Jean-Baptiste de Lamarck

Colui che abbozzò una prima teoria evoluzionistica fu Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829) che sostenne, sulla base di osservazioni attinte dalla stessa realtà naturale, il verificarsi, lungo il tempo, di cambiamenti notevoli a livello di organismi biologici; tali cambiamenti non erano né casuali né accidentali, ma avvenivano - e avvengono - a suo avviso secondo una legge di progresso insita nella natura stessa: la natura ha prodotto successivamente tutte le specie di animali, cominciando dai piú imperfetti, ed ha complicato gradualmente la loro organizzazione; quindi, diffondendo gli animali in tutte le regioni abitabili del globo, ha fatto sí che ogni specie ricevesse dall'influenza delle circostanze quelle abitudini che le si riconoscono e quelle modificazioni delle sue parti che si manifestano all'osservazione.

Dunque, all'origine dell'universo non esistevano tutte le specie attualmente esistenti, ma solo quelle primitive; l'azione dell'ambiente poi ha fatto sí che in talune zone ognuna di quelle specie si diversificasse nelle forme e nelle abitudini, e si arricchisse di organizzazione e di funzioni per adattarsi alle circostanze proprie dei luoghi; questi cambiamenti poi, permanendo le stesse circostanze proprie dei luoghi, si sono stabilizzati e son diventati caratteri specifici trasmessi ereditariamente: è il caso, ad esempio, del collo delle giraffe, che sarebbe diventato lungo per lo sforzo, compiuto per varie generazioni, di brucare foglie sempre piú in alto. Ma ugualmente, quando le circostanze non hanno stimolato l'uso di una funzione, non solo non ne hanno rafforzato e sviluppato l'organo corrispondente, ma addirittura l'hanno indebolito nella propria capacità funzionale, fino talvolta a farlo scomparire: è il caso, ad esempio, della talpa, che, per adattarsi a vivere sotto terra, ha perduto la vista. Anche la perdita di queste funzioni non stimolate è divenuta un carattere acquisito trasmesso per via ereditaria.

È vero che il Lamarck propose queste sue idee, prudentemente, come una teoria interpretativa dei fatti osservabili; ma è pur vero ch'egli affermò che anche la teoria creazionista non aveva altro valore che quello di ipotesi interpretativa, e che essa non possedeva ragioni di credibilità migliori di quelle della sua teoria evoluzionistica.

Seguiamo piú da vicino il discorso di Lamarck.
Ogni specie animale vive in un ambiente fisico che muta nel tempo; tale mutamento però è talmente lento che ci sembra che le condizioni caratterizzanti un determinato luogo restino stabili.


È; noto che le varie regioni geografiche differiscono, per natura e qualità, in rapporto alla posizione, alla composizione e al clima, cosa di cui ci rendiamo conto facilmente percorrendo luoghi diversi distinti per qualità particolari; ecco già una causa di variazione, per gli animali e i vegetali che vivono in tali luoghi diversi. Ma ciò che non si sa abbastanza, e che addirittura in genere ci si rifiuta di credere, è che ogni singolo luogo cambia esso stesso, col tempo, di esposizione, di clima, di natura e di qualità, sebbene con una tal lentezza, in relazione alla durata della nostra vita, che siamo portati ad attribuirgli una perfetta stabilità. (Filosofia zoologica)

Con la modificazione delle condizioni dei luoghi, si modificano anche quelle dei corpi organici che in essi risiedono. Ora, questi luoghi in continua modificazione cambiano proporzionalmente le circostanze relative ai corpi viventi che li abitano, e queste a loro volta influiscono sugli organismi viventi. (Filosofia zoologica)


Ma poiché il cambiamento dei luoghi, come s'è visto, avviene in modo impercettibile, anche quello delle specie avviene in modo cosí lento da indurci a credere che le specie siano fisse.

In ogni luogo nel quale possano abitare degli animali, le circostanze che vi stabiliscono un ordine di cose restano a lungo le stesse, e cambiano in realtà solo con una lentezza tale che l'uomo non può notarle direttamente. Egli è cosí obbligato a consultare certi resti organici, per riconoscere che l'ordine di cose esistente in ciascuna regione non è sempre stato lo stesso, e per avvertire che esso cambierà ancora. Le razze di animali che vivono in ognuno di questi luoghi vi devono perciò mantenere a lungo le proprie abitudini; da questo fatto ci deriva l'apparente costanza del]e razze che chiamiamo specie, costanza che ha fatto nascere in noi l'idea che quelle razze siano tanto antiche quanto la natura. (Filosofia zoologica)

Dunque le specie non permangono identiche nel corso del tempo. Ma c'è di piú. In uno stesso tempo considerato, esistono differenze ambientali tra i diversi luoghi; e allora, se compariamo gli esemplari di una stessa specie residenti in luoghi diversi, noteremo tra loro delle differenze spiegabili con la diversa azione che i rispettivi ambienti hanno esercitato su di essi. Ma la natura e la situazione dei luoghi e dei climi costituiscono, per gli animali come per i vegetali, nei diversi punti della superficie del globo che possono essere abitati, altrettante circostanze diverse in tutte le possibili gradazioni. Gli animali che abitano quei diversi luoghi devono perciò differire gli uni dagli altri non solo in ragione dello stato di complessità strutturale raggiunto da ogni singola razza, ma anche in ragione delle abitudini che gli individui di ogni razza sono costretti a mantenere in quelle condizioni; cosí a mano a mano che, percorrendo grandi regioni della superficie terrestre, il naturalista osservatore vede cambiare le circostanze in modo appena percettibile, si accorge in quel momento sempre che pure le specie cambiano proporzionalmente nei loro caratteri. (Filosofia zoologica)


Pertanto, generalizzando, bisogna riconoscere che:
ogni cambiamento appena considerevole (e che poi si mantenga) delle circostanze in cui si viene a trovare ogni razza di animale opera in ciascuna di esse un reale cambiamento nei propri bisogni;
ogni cambiamento nei bisogni degli animali esige da parte loro l'esecuzione di altre azioni per soddisfare ai nuovi bisogni, e quindi altre abitudini;
ogni nuovo bisogno, poiché richiede nuove azioni per essere soddisfatto, esige dall'animale che lo prova sia l'impiego piú frequente di certe parti di cui prima faceva meno uso (cosa che le sviluppa e le ingrossa considerevolmente), sia l'impiego di nuovi organi che i bisogni fanno nascere insensibilmente in lui attraverso sforzi del suo sentire interno. (Filosofia zoologica)

E, aggiunge Lamarck, è possibile indicare anche le due leggi fondamentali in virtù delle quali «i nuovi bisogni hanno potuto essere soddisfatti», e «le nuove abitudini sono state acquisite».


PRIMA LEGGE
In ogni animale che non abbia raggiunto il termine del proprio sviluppo, l'impiego piú frequente e sostenuto di un qualsiasi suo organo rafforza a poco a poco quell'organo, lo sviluppa, lo ingrandisce e gli conferisce un potere proporzionale alla durata del suo uso: mentre la mancanza costante di uso lo indebolisce insensibilmente, lo deteriora, diminuisce progressivamente le sue facoltà e finisce per farlo scomparire.


SECONDA LEGGE
Tutto ciò che la natura ha fatto acquisire o perdere agli individui attraverso l'influenza delle circostanze cui la propria razza si trova da lungo tempo esposta, e di conseguenza per effetto dell'uso predominante di quel tal organo, o per la mancanza costante di impiego di quel tal altro, essa lo conserva attraverso la riproduzione nei nuovi nati, purché i cambiamenti acquisiti siano comuni ai due sessi, o almeno a coloro che hanno generato i nuovi individui. (Filosofia zoologica)


Tali leggi, a giudizio di Lamarck, non sono astratte costruzioni ipotetiche; al contrario: Sono, queste, due verità certe che possono esser messe in discussione solo da coloro che non abbiano mai osservato né seguito la natura nelle sue operazioni, o da coloro che si sono lasciati trascinare dall'errore. (Filosofia zoologica)


L'errore in cui cadono frequentemente i naturalisti è soprattutto di metodo:

Avendo notato che le forme delle parti degli animali sono sempre in perfetto rapporto con l'uso che ne vien fatto, i naturalisti hanno pensato che fossero la forma e lo stato delle parti ad averne determinato l'uso: è proprio questo l'errore, perché è facile dimostrare attraverso l'osservazione che sono al contrario i bisogni e l'impiego delle parti ad averle sviluppate, ad averle addirittura poste in essere quando non esistevano ancora, ad averle di conseguenza determinate nelle modalità con le quali le osserviamo oggi in ogni animale. Perché le cose non stessero in questi termini, bisognerebbe che la natura avesse creato per le parti degli animali tante forme quante le diverse circostanze nelle quali esse devono vivere avrebbero richiesto, e che quelle forme e quelle circostanze non variassero in alcun caso. (Filosofia zoologica)

Allora, se si tien presente «il vero ordine delle cose» della natura, bisognerà concludere senza esitazioni che: Non sono gli organi, cioè la natura e la forma delle parti del corpo di un animale, ad aver dato luogo alle sue abitudini e alle sue particolari facoltà, ma sono al contrario le sue abitudini, il suo modo di vivere e le circostanze nelle quali si sono imbattuti gli individui dai quali proviene, ad aver col tempo plasmato la forma del suo corpo, il numero e lo stato dei suoi organi, e infine le facoltà di cui gode. (Filosofia zoologica)