non si potrebbe mai raggiungere se l'indagatore fosse sol tanto un puro soggetto conoscente, una testa alata d'angelo senza corpo Ma egli in questo mondo ha le proprie radici, vi si trova come individuo: ossia il suo conoscere, che è condizione della esistenza del mondo intero in quanto rappresentazione, avviene per conseguenza mediante un corpo le cui sensazioni sono per l'intelletto il punto di partenza dell'intuizione di questo mondo. Per il puro soggetto della conoscenza come tale questo corpo è una rappresentazione come tutte le altre, un oggetto fra oggetti, i suoi movimenti, le sue azioni non sono, sotto questo rispetto, conosciuti da lui in maniera diversa dalle modificazioni di tutti gli altri oggetti intuiti e gli sarebbero ugualmente estranei e incomprensibili. Ma le cose non stanno cosí: al soggetto conoscente, che appare come individuo, è data la parola dell'enigma; e questa parola è volontà. Questa, e questa soltanto, gli dà la chiave per spiegare la propria fenomenicità, gli rivela il senso, gli manifesta l'intimo congegno del suo essere, del suo agire, dei suoi movimenti. Al soggetto della conoscenza, che per la sua identità con il proprio corpo ci si presenta come individuo, questo corpo è dato in due modi ben diversi; è dato come rappresentazione nell'intuizione dell'intelletto, come oggetto tra gli oggetti, sottomesso alle leggi di questi; ma è dato nello stesso tempo anche in modo tutto diverso, ossia come quella cosa che ciascuno conosce direttamente e che è espressa dalla parola volontà. Ogni vero atto della sua volontà è immediatamente e necessariamente anche un movimento del suo corpo: egli non può volere veramente il suo atto senz'accorgersi insieme che esso appare come movimento del corpo. L'atto volitivo e l'azione del corpo non sono due diversi stati conosciuti come oggetti, che il vincolo della causalità colleghi, non stanno tra loro nella relazione di causa ed effetto, ma sono un tutto unico, soltanto dati in due modi diversi, nell'uno direttamente e nell'altro mediante l'intuizione dell'intelletto. Chiamo perciò il corpo, da questo punto di vista, l'obiettità della volontà. Ogni vero, autentico, immediato atto volitivo è subito e direttamente anche un visibile atto del corpo; e viceversa, ogni azione del corpo, è subito e direttamente anche azione sulla volontà: come tale si chiama dolore, se ripugna alla volontà; si chiama benessere, piacere, se è ad essa conforme.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)

Dunque io so, per conoscenza immediata, di essere un corpo che soffre per il bisogno e gioisce per la soddisfazione; so che ogni movimento del corpo è l'esplicitazione della volontà. Se ora leggo i movimenti dell'intero universo sulla base di questa acquisizione, posso ricavare che anch'essi sono l'espressione di una volontà, di una volontà di vivere; e che questa rappresenta non solo la mia essenza, bensì quella dell'intera realtà naturale.

La parola volontà, che a noi, come una formula magica, deve svelare la piú Intima essenza d'ogni cosa della natura, non denota affatto una entità sconosciuta, un quid ottenuto per deduzione, ma una cosa direttamente conosciuta e cosí ben nota, che noi sappiamo che cosa è la volontà meglio di qualsiasi altra cosa. Finora si subordinava il concetto di volontà a quello di forza: io faccio il contrario, e voglio che ogni forza della natura sia pensata come volontà.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)

Visto cosí, il mondo che io mi rappresento come insieme di fenomeni, mi appare nel suo noumeno come volontà. Tutte le cose, che mi rappresento come «individuate» dallo spazio e dal tempo, sono espressioni molteplici di una essenza unica, eterna, intemporale, indivisibile, che è la volontà.

Essa è una, ma non come è uno un oggetto, la cui unità può essere conosciuta soltanto in contrasto con una pluralità possibile; e nemmeno come è uno un concetto, che è derivato dalla molteplicità mediante l'astrazione; bensí è una in quanto sta fuori del tempo e dello spazio, fuori del principium individuationis, ossia della pluralità possibile. La pluralità delle cose nello spazio e nel tempo, che insieme formano la sua obiettità, non tocca dunque la volontà; e questa rimane indipendente da quelli, indivisibile.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)

Essa dunque è la stessa in tutti gli esseri dell'universo; e in ognuno di questi è tutta se stessa. La differenza tra i vari enti naturali sta solo nel grado della sua obiettivazione:

E nemmeno una parte minore di essa è nella pietra e una parte maggiore è nell'uomo: infatti il rapporto di parte e di tutto appartiene allo spazio e non ha piú senso quando si prescinda da questa forma di Intuizione. Il piú e il meno riguardano soltanto il fenomeno, cioè il visibile, l'oggettivo. L'oggettivazione è in un grado piú alto nella pianta che nella pietra, nell'animale che nella pianta: la volontà resa visibile, la sua obiettivazione, ha tante infinite gradazioni.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)

La sua potenza è la stessa nel singolo essere come in tutta la natura; essa non varia al variare del numero delle sue obiettivazioni; quindi non s'accresce né si indebolisce, non aumenta né diminuisce.

La volontà si manifesta tutta e con la medesima potenza in una quercia, come in milioni di querce. Il loro numero, la loro moltiplicazione nello spazio e nel tempo, non ha alcun significato rispetto ad essa.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)

Essa, che non ha causa alcuna, è l'unica vera causa di tutto quanto di «bene» e di «male» avviene nell'universo; ogni azione, «buona» o «cattiva» che sia valutata, ha sempre un'unica e sola causa indifferente al «bene» e al «male».

Questa volontà, essenza dell'individuo come del mondo intero, che si manifesta a livello delle forze naturali (fisiche, chimiche, biologiche ecc.) come nell'azione consapevole dell'uomo, è, dovunque, forza cieca, infinita, senza ragione, senza causa e senza legge. Il modo di distribuirsi nei vari ordini della natura è, certo razionale; anzi l'ordinamento razionale è rilevabile chiaramente dai fatto che, a partire dall'ordine inferiore, le manifestazioni della volontà tendono alla forma umana, in cui essa diventa «cosciente». Ma in ogni singolo ente della natura essa si mostra «irrazionale»; anzi è tale la sua irrazionalità che essa appare, all'osservatore attento, in lotta con se stessa.

Ovunque vediamo nella natura conflitti, battaglie e alternanze di vittorie. Ogni grado nell'obiettivazione della materia contende all'altro la materia, lo spazio, il tempo. Senza riposo la permanente materia deve mutar di forma, mentre, seguendo il filo conduttore della causalità, fenomeni meccanici, fisici, chimici, organici, aspirando all'esistenza, si contendono l'un l'altro la materia. Nella natura intera persiste questa lotta, anzi solo per essa la natura sussiste. E in questa lotta si rivela il dissidio essenziale della volontà con se stessa. Questa lotta universale raggiunge la piú chiara evidenza nel mondo animale che si serve del mondo vegetale come di suo nutrimento, e in cui ogni animale diventa preda e nutrimento d'un altro, ... poiché ogni animale può conservare la propria esistenza soltanto col distruggere costantemente un'altra. E cosí la volontà di vivere divora perennemente se stessa, ed è sotto diverse forme, il nutrimento di se stessa, finché, alla fine, la specie umana, avendo sopraffatto tutte le altre, considera la natura come uno strumento dei propri fini, e tuttavia anch'essa rivela con terribile evidenza in se stessa quel conflitto, quel dissidio della volontà, e diventa homo homini lupus.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)

Qual è lo scopo per il quale la volontà dissemina nell'universo sofferenze e dolori? Nessuno. Essa non ha altro fine che affermare se stessa; e pertanto è inappagabile, perché un improbabile appagamento la annullerebbe in se stessa.

La volontà, in tutti i gradi della sua manifestazione, dai piú bassi ai piú alti, è assolutamente priva di un fine ultimo e di uno scopo: essa aspira continuamente, poiché l'aspirare è la sua unica essenza. E questo si ripete all'infinito: mai un termine, mai un appagamento, mai una tregua.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)
Critica all'idealismo e conoscenza - Il mondo come volontà - Il dolore, la noia e gli inganni della volontà
L'arte e la compassione - L'ascesi e le sue dimensioni