La rivoluzione francese
e la democrazia moderna


Nel mondo moderno, a partire dalla Rivoluzione francese, "democrazia" è divenuto un termine dalle caratteristiche "divine": in suo nome si può giustificare tutto. Ma, a fronte del fatto che esistono tipi diversi di democrazia, sarebbe meglio interrogarsi su cosa specificamente s’intenda quando si utilizza tale espressione. Lo slogan della Rivoluzione francese — "libertà, uguaglianza e fratellanza" — presenta subito una contraddizione in termini. Se si ha la "libertà", e ognuno è libero di progredire il più possibile, certamente non si avrà l’uguaglianza fattuale giacché le persone più capaci ed energiche sopravanzeranno di gran lunga le persone pigre e di pochi talenti. Se con "uguaglianza" s’intende invece pari opportunità — obiettivo non fattualmente realizzabile —, e se a tutti è permesso di progredire in ugual misura, allora si tratta semplicemente della libertà indicata con altro nome. Per quanto concerne la "fratellanza", tutto dipende dal fatto se l’esser fratelli e il dar vita a legami umani stretti sia il frutto di scelte libere o se è lo Stato a dover rendere obbligatoria la benevolenza sociale. Se non incarnate in princìpi specifici e in misure concrete, le formule tipiche della Rivoluzione francese restano parole astratte di scarso peso. A mio avviso, la democrazia rivoluzionaria francese è essenzialmente incentrata su un’idea di uguaglianza fattuale che lo Stato deve imporre alla società con la forza. Secondo la teoria democratica giacobina tutte le differenze e le distinzioni specifiche devono essere ignorate in nome dell’unità nazionale; essa, infatti, pretende di possedere la sanzione della maggioranza e d’incarnare la "volontà generale" dell’intera nazione anche quando esprime solo il potere e l’autorità di un piccolo partito che controlla il governo. Burke, per contro, attaccò la teoria giacobina della sovranità popolare e difese l’idea di un governo costituzionale severamente limitato nei suoi poteri, ritenendo che gli scopi autentici di un governo — la libertà, l’ordine e la giustizia — venissero onorati pienamente quando la volontà personale e quella collettiva dei governanti sono controllate da restrizioni costituzionali e morali.

Nella democrazia di tipo giacobino il partito dominante — o quello che riesce a mostrare di detenere effettivamente il potere — possiede una sovranità totale, priva di qualsiasi controllo: The Origins of Totalitarian Democracy, che Jacob L. Talmon (1916-1980) scrisse nel 1952 (3), mostra come la democrazia giacobina sia solamente "tirannia popolare", ovvero totalitarismo, perché suscettibile di facili degenerazioni in "governo della plebe". Questo accadde con Robespierre durante il Terrore, la cui "anarchia giacobina" sfociò poi nel dispotismo militare di Napoleone Bonaparte (1769-1821), succeduto al governo del Direttorio rivoluzionario: fu Napoleone il vero erede della Rivoluzione francese, uno sconvolgimento che gettò l’Europa in più di quindici anni di continue guerre. Burke — sia detto per inciso — predisse l’intero corso della Rivoluzione, inclusi il processo-farsa e l’esecuzione di re Luigi XVI (1754-1793), il Terrore, l’ascesa di Napoleone e le guerre di aggressione rivoluzionaria francese contro le nazioni europee.

Ovviamente, i liberali hanno attaccato sia l’opera di Talmon, sia i miei studi in materia (4), dato che non sopportano chi identifica il loro astrattismo democratico con il totalitarismo. Così, analogamente, i marxisti che, per ragioni propagandistiche, vorrebbero mettere in ombra il concetto marxiano di dittatura del proletariato.