David Hume

Filosofo inglese (Edimburgo 1711-1776). La sua vita fu divisa tra gli studi filosofici e letterari e gli incarichi politici. Con gli Essays Moral and Political (1742; Saggi morali e politici) ebbe il primo successo di pubblico. In qualità di segretario del generale Saint Clair fu a Vienna e Torino. Dal 1752 fu bibliotecario a Edimburgo e cominciò la stesura della sua fortunata History of England (1754-61). Tra il 1763 e il 1766 fu a Parigi come segretario dell'ambasciatore inglese. Passò gli ultimi anni nella natale Edimburgo, scrivendo un'autobiografia. 

Il pensiero
Centro della speculazione humiana è il concetto di natura umana, quale forza unificatrice del sapere umano e oggetto proprio della filosofia (Philosophical Essays Concerning Human Understanding, 1748; Ricerche sull'intelletto umano). Le sue principali determinazioni sono il sentimento e l'istinto. La ragione non è che un istinto che spinge l'uomo a chiarire le sue credenze e le sue spontanee conoscenze. Questi presupposti danno una impostazione critica al suo pensiero. Mostrando infatti l'origine di tutti i grandi problemi gnoseologici, metafisici, etici e politici, dall'apparato istintuale e sentimentale dell'uomo, H. si connette alla corrente dell'illuminismo europeo e ai suoi propositi demistificatori: è possibile un sapere certo, ma esso investe solo il campo delle verità formali della "quantità e del numero", cioè il campo delle matematiche. Nel campo delle verità di fatto esistono solo probabilità. Esse infatti hanno a che fare con le cose reali, dove la sola guida possibile è l'esperienza, perché non ci si può fare delle idee sulle cose se non si ha avuto un contatto diretto, immediato, elementare con le cose stesse attraverso le impressioni. Le cose vengono perciò risolte nei loro rapporti, nel molteplice delle impressioni e idee corrispondenti, tutte fra loro distinte e perciò particolari. Non è possibile perciò un'idea astratta, p. es. l'idea di un triangolo che non sia né isoscele, né equilatero, né scaleno. I rapporti di somiglianza tra le idee ci consentono di adoperarne una come segno di un'altra. Una parola cioè, p. es. uomo, si fissa come abitudine che ci porta a raggruppare idee particolari simili fra di loro. Il carattere concettuale dei segni, il loro significato logico di rimando, ridotto da H. ad abitudine, diventano un fatto puramente psicologico. Alla stessa abitudine risalgono i principi di somiglianza, contiguità e causalità, mediante i quali le cose vengono messe in rapporto tra di loro. Le relazioni di somiglianza delimitano il campo delle matematiche, in quanto configurano rapporti tra idee, indipendentemente da qualsiasi rapporto con la realtà di fatto. Le proposizioni della matematica sono non contraddittorie in quanto non hanno rapporto con la realtà di fatto, nella quale viceversa è sempre possibile la contraddizione, essendo sempre possibile il contrario di un fatto. Le relazioni di causa ed effetto delimitano il campo delle verità di fatto, in quanto per descrivere e spiegare un fatto è sempre necessario citare un altro fatto. Tali relazioni tuttavia non sono mai conoscibili a priori, ma sempre soltanto per esperienza. L'attribuzione di una certa causa a un certo effetto non ha in sé alcuna necessità oggettiva, ma è frutto di quella abitudine che ci porta ad aspettarci, da cause che appaiono simili, effetti simili.Mediante quindi l'abitudine si impara a comportarsi, in quanto solo l'abitudine insegna, sia pure in modo del tutto arbitrario, a stabilire relazioni tra le cose. L'abitudine spiega la credenza nelle relazioni tra fatti; non giustifica tale relazione. E ogni credenza è un atto istintivo del sentimento, per la quale si attribuisce realtà alle cose esterne, uniformità agli eventi naturali, unità e identità all'Io. La credenza cioè unifica, sia pure arbitrariamente, il molteplice irrelato dell'esperienza. Questa analisi dell'esperienza destituisce di ogni fondamento oggettivo i concetti cardine della metafisica classica ed esclude un qualsiasi ordine naturale necessario. 

La morale
Analogamente, H. riduce la validità delle regole a una questione di fatto (Treatise of Human Nature, 1738; Enquiry Concerning the Principles of Morals, 1751). Il significato delle qualità morali di una persona sta tutto nella loro utilità per la vita sociale. Lo scopo della morale è quello di rendere gli uomini felici e soddisfatti della vita, non migliori o santi. La sua tecnica è perciò quella del calcolo della maggior felicità per il maggior numero. La stessa riduzione a questioni di fatto viene fatta nelle credenze religiose (The Natural History of Religion, 1757). Il pensiero di H. esercitò una vasta influenza su tutto il pensiero inglese e su quello kantiano e se ne ritrova il segno anche nel neoempirismo contemporaneo.