Alfieri e la contessa d'Albany

I retroscena di quella che nella sua Vita Alfieri ricorda come "la più terribile delle quattro o cinque separazioni" dalla contessa d'Albany, quella che lui chiamava la "più che metà di me stesso". Il vero nome della contessa compare nell'autobiografia alfieriana solo in latino: "Aloysia" e "Halbergis Albaniae Comitissa"; altrimenti è sempre detta "la mia donna", "la signora" ecc.

Il 4 maggio 1783 Vittorio Alfieri dovette abbandonare Roma in fretta e furia lasciando l'amata contessa d'Albany; a interrompere l'idillio era intervenuto, su richiesta del cardinale di York, il papa in persona. Il cardinale di York era fratello di Carlo Stuart, l'ormai rassegnato pretendente al trono d'Inghilterra, che viveva a Firenze col titolo di conte d'Albany, conducendovi una vita annoiata di beone e di "terribile ciarliero seccatore". La contessa accusava il marito di eccessiva gelosia, ma sarebbe imprudente esprimere in merito dei giudizi affrettati giacché la contessa faceva di tutto per ingelosire il marito: il poeta Vittorio Alfieri si era insediato a Firenze proprio per starle vicino e i due amanti non facevano mistero dei propri rapporti. È comprensibile dunque che il marito ne fosse seccato e che le scenate tra i due coniugi fossero frequenti. Un giorno Luisa d'Albany aveva deciso di farla finita: si era trasferita nel convento fiorentino delle orsoline e aveva chiesto aiuto al cognato cardinale perché le trovasse una sistemazione a Roma. Il cardinale di York non sapeva nulla della relazione della cognata con l'Alfieri ma conosceva bene il fratello e non dubitava che la moglie se ne fosse stancata, così aveva trovato un convento romano disposto a ospitarla. La partenza da Firenze era avvenuta in tutta segretezza e fu lo stesso Alfieri a scortare, pistola in pugno, la carrozza dell'amante fino alla frontiera per sventare possibili imboscate da parte del marito abbandonato. Giunto alla frontiera, l'Alfieri aveva salutato la nobildonna giurando che l'avrebbe seguita a Roma appena ella fosse uscita dal convento.

Di lì a poco, infatti, il buon cardinale di York dovette spiegare al Santo Padre che sua cognata non era fatta per la vita monastica e così l'irrequieta contessa era stata ospitata nel palazzo della Cancelleria, dove abitava Sua Eminenza. Costui tenne per sé alcune stanze all'ultimo piano e lasciò a lei il piano nobile del palazzo dopo di che le assegnò una pensione più che decorosa. Aveva, insomma, fatto il possibile per rimediare alle manchevolezze del fratello. O almeno ne era convinto. Era stato allora che l'Alfieri aveva ritenuti maturi i tempi per trasferirsi a Roma: si era preso in affitto una villetta ed aveva cominciato a frequentare la buona società. Ma soprattutto mostrò di prediligere la compagnia della ritrovata contessa. Tutto sembrava sistemato per il meglio e le cose sarebbero andate bene per i due innamorati se un giorno Sua Eminenza non si fosse recato a Firenze in visita al fratello e non avesse appreso da lui certi retroscena, ossia come stavano effettivamente le sue vicende familiari.

Tornato a Roma il cardinale di York fece una rapida indagine e scoprì che in città tutti sapevano che sua cognata passava la maggior parte del tempo in casa dell'Alfieri e il suo disappunto fu tale che si precipitò ancora una volta dal papa per chiedere aiuto. Pio VI si affrettò a firmare l'ordine di espulsione del poeta, che se ne andò da Roma e vagò, come scrive, "piangendo e rimando".