M. TULLIO CICERONE - De Fato
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16. Quid est, quod non possit isto modo ex conexo transferri ad coniunctionum negationem? Et quidem aliis modis easdem res efferre possumus. Modo dixi: 'In sphaera maximi orbes medii inter se dividuntur'; possum dicere: 'Si in sphaera maximi orbes erunt', possum dicere: 'Quia in sphaera maximi orbes erunt'. Multa genera sunt enuntiandi nec ullum distortius quam hoc, quo Chrysippus sperat Chaldaeos contentos Stoicorum causa fore. Illorum tamen nemo ita loquitur; maius est enim has contortiones orationis quam signorum ortus obitusque perdiscere. 16. Ma in questo modo qualsiasi condizio­nale può essere trasformata in una congiuntiva negativa: E infatti i medesimi concetti possono essere espressi in forme diverse. Poco fa ho detto «in una sfera le circonfe­renze massime si dividono in due parti uguali»; ma posso dire anche «se in una sfera ci saranno circonferenze mas­sime», oppure anche «poiché in una sfera ci saranno cir­conferenze massime»; vi sono molti tipi di enunciati, ma nessuno è più contorto di quello che Crisippo spera che i Caldei sceglieranno per amore degli Stoici. E co­munque nessuno di loro parla in questo modo: infatti è più difficile imparare queste contorsioni del linguaggio che il sorgere e il tramontare degli astri
17. Sed ad illam Diodori contentionem, quam Peri Dynaton appellant revertamur, in qua quid valeat id quod fieri possit anquiritur. Placet igitur Diodoro id solum fieri posse, quod aut verum sit aut verum futurum sit. Qui locus attingit hanc quaestionem, nihil fieri, quod non necesse fuerit, et, quicquid fieri possit, id aut esse iam aut futurum esse, nec magis commutari ex veris in falsa posse ea, quae futura, quam ea, quae facta sunt; sed in factis inmutabilitatem apparere, in futuris quibusdam, quia non apparet, ne inesse quidem videri, ut in eo, qui mortifero morbo urgeatur, verum sit 'Hic morietur hoc morbo', at hoc idem si vere dicatur in eo, in quo vis morbi tanta non appareat, nihilo minus futurum sit. Ita fit, ut commutatio ex vero in falsum ne in futuro quidem ulla fieri possit. Nam 'Morietur Scipio' talem vim habet, ut, quamquam de futuro dicitur, tamen ut id non possit convertere in falsum; de homine enim dicitur, cui necesse est mori. 17. Ma torniamo alla discussione di Diodoro detta Peri Dynaton [dei possibili], nella quale si discute sul possi­bile. Dunque Diodoro vuole che sia possibile soltanto ciò che è o sarà vero. La sua tesi viene a porci questa questione: che non accade niente che non fosse necessa­rio; che tutto ciò che è possibile o è già o sarà; che gli eventi futuri non possono essere trasformati da veri in falsi più di quelli passati; ma mentre è evidente che il passato è immutabile, il futuro, poiché non è evidente, a taluni sembra che non lo sia; ad esempio, se è vero, detto di un uomo gravemente ammalato di una malattia morta­le, «costui morirà di questa malattia», qualora la medesi­ma affermazione sia vera a proposito di un uomo nel quale la violenza della malattia appaia minore, l'evento è nondimeno destinato ad accadere. Ne consegue che la trasformazione da vero in falso è impossibile anche per le cose future. L'affermazione «Scipione morirà» ha una validità tale che, sebbene sia detta del futuro, non può tuttavia essere trasformata in falsa; infatti è detta di un uomo, che è inevitabile che muoia.
18. Sic si diceretur, 'Morietur noctu in cubiculo suo vi oppressus Scipio', vere diceretur; id enim fore diceretur, quod esset futurum; futurum autem fuisse ex eo, quia factum est, intellegi debet. Nec magis erat verum 'Morietur Scipio' quam 'Morietur illo modo', nec magis necesse mori Scipioni quam illo modo mori, nec magis inmutabile ex vero in falsum 'Necatus est Scipio' quam 'Necabitur Scipio'; nec, cum haec ita sint, est causa, cur Epicurus fatum extimescat et ab atomis petat praesidium easque de via deducat et uno tempore suscipiat res duas inenodabiles, unam, ut sine causa fiat aliquid--, ex quo existet, ut de nihilo quippiam fiat, quod nec ipsi nec cuiquam physico placet--alteram, ut, cum duo individua per inanitatem ferantur, alterum e regione moveatur, alterum declinet. 18. Così se si dicesse «Scipione morirà di morte violenta, di notte, nella sua camera da letto» sarebbe vero; infatti si direbbe che sarà quel che sarebbe stato; che sarebbe stato, lo si evince dal fatto che è stato. E non era più vero «Scipione mori­rà» di quanto non lo fosse «morirà in quel determinato modo», né era più necessario che Scipione morisse di quanto non lo fosse che morisse in quel modo, né più immutabile dal vero in falso «Scipione è stato ucciso» di «Scipione sarà ucciso». E tuttavia, pur stando così le cose, non c'è motivo che Epicuro tema il fato e cerchi aiuto negli atomi, facendo­li deviare dalla loro traiettoria, e sostenga contemporanea­mente due cose inammissibili: la prima, che qualcosa avvenga senza causa, perciò accadrebbe che qualcosa nasca dal nulla, il che né lui stesso né alcun fisico ammet­te; la seconda, che mentre due atomi si muovono nel vuoto, uno cada in linea retta, l'altro invece cambi dire­zione.
19. Licet enim Epicuro concedenti omne enuntiatum aut verum aut falsum esse non vereri, ne omnia fato fieri sit necesse; non enim aeternis causis naturae necessitate manantibus verum est id, quod ita enuntiatur: 'Descendit in Academiam Carneades', nec tamen sine causis, sed interest inter causas fortuito antegressas et inter causas cohibentis in se efficientiam naturalem. Ita et semper verum fuit 'Morietur Epicurus, cum duo et septuaginta annos vixerit, archonte Pytharato', neque tamen erant causae fatales, cur ita accideret, sed, quod ita cecidit, certe casurum sicut cecidit fuit. 19. In realtà Epicuro può benissimo concedere che ogni enunciato sia o vero o falso senza temere che per questo sia necessario che tutto accada a causa del fato; infatti l'enunciato «Carneade viene in Accademia» non è vero in forza di cause eterne derivanti da una necessità di natura, e tuttavia non è senza cause; ma vi è differenza fra cause casualmente antecedenti e cause che hanno in sé la necessità della legge naturale. Così è sempre stato vero che «Epicuro morirà dopo aver vissuto anni sotto l'arcontato di Pitarato», e tuttavia non vi erano cause fatali perché questo accadesse; ma quel che è già accaduto, doveva certo accadere come è accaduto.
20. Nec ei qui dicunt inmutabilia esse quae futura sint nec posse verum futurum convertere in falsum, fati necessitatem confirmant, sed verborum vim interpretantur. At qui introducunt causarum seriem sempiternam, ei mentem hominis voluntate libera spoliatam necessitate fati devinciunt. Sed haec hactenus; alia videamus. Concludit enim Chrysippus hoc modo: 'Si est motus sine causa, non omnis enuntiatio (quod axioma dialectici appellant) aut vera aut falsa erit; causas enim efficientis quod non habebit, id nec verum nec falsum erit; omnis autem enuntiatio aut vera aut falsa est; motus ergo sine causa nullus est. 20. E quelli che affermano che il futuro è immutabile e non può essere trasformato da vero in falso, non rafforzano la necessità dei fato, ma si riferiscono al valore degli enunciati. Piuttosto coloro che introducono il concetto di una serie concatenata di cause fissate dall'eternità, privano la mente dell' uomo della libera volontà e la rendono prigioniera della necessità dei fato. Ma con questo fermiamoci qui e passiamo ad altre questioni. Dunque Crisippo conclude in questo modo: "Se esiste un moto incausato, allora non ogni enunciato, che i dialettici chiamano axioma, sarà o vero o falso, poiché ciò che non avrà una causa efficiente non sarà né vero né falso; ma tutti gli enunciati sono o veri o falsi: quindi non esiste alcun moto incausato".
21. Quod si ita est, omnia, quae fiunt, causis fiunt antegressis; id si ita est, fato omnia fiunt; efficitur igitur fato fieri, quaecumque fiant.' Hic primum si mihi libeat adsentiri Epicuro et negare omnem enuntiationem aut veram esse aut falsam, eam plagam potius accipiam quam fato omnia fieri conprobem; illa enim sententia habet aliquid disputationis, haec vero non est tolerabilis. Itaque contendit omnis nervos Chrysippus, ut persuadeat omne axioma aut verum esse aut falsum. Ut enim Epicurus veretur, ne, si hoc concesserit, concedendum sit fato fieri, quaecumque fiant, (si enim alterum utrum ex aeternitate verum sit, esse id etiam certum et, si certum, etiam necessarium; ita et necessitatem et fatum confirmari putat), sic Chrysippus metuit, ne, si non obtinuerit omne, quod enuntietur, aut verum esse aut falsum, non teneat omnia fato fieri et ex causis aeternis rerum futurarum. 21. E se le cose stanno così, tutto ciò che accade, accade per opera di cause antecedenti, e quindi accade per opera del fato. Ne consegue dunque che tutte le cose che accadono, accado­no per opera del fato» . A questo punto, se dovessi di­chiararmi d'accordo con Epicuro, e negare che ogni enunciato sia o vero o falso, preferirei accettare questo colpo piuttosto che ammettere che tutto accade per opera del fato; infatti se la prima tesi è senz'altro discutibile, la seconda non è nemmeno tollerabile. Dunque Crisippo si sforza in ogni modo di convincerci che ogni axioma [enunciato] è o vero o falso. Infatti mentre Epicuro teme, ammettendo questo, di dover ammettere anche che tutto accade per opera del fato (poiché se una delle due alter­native è, vera dall'eternità, allora è anche certa, e se è certa è anche necessaria: in questo modo pensa di raffor­zare la tesi del fato e della necessità), d'altra parte Cri­sippo teme che, se non otterrà che ogni enunciato sia o vero o falso, non potrà neanche difendere la tesi che tutto accade per opera del fato e di cause che determinano il futuro dall'eternità.
22. Sed Epicurus declinatione atomi vitari necessitatem fati putat. Itaque tertius quidam motus oritur extra pondus et plagam, cum declinat atomus intervallo minimo (id appellat elachiston). Quam declinationem sine causa fieri si minus verbis, re cogitur confiteri. Non enim atomus ab atomo pulsa declinat. Nam qui potest pelli alia ab alia, si gravitate feruntur ad perpendiculum corpora individua rectis lineis, ut Epicuro placet? sequitur autem ut, si alia ab alia numquam depellatur, ne contingat quidem alia aliam; ex quo efficitur, etiamsi sit atomus eaque declinet, declinare sine causa. 22. Ma Epicuro crede di evitare la necessità del fato con la teoria della declinazione dell'atomo. E così ecco che spunta fuori un terzo moto, oltre a quelli causati dal peso e dall'urto, per cui l'atomo si allontana dalla sua traiettoria secondo un «minimo», che lui chiama elachiston. E anche se non lo dice esplicitamente, in pratica è costretto ad ammettere che questa deviazione avvenga senza causa. Infatti l'atomo non devia perché è colpito da un altro atomo: infatti, in che modo gli atomi potrebbero colpirsi, se sono tutti trascinati verso il basso, in linea retta, dalla gravità, come sostiene Epicuro? Se non si colpiscono mai, è evidente che non possono neppure toccarsi. Se ne evince quindi che, se l'atomo esiste e devia, devia senza causa.
23. Hanc Epicurus rationem induxit ob eam rem, quod veritus est, ne, si semper atomus gravitate ferretur naturali ac necessaria, nihil liberum nobis esset, cum ita moveretur animus, ut atomorum motu cogeretur. Id Democritus, auctor atomorum, accipere maluit, necessitate omnia fieri, quam a corporibus individuis naturalis motus avellere. Acutius Carneades, qui docebat posse Epicureos suam causam sine hac commenticia declinatione defendere. Nam cum docerent esse posse quendam animi motum voluntarium, id fuit defendi melius quam introducere declinationem, cuius praesertim causam reperire non possent; quo defenso facile Chrysippo possent resistere. Cum enim concessissent motum nullum esse sine causa, non concederent omnia, quae fierent, fieri causis antecedentibus; voluntatis enim nostrae non esse causas externas et antecedentis. 23. Epicuro ha introdotto questa teoria perché, se l'atomo si muovesse sempre e soltanto secondo la legge naturale e necessaria della gravità, te­meva che non rimanesse nessun spazio alla libertà uma­na, essendo i moti dell'animo condizionati da quelli degli atomi. Democrito, fondatore dell'atomismo, preferì ac­cettare la necessità universale, piuttosto che ammettere che gli atomi potessero avere un moto diverso da quello naturale. Carneade, più acutamente, mostrava che gli Epicu­rei potevano difendere la loro opinione senza inventarsi questa declinazíone. Infatti, poiché sostenevano che nell'animo possono esservi dei moti volontari, avrebbero dovuto difendere questo punto invece di introdurre la declinazione, soprattutto dal momento che non riusciva­no a trovarne la causa. Difesa questa teoria, avrebbero potuto facilmente resistere alle critiche di Crisippo. In­fatti pur ammettendo che non vi sia alcun moto incau­sato, non avrebbero ammesso che tutto accade in virtù di cause antecedenti, poiché non vi sono cause esterne e antecedenti che determinano la volontà umana.
24. Communi igitur consuetudine sermonis abutimur, cum ita dicimus, velle aliquid quempiam aut nolle sine causa; ita enim dicimus 'sine causa', ut dicamus: sine externa et antecedente causa, non sine aliqua; ut, cum vas inane dicimus, non ita loquimur, ut physici, quibus inane esse nihil placet, sed ita, ut verbi causa sine aqua, sine vino, sine oleo vas esse dicamus, sic, cum sine causa animum dicimus moveri, sine antecedente et externa causa moveri, non omnino sine causa dicimus. De ipsa atomo dici potest, cum per inane moveatur gravitate et pondere, sine causa moveri, quia nulla causa accedat extrinsecus. 24. Nella consuetudine del parlare comune commettiamo dunque un errore, quando diciamo che uno vuole o non vuole qualcosa «senza causa»: infatti dicendo «senza causa» intendiamo in realtà dire «senza una causa esterna e ante­cedente», e non senza causa affatto; come quando dicia­mo che un vaso è vuoto, non parliamo il linguaggio dei fisici, secondo i quali il vuoto non esiste, ma intendiamo semplicemente che nel vaso non vi e, per esempio, ac­qua, né vino, né olio, così quando diciamo che l'animo ha dei moti incausati intendiamo senza causa esterna e antecedente, non senza causa affatto. Proprio del l'atomo, poiché si muove nel vuoto in virtù della gravità e del peso, si può dire che si muove senza causa, dato che non interviene nessuna causa dal di fuori.
25. Rursus autem, ne omnes a physicis inrideamur si dicamus quicquam fieri sine causa, distinguendum est et ita dicendum, ipsius individui hanc esse naturam, ut pondere et gravitate moveatur, eamque ipsam esse causam, cur ita feratur. Similiter ad animorum motus voluntarios non est requirenda externa causa; motus enim voluntarius eam naturam in se ipse continet, ut sit in nostra potestate nobisque pareat, nec id sine causa; eius rei enim causa ipsa natura est. 25 Ma di nuovo, perché noi tutti fisici non siamo irrisi, se dicessimo che qualcosa accade senza causa, bisogna distinguere e spie­gare che questa è la natura dell'atomo, di muoversi per il peso e la gravità, e che la sua stessa natura è causa del suo movimento. Allo stesso modo, per i moti volontari del­l'animo non è da ricercarsi una causa esterna: infatti il moto volontario possiede in sé una natura tale per cui è in nostro potere e ci obbedisce, e non per questo è senza causa; infatti ne è causa la sua stessa natura.
26. Quod cum ita sit, quid est, cur non omnis pronuntiatio aut vera aut falsa sit, nisi concesserimus fato fieri, quaecumque fiant? Quia futura vera, inquit, non possunt esse ea, quae causas, cur futura sint, non habent; habeant igitur causas necesse est ea, quae vera sunt; ita, cum evenerint, fato evenerint. Confectum negotium, siquidem concedendum tibi est aut fato omnia fieri, aut quicquam fieri posse sine causa. 26 Ma se le cose stanno così, che motivo c'è di negare che ogni enunciato è o vero o falso, se non ammetteremo anche che tutto ciò che accade, accade per opera del fato?" «Perché», dice lui, «le cose vere nel futuro non possono essere cose che non abbiano già nel presente le cause del loro accadere; quindi è necessario che le cose vere abbiano le loro cause; e così quando avverranno, avverranno per opera del fato.»
La faccenda sarebbe già risolta, se l'alternativa fosse concederti che tutto accade per opera del fato, op­pure ammettere che qualcosa possa accadere senza cau­sa.
27. An aliter haec enuntiatio vera esse potest, 'Capiet Numantiam Scipio', nisi ex aeternitate causa causam serens hoc erit effectura? An hoc falsum potuisset esse, si esset sescentis saeculis ante dictum? Et si tum non esset vera haec enuntiatio: 'Capiet Numantiam Scipio', ne illa quidem eversa vera est haec enuntiatio: 'Cepit Numantiam Scipio.' Potest igitur quicquam factum esse, quod non verum fuerit futurum esse? Nam ut praeterita ea vera dicimus, quorum superiore tempore vera fuerit instantia, sic futura, quorum consequenti tempore vera erit instantia, ea vera dicemus. 27. Ma l'enunciato «Scipione prenderà Numanzia» non può forse essere vero senza che vi sia una serie di cause fissate dall'eternità che determini quell'evento? Oppure, avrebbe potuto essere falso, se fosse stato pre­detto innumerevoli secoli prima? E se allora l'enunciato «Scipione prenderà Numanzia» non fosse vero neppure ora che la città è distrutta l'enunciato «Scipione ha preso Numanzia» è vero. Può dunque essere accaduto qualcosa che non fosse vero che sarebbe stato? Infatti come dicia­mo veri gli eventi passati, la cui realizzazione è stata vera in un tempo precedente, così diciamo veri quelli futuri, la cui realizzazione sarà vera in un tempo successivo.
28. Nec, si omne enuntiatum aut verum aut falsum est, sequitur ilico esse causas inmutabilis, easque aeternas, quae prohibeant quicquam secus cadere, atque casurum sit; fortuitae sunt causae, quae efficiant, ut vere dicantur, quae ita dicentur: 'Veniet in senatum Cato', non inclusae in rerum natura atque mundo; et tamen tam est inmutabile venturum, cum est verum, quam venisse (nec ob eam causam fatum aut necessitas extimescenda est); etenim erit confiteri necesse 'Si hoc enuntiatum, "Veniet in Tusculanum Hortensius," vera non est, sequitur, ut falsa sit.' Quorum isti neutrum volunt; quod fieri non potest. Nec nos impediet illa ignava ratio, quae dicitur; appellatur enim quidam a philosophis Argos Logos, cui si pareamus, nihil omnino agamus in vita. Sic enim interrogant: 'Si fatum tibi est ex hoc morbo convalescere, sive tu medicum adhibueris sive non adhibueris, convalesces; 28. E se ogni enunciato è o vero o falso, non ne segue imme­diatamente che vi siano cause immutabili ed eterne che impediscono che qualcosa accada diversamente da come accadrà; vi sono cause fortuite che fanno sì che l'enun­ciato «Catone verrà in senato» sia vero, ma che non fan­no parte della natura delle cose e del mondo; e tuttavia, se è vero, è altrettanto immutabile che Catone verrà in sena­to quanto che vi sia già venuto; e non per questo dobbia­mo temere il fato o la necessità. Infatti è inevitabile rico­noscere che se l'enunciato «Ortensio verrà a Tusculo» non è vero, allora vuol dire che è falso. Gli Epicurei invece non accettano né l'una né l'altra alternativa, il che e impossibile. Lì non ci creerà problemi la cosiddetta «teoria ignava» (infatti i filosofi lo chiamano Argos Logos), seguendo la quale non dovremmo compiere in vita nostra nessuna azione. Ecco come ragionano: «Se è destino che tu gua­risca da questa malattia, guarirai, sia che chiami il medi­co sia che non lo chiami;
29. item, si fatum tibi est ex hoc morbo non convalescere, sive tu medicum adhibueris sive non adhibueris, non convalesces; et alterutrum fatum est; medicum ergo adhibere nihil attinet.' Recte genus hoc interrogationis ignavum atque iners nominatum est, quod eadem ratione omnis e vita tolletur actio. Licet etiam inmutare, ut fati nomen ne adiungas et eandem tamen teneas sententiam, hoc modo: 'Si ex aeternitate verum hoc fuit: "Ex isto morbo convalesces", sive adhibueris medicum sive non adhibueris, convalesces; itemque, si ex aeternitate falsum hoc fuit: "Ex isto morbo convalesces", sive adhibueris medicum sive non adhibueris, non convalesces'; deinde cetera. 29 ugualmente, se è destino che tu non guarisca, non guarirai, sia che chiami il medico sia che non lo chiami; e che si verifichi la prima o la seconda ipotesi è destino; quindi non fa nessuna differenza chia­mare il medico oppure no».
Giustamente un ragionamento simile è stato detto ignavo e inerte, poiché secondo lo stesso principio si elimina qualsiasi possibilità di azione dalla vita umana. Si può anche modificarlo, se vuoi eliminare la parola «fato» e tuttavia mantenere i termini del ragionamento, in questo modo: «Se è vero dall'eternità che "tu guarirai da codesta malattia", guarirai sia che chiami il medico sia che non lo chiami; se invece è falso dall' eternità che "tu guarirai da codesta malattia", allora non guarirai, sia che chiami il medico sia che non lo chiami»; e così via.
30. Haec ratio a Chrysippo reprehenditur. Quaedam enim sunt, inquit, in rebus simplicia, quaedam copulata; simplex est: 'Morietur illo die Socrates'; huic, sive quid fecerit sive non fecerit, finitus est moriendi dies. At si ita fatum est: 'Nascetur Oedipus Laio', non poterit dici: 'sive fuerit Laius cum muliere sive non fuerit'; copulata enim res est et confatalis; sic enim appellat, quia ita fatum sit et concubiturum cum uxore Laium et ex ea Oedipum procreaturum, ut, si esset dictum: 'Luctabitur Olympiis Milo' et referret aliquis: 'Ergo, sive habuerit adversarium sive non habuerit, luctabitur', erraret; est enim copulatum 'luctabitur', quia sine adversario nulla luctatio est. Omnes igitur istius generis captiones eodem modo refelluntur. 'Sive tu adhibueris medicum sive non adhibueris, convalesces' captiosum; tam enim est fatale medicum adhibere quam convalescere. Haec, ut dixi, confatalia ille appellat. 30. Questo modo di ragionare è criticato da Crisippo, che dice: «Vi sono nella realtà fatti semplici e fatti colle­gati; semplice è "Socrate morirà il tal giorno"; qualsiasi cosa egli faccia, il giorno della sua morte è stabilito. Ma se è destinato che "Laio genererà Edipo", non si può dire "sia che Laio si unisca a una donna sia che non le si unisca"; infatti questo è un fatto collegato e confatale»; lo chiama così, poiché è fatale sia che Laio si unisca alla moglie sia che generi da lei Edipo. Ugualmente se fosse stato predetto «Milone lotterà a Olimpia», e qualcuno dicesse «lotterà sia che abbia un avversario, sia che non ce l'abbia», sbaglierebbe; infatti «lotterà» è un fatto col­legato, poiché senza avversario non può esservi nessuna lotta. Tutti i sofismi di questo genere si controbattono dunque allo stesso modo. «Guarirai sia che chiami il me­dico, sia che non lo chiami» è un sofisma; infatti è tanto fatale chiamare il medico quanto guarire. Questi fatti col­legati, come ho detto, li chiama «confatali».