Sviluppi del marxismo in Italia: GRAMSCI

Sul piano del dibattito teorico bisognava misurarsi con l'interpretazione leninista del materialismo storico, e far fronte all'opposizione antimarxista svolta a livello culturale da Croce e Gentile. Il teorico piú noto del marxismo in Italia divenne presto Antonio Gramsci (1891-1937), partecipe fin dalla giovinezza alle lotte operaie a Torino, creatore, insieme a Palmiro Togliatti, della rivista settimanale «Ordine Nuovo» (poi divenuta quotidiano), e fondatore, insieme ad Amadeo Bordiga, del Partito Comunista. Nella vita del nuovo partito inizialmente si trovò in minoranza rispetto alle posizioni bordighiste, posizioni di rigore e d'intransigenza teorica e politica. Ma quando poi al Congresso di Lione, nel 1926, Gramsci riuscí ad imporre le sue tesi, Bordiga fu allontanato dalla direzione e successivamente estromesso dal partito.

Arrestato dalla polizia fascista nel 1926, Gramsci passò il resto della sua vita in carcere. Ne uscí solo per le precarie condizioni di salute quasi alle soglie della sua morte, avvenuta nel 1937.

Tra i molti suoi scritti sono da ricordare: Scritti giovanili, Sotto la mole, L'Ordine nuovo 1919-1920, L'Ordine nuovo 1921-1922, Socialismo e fascismo, La costruzione del partito comunista, Alcuni temi della questione meridionale, Lettere dal carcere. Nel periodo trascorso agli arresti poi stese delle riflessioni nei suoi «Quaderni» che, prima d'essere pubblicate nella stesura autentica, furono ordinate nel dopoguerra per argomento e pubblicate nei volumi seguenti Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce, Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Il Risorgimento, Note su Machiavelli, la politica e lo stato moderno, Letteratura e vita nazionale, Passato e presente.

Il marxismo, egli dice, non è una «dottrina», ma è «prassi», è «coscienza rivoluzionaria». Esso fa i conti con la realtà, e non si stratifica in dogmi assunti a criteri interpretativi assoluti della realtà storica. Se il suo significato si riducesse a quello di «dottrina», allora si dovrebbe dire che la Rivoluzione d'Ottobre l'ha smentita, perché non era prevedibile il suo successo in un paese senza forte proletariato; o quanto meno si dovrebbe dire che quella rivoluzione non fu «marxista».

Alla luce di questo concetto di marxismo bisogna interpretare la «questione meridionale». Essa è questione nazionale- è questione italiana. Essa sussiste perché «la borghesia settentrionale ha soggiogato l'Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento» alleandosi agli agrari locali fin dalla costituzione dello stato unitario, e perché è mancata la saldatura, sia politica che culturale, tra gli operai del nord e le masse contadine del sud. Il proletariato settentrionale deve quindi sottrarre i contadini meridionali all'orbita della borghesia, e dar loro una guida rivoluzionaria. «La rigenerazione economica e politica dei contadini deve essere ricercata nella solidarietà del proletariato industriale», perché «spezzando l'apparato oppressivo dello Stato capitalista, instaurando lo Stato operaio, gli operai spezzeranno tutte le catene che tengono avvinghiato il contadino alla sua miseria, alla sua disperazione».

La lotta per il socialismo sarà però efficace se il partito politico della classe operaia si configurerà come il «moderno principe», secondo la terminologia di Machiavelli. La rivoluzione non può attuarsi di colpo in Italia, dove la società è strutturata in modo complesso, dove cioè la borghesia ha i suoi limiti e la Chiesa Cattolica svolge una funzione reale nella vita della nazione. Bisogna allora che le forze della rivoluzione proletaria «dirigano» questa società, la «dominino»; non con la forza, ma «egemonizzandola» culturalmente e politicamente. A tal fine bisogna che le «energie della rivoluzione» aggreghino sui loro obiettivi gl'intellettuali. Bisogna che il partito proletario che le esprime abbia un proprio ceto intellettuale che permetta insieme di dare fondazione teorica e guida politica alla lotta e promuova una «riforma intellettuale e sociale» di tutta la nazione. Questi intellettuali, «specialisti» della cultura e contemporaneamente «politici», dovranno essere «organici» alla classe operaia; e lo stesso partito dovrà configurarsi, oltre che come forza politica, anche come forza culturale, facendosi carico pure di un compito pedagogico. Nell'opera di rinnovamento culturale bisognerà mirare alla liberazione dell'Italia dall'influenza della «filosofia speculativa» di Croce, che ripropone una moderna metafisica, e a diffondere la «filosofia della prassi» che rivendica la «mondanizzazione del pensiero».

Il marxismo come «filosofia della prassi» è un «umanesimo assoluto della storia», di una storia intesa in termini «dialettici». Questo è stato l'errore di Bucharin: I'aver dimenticato la dialettica. Egli ha separato nel marxismo la «teoria scientifica della storia e della politica», da trattarsi secondo il metodo positivistico, e un «materialismo filosofico», che poi altro non è che un «materialismo volgare». Con ciò ha svisato il senso stesso del discorso di Marx. «Scissa dalla teoria della storia e della politica, la filosofia non può essere che metafisica»; e la dialettica non può ridursi se non ad astratta logica.

Sul problema del rapporto teoria-prassi, Gramsci dice in questa pagina che riportiamo a conclusione del discorso sul suo pensiero:

Nei piú recenti sviluppi della filosofia della prassi, l'approfondimento del concetto di unità della teoria e della pratica non è ancora che ad una fase iniziale: rimangono ancora dei residui di meccanicismo, poiché si parla di teoria come «complemento», «accessorio» della pratica, di teoria come ancella della pratica. Pare giusto che anche questa quistione debba essere impostata storicamente, e cioè come un aspetto della quistione politica degli intellettuali.
Autocoscienza critica significa storicamente e politicamente creazione di una élite di intellettuali: una massa umana non si «distingue» e non diventa indipendente «per sé», senza organizzarsi (in senso lato) e non c'è organizzazione senza intellettuali, cioè senza organizzatori e dirigenti, cioè senza che l'aspetto teorico del nesso teoria-pratica si distingua concretamente in uno strato di persone «specializzate» nell'elaborazione concettuale e filosofica. Ma questo processo di creazione degli intellettuali è lungo, difficile, pieno di contraddizioni, di avanzate e di ritirate, di sbandamenti e di riaggruppamenti, in cui la «fedeltà» della massa (e la fedeltà e la disciplina sono inizialmente la forma che assume l'adesione della massa e la sua collaborazione allo sviluppo dell'intero fenomeno culturale) è messa talvolta a dura prova. Il processo di sviluppo è legato a una dialettica intellettuali-massa: lo strato degli intellettuali si sviluppa quantitativamente e qualitativamente, ma ogni sbalzo verso una nuova «ampiezza» e complessità dello strato degli intellettuali è legato a un movimento analogo della massa dei semplici, che si innalza verso livelli superiori di cultura e allarga simultaneamente la sua cerchia di influenza, con punte individuali o anche di gruppi piú o meno importanti verso lo strato degli intellettuali specializzati.
Nel processo però si ripetono continuamente dei momenti in cui tra massa e intellettuali (o certi di essi, o un gruppo di essi) si forma un distacco, una perdita di contatto, quindi la impressione di «accessorio», di complementare, di subordinato. L'insistere sull'elemento «pratica» del nesso teoria-pratica, dopo aver scisso, separato e non solo distinto i due elementi (operazione appunto meramente meccanica e convenzionale) significa che si attraversa una fase storica relativamente primitiva, una fase ancora economico-corporativa, in cui si trasforma quantitativamente il quadro generale della «struttura», e la qualità-superstruttura adeguata è in via di sorgere, ma non è ancora organicamente formata.
È da porre in rilievo l'importanza e il significato che hanno, nel mondo moderno, i partiti politici nell'elaborazione e diffusione delle concezioni del mondo in quanto essenzialmente elaborano l'etica e la politica conforme ad esse, cioè funzionano quasi da «sperimentatori» storici di esse concezioni. I partiti selezionano individualmente la massa operante e la selezione avviene sia nel campo pratico che in quello teorico congiuntamente, con un rapporto tanto piú stretto tra teoria e pratica quanto piú la concezione è vitalmente e radicalmente innovatrice e antagonistica dei vecchi modi di pensare. Perciò si può dire che i partiti sono gli elaboratori delle nuove intellettualità integrali e totalitarie, cioè il crogiolo dell'unificazione di teoria e pratica intesa come processo storico reale e Si capisce come sia necessaria la formazione per adesione individuale e non del tipo «laburista» perché, se si tratta di dirigere organicamente «tutta la massa economicamente attiva», si tratta di dirigerla non secondo vecchi schemi ma innovando, e l'innovazione non può diventare di massa, nei suoi primi stadi, se non per il tramite di una élite in cui la concezione implicita nella umana attività sia già diventata in una certa misura coscienza attuale coerente e sistematica e volontà precisa e decisa.
(La formazione dell'uomo)