M. TULLIO CICERONE - De Fato
Versi 1-15 | Versi 16-30 | Versi 31-45

31. Carneades genus hoc totum non probabat et nimis inconsiderate concludi hanc rationem putabat. Itaque premebat alio modo nec ullam adhibebat calumniam; cuius erat haec conclusio: 'Si omnia antecedentibus causis fiunt, omnia naturali conligatione conserte contexteque fiunt; quod si ita est, omnia necessitas efficit; id si verum est, nihil est in nostra potestate; est autem aliquid in nostra potestate; at, si omnia fato fiunt, omnia causis antecedentibus fiunt; non igitur fato fiunt, quaecumque fiunt.' 31. Carneade non approvava affatto questo modo di pensare e riteneva che il ragionamento fosse concluso in modo alquanto frettoloso; per questo incalzava in mo­do diverso, senza ricorrere a simili sottigliezze. E la sua conclusione era questa: «Se tutte le cose accadono per cause antecedenti, esse sono tutte concatenate e intrec­ciate secondo una connessione naturale; e se le cose stan­no così, tutte le cose accadono di necessità; e se questo è vero, niente è in nostro potere; ma qualcosa è pure in nostro potere ; ma se tutto dipende dal fato, tutto accade per cause antecedenti; allora non tutto ciò che accade, accade per opera del fato». Il ragionamento non potrebbe essere più stringente di così.
32. Haec artius adstringi ratio non potest. Nam si quis velit idem referre atque ita dicere: 'Si omne futurum ex aeternitate verum est, ut ita certe eveniat, quem ad modum sit futurum, omnia necesse est conligatione naturali conserte contexteque fieri', nihil dicat. Multum enim differt, utrum causa naturalis ex aeternitate futura vera efficiat, an etiam sine aeternitate naturali, futura quae sint, ea vera esse possint intellegi. Itaque dicebat Carneades ne Apollinem quidem futura posse dicere nisi ea, quorum causas natura ita contineret, ut ea fieri necesse esset. 32. Infatti se qualcuno voles­se esprimere lo stesso concetto in modo diverso, e dices­se: «Se tutto ciò che accadrà, è vero dall'eternità, co­sicché le cose accadranno certamente nel modo in cui accadranno, è necessario che tutte le cose accadano con­catenate e intrecciate secondo una connessione natura­le», direbbe una cosa senza senso. Infatti è molto diverso dire che vi è una causa naturale che rende veri dall'eter­nità gli eventi futuri o, diversamente, che anche senza cause eterne e naturali gli eventi che accadranno possano essere pensati come veri. Così Carneade diceva che perfino Apollo poteva predire solo quelle cose future le cui cause presenti nella natura, cosicché fosse necessario che accadessero.
33. Quid enim spectans deus ipse diceret Marcellum eum, qui ter consul fuit, in mari esse periturum? Erat hoc quidem verum ex aeternitate, sed causas id efficientis non habebat. Ita ne praeterita quidem ea, quorum nulla signa tamquam vestigia extarent, Apollini nota esse censebat; quanto minus futura, causis enim efficientibus quamque rem cognitis posse denique sciri quid futurum esset; ergo nec de Oedipode potuisse Apollinem praedicere nullis in rerum natura causis praepositis, cur ab eo patrem interfici necesse esset, nec quicquam eius modi. Quocirca, si Stoicis, qui omnia fato fieri dicunt, consentaneum est huiusmodi oracula ceteraque, quae ad divinationem pertinent, comprobare, eis autem qui, quae futura sunt ea vera esse ex aeternitate dicunt non idem dicendum est, vide ne non eadem sit illorum causa et Stoicorum; hi enim urguentur angustius, illorum ratio soluta ac libera est. 33. Infatti su che cosa si fondava il dio quando disse che quel Marcello, che fu console tre volte, sarebbe morto in mare? Certo questo era vero dall'eternità, ma non aveva cause efficienti. Ugualmente pensava che Apollo non cono­scesse neppure quegli avvenimenti passati dei quali non rimanessero tracce nel presente: tanto meno quelli futuri. Infatti solo conoscendo le cause efficienti di ciascuna cosa si può prevedere il futuro. Dunque Apollo non a­vrebbe potuto fare alcuna predizione a proposito di Edipo, poiché non vi erano le cause antecedenti e naturali per cui era necessario che uccidesse il padre; né alcuna altra cosa di questo genere. Allora, se gli Stoici, che dicono che tutto accade per opera del fato, devono di conseguenza accettare gli oracoli di questo tipo e le altre predizioni tratte dalla divinazione, per quanto riguarda invece quelli che so­stengono che le cose che accadranno sono vere dall'e­ternità, non può dirsi lo stesso, e sta' attento a non confondere la loro tesi con quella degli Stoici; questi infatti si possono incalzare più da vicino, quelli invece hanno un modo di ragionare più sciolto e libero.
34. Quodsi concedatur nihil posse evenire nisi causa antecedente, quid proficiatur, si ea causa non ex aeternis causis apta dicatur? Causa autem ea est, quae id efficit, cuius est causa, ut vulnus mortis, cruditas morbi, ignis ardoris. Itaque non sic causa intellegi debet, ut, quod cuique antecedat, id ei causa sit, sed quod cuique efficienter antecedat, nec, quod in campum descenderim, id fuisse causae, cur pila luderem, nec Hecubam causam interitus fuisse Troianis, quod Alexandrum genuerit, nec Tyndareum Agamemnoni, quod Clytaemnestram. Hoc enim modo viator quoque bene vestitus causa grassatori fuisse dicetur, cur ab eo spoliaretur. 34. Infatti, se si concedesse che niente può accadere sen­za una causa antecedente, che si guadagnerebbe dicendo che quella causa non è, legata alle cause eterne? Causa infatti è propriamente quella che produce ciò di cui è causa, come la ferita della morte, la difficoltà di digestio­ne della malattia, il fuoco del calore. Infatti per quanto riguarda il concetto di causa, non bisogna pensare che la causa di ciascuna cosa sia ciò che la precede, ma ciò che la precede in modo da produrla. Ad esempio, il fatto che sia sceso nel Campo non è causa del fatto che abbia giocato a palla, Ecuba non fu causa della rovina dei Troiani perché aveva generato Paride, né Tindaro di quella di Agamennone perché aveva generato Clitennestra. Al­trimenti si potrebbe dire anche che il viaggiatore ben vestito è stato causa del furto che ha subito dal ladro.
35. Ex hoc genere illud est Ennii, utinam ne in nemore Pelio securibus caesae accidissent abiegnae ad terram trabes! Licuit vel altius: 'Utinam ne in Pelio nata ulla umquam esset arbor!' etiam supra: 'Utinam ne esset mons ullus Pelius!' similiterque superiora repetentem regredi infinite licet. Neve inde navis inchoandi exordium cepisset. Quorsum haec praeterita? quia sequitur illud, Nam numquam era errans mea domo ecferret pedem Medea, animo aegra, amore saevo saucia, non erat ut eae res causam adferrent amoris. 35 Di questo tipo è l'affermazione di Ennio: «Oh, se mai nel bosco Pelio le travi d'abete, dalle scuri tagliate, fossero cadute a terra». Avrebbe potuto risalire più indietro nel tempo: «oh, se sul Pelio mai fosse nato albero alcuno», o ancor prima: «oh, se mai fosse esistito il monte Pelio», e si potrebbe continuare all'infinito, riandando a tempi sempre più lontani: «c da lì la costruzione della nave non avesse avuto inizio». A che scopo citare questi eventi passati? Perché poi se­gue un altro discorso: «Infatti ora la mia signora non se ne andrebbe, pazza, dalla casa, Medea, con l'anima malata, ferita da un amore crudele», non perché quelle cose costituissero realmente la causa dell'amore.
36. Interesse autem aiunt, utrum eius modi quid sit, sine quo effici aliquid non possit, an eius modi, cum quo effici aliquid necesse sit. Nulla igitur earum est causa, quoniam nulla eam rem sua vi efficit, cuius causa dicitur; nec id, sine quo quippiam non fit, causa est, sed id, quod cum accessit, id, cuius est causa, efficit necessario. Nondum enim ulcerato serpentis morsu Philocteta quae causa in rerum natura continebatur, fore ut is in insula Lemno linqueretur? post autem causa fuit propior et cum exitu iunctior. 36. Infatti dicono che vi è differenza, tra un fatto senza cui un evento non può accadere, e un fatto per cui un evento accade di necessità. Quindi nessuno di quei fatti è causa, poiché nessuno produce per suo proprio potere ciò di cui è detto causa; e la causa non è ciò senza cui un evento non può accadere, ma ciò che sopravve­nendo produce di necessità ciò di cui è causa. Infatti quale causa vi era nella natura delle cose perché Filot­tete, non ancora ferito dal morso del serpente, fosse ab­bandonato sull'isola di Lemno? Ma dopo vi fu una causa più prossima e legata al risultato.
37. Ratio igitur eventus aperuit causam; sed ex aeternitate vera fuit haec enuntiatio: 'Relinquetur in insula Philoctetes', nec hoc ex vero in falsum poterat convertere. Necesse est enim in rebus contrariis duabus--contraria autem hoc loco ea dico, quorum alterum ait quid, alterum negat--ex eis igitur necesse est invito Epicuro alterum verum esse, alterum falsum, ut 'Sauciabitur Philocteta' omnibus ante saeculis verum fuit, 'Non sauciabitur' falsum; nisi forte volumus Epicureorum opinionem sequi, qui tales enuntiationes nec veras nec falsas esse dicunt aut, cum id pudet, illud tamen dicunt, quod est inpudentius, veras esse ex contrariis diiunctiones, sed, quae in his enuntiata sint, eorum neutrum esse verum. 37. E dunque la spiega­zione dell'evento che ne manifesta la causa. Ma quest'enunciato era vero dall'eternità: «Filottete sarà abbandonato su un'isola», e non poteva essere trasformato da vero in falso. Infatti è necessario che fra due contrari (qui chiamo contrari due enunciati dei quali uno afferma una cosa e l'altro la nega) ‑ fra questi dicevo è necessa­rio, anche se Epicuro lo nega, che uno sia vero e l'altro falso. Per esempio, «Filottete sarà ferito» è stato vero dall'inizio dei secoli, «non sarà ferito» falso; a meno che, per caso, non vogliamo seguire l'opinione degli Epicu­rei, che dicono che tali enunciati non sono né veri né falsi, oppure, vergognandosi di dire questo, dicono que­st'altra cosa, ancor più vergognosa, che sono vere le disgiuntive di contrari, ma che nessuno dei due enunciati è, vero.
38. O admirabilem licentiam et miserabilem inscientiam disserendi! Si enim aliquid in eloquendo nec verum nec falsum est, certe id verum non est; quod autem verum non est, qui potest non falsum esse? aut, quod falsum non est, qui potest non verum esse? tenebitur igitur id, quod a Chrysippo defenditur, omnem enuntiationem aut veram aut falsam esse; ratio ipsa coget et ex aeternitate quaedam esse vera, et ea non esse nexa causis aeternis et a fati necessitate esse libera. 38. Che incredibile licenza, e che miserevole imperizia logica! Se infatti un enunciato non è vero né falso, certo non è vero. Ma ciò che non è vero, in che modo può non essere falso? Oppure, ciò che non è falso, in che modo può non essere vero? Sarà dimostrata quindi la tesi difesa da Crisippo, che ogni enunciato è o vero o falso: la logica vuole che alcuni enunciati siano veri dall'eternità, ma che essi non siano legati a cause eterne e siano liberi dalla necessità del fato.
39. Ac mihi quidem videtur, cum duae sententiae fuissent veterum philosophorum, una eorum, qui censerent omnia ita fato fieri, ut id fatum vim necessitatis adferret, in qua sententia Democritus, Heraclitus, Empedocles, Aristoteles fuit, altera eorum, quibus viderentur sine ullo fato esse animorum motus voluntarii, Chrysippus tamquam arbiter honorarius medium ferire voluisse--sed applicat se ad eos potius, qui necessitate motus animos liberatos volunt; dum autem verbis utitur suis, delabitur in eas difficultates, ut necessitatem fati confirmet invitus. 39 E dunque due sono i pareri degli antichi filoso­fi: l'uno, di quelli che pensano che tutto accada per opera del fato, e che esso abbia la forza della necessità ‑ e di questo parere erano Democrito, Eraclito, Empedocle, Aristotele ; l'altro, di quelli che pensano che, senza alcun fato, l'animo possieda dei moti volontari. A me sembra che Crisippo si sia voluto porre in mezzo a questi come un giudice conciliatore, ma che voglia avvicinarsi di più a coloro che vogliono i moti dell'animo liberi dalla necessità; poi però, esponendo la sua teoria, scivola in tali difficoltà che finisce per rafforzare, suo malgrado, la necessità del fato.
40. Atque hoc, si placet, quale sit videamus in adsensionibus, quas prima oratione tractavi. Eas enim veteres illi, quibus omnia fato fieri videbantur, vi effici et necessitate dicebant. Qui autem ab eis dissentiebant, fato adsensiones liberabant negabantque fato adsensionibus adhibito necessitatem ab his posse removeri, iique ita disserebant: 'Si omnia fato fiunt, omnia fiunt causa antecedente, et, si adpetitus, illa etiam, quae adpetitum sequuntur, ergo etiam adsensiones; at, si causa adpetitus non est sita in nobis, ne ipse quidem adpetitus est in nostra potestate; quod si ita est, ne illa quidem, quae adpetitu efficiuntur, sunt sita in nobis; non sunt igitur neque adsensiones neque actiones in nostra potestate. Ex quo efficitur, ut nec laudationes iustae sint nec vituperationes nec honores nec supplicia'. Quod cum vitiosum sit, probabiliter concludi putant non omnia fato fieri, quaecumque fiant. 40. E a che cosa mi riferisco, possia­mo vederlo nella teoria dell'assenso, che ho esposto al­l'inizio del discorso. Infatti quegli antichi filosofi, che pensavano che tutto accada fatalmente, ritenevano che l'assenso fosse prodotto in modo coatto e necessario. Quelli invece che dissentivano da loro, liberavano l'as­senso dal fato e dicevano che, se si pone l'assenso sotto il dominio del fato, non si può allontanare da questo la necessità; quindi ragionavano in questo modo: «Se tutto accade per opera del fato, tutto accade per una causa antecedente; e se l'appetito accade per opera del fato, allora anche tutto ciò che segue l'appetito, e quindi anche l'assenso; ma se la causa dell'appetito non è posta in noi, neppure l'appetito è in nostro potere; e se le cose stanno cosi, neppure tutto ciò che è prodotto dall'appetito dipen­de da noi; dunque né l'assenso né le azioni sono in nostro potere. Ne consegue che né le lodi, né i rimproveri, né gli onori, né le pene, sono giusti». E poiché questo è erro­neo, pensano che si debba concludere con ogni probabili­tà che non tutto ciò che avviene, avviene per opera del fato.
41. Chrysippus autem cum et necessitatem inprobaret et nihil vellet sine praepositis causis evenire, causarum genera distinguit, ut et necessitatem effugiat et retineat fatum. 'Causarum enim', inquit, 'aliae sunt perfectae et principales, aliae adiuvantes et proximae. Quam ob rem, cum dicimus omnia fato fieri causis antecedentibus, non hoc intellegi volumus: causis perfectis et principalibus, sed causis adiuvantibus et proximis'. Itaque illi rationi, quam paulo ante conclusi, sic occurrit: si omnia fato fiant, sequi illud quidem, ut omnia causis fiant antepositis, verum non principalibus causis et perfectis, sed adiuvantibus et proximis. Quae si ipsae non sunt in nostra potestate, non sequitur, ut ne adpetitus quidem sit in nostra potestate. At hoc sequeretur, si omnia perfectis et principalibus causis fieri diceremus, ut, cum eae causae non essent in nostra potestate, ne ille quidem esset in nostra potestate. 41. Ma Crisippo, poiché rifiuta la necessità, e tut­tavia non ammette che qualcosa avvenga senza cause antecedenti, distingue i generi delle cause, in modo da evitare la necessità senza negare il fato. Dice: «Ci sono cause perfette e principali e cause ausiliarie e prossime. Per questo quando dico che tutto accade fatalmente per opera di cause antecedenti, non intendo per opera di cau­se perfette e principali, ma per opera di cause ausiliarie e prossime». E a quel ragionamento che ho esposto poco fa, risponde in questo modo: se tutto accade per opera del fato, ne segue anche che tutto accade per opera di cause antecedenti, ma non di cause perfette e principali, bensì di cause ausiliarie e prossime. E se queste non sono in nostro potere, non ne consegue che neppure l'appetito sia in nostro potere. Se invece dicessimo che tutto accade per opera di cause perfette e principali, allora ne segui­rebbe che, non essendo tali cause in nostro potere, nep­pure l'appetito sia in nostro potere.
42. Quam ob rem, qui ita fatum introducunt, ut necessitatem adiungant, in eos valebit illa conclusio; qui autem causas antecedentis non dicent perfectas neque principalis, in eos nihil valebit. Quod enim dicantur adsensiones fieri causis antepositis, id quale sit, facile a se explicari putat. Nam quamquam adsensio non possit fieri nisi commota viso, tamen, cum id visum proximam causam habeat, non principalem, hanc habet rationem, ut Chrysippus vult, quam dudum diximus, non ut illa quidem fieri possit nulla vi extrinsecus excitata (necesse est enim adsensionem viso commoveri), sed revertitur ad cylindrum et ad turbinem suum, quae moveri incipere nisi pulsa non possunt. Id autem cum accidit, suapte natura, quod superest, et cylindrum volvi et versari turbinem putat. 42. Per cui quel ragio­namento varrà contro coloro che sostengono l'esistenza di un fato che implica la necessità, ma non contro coloro che per cause antecedenti non intendono cause perfette e principali. Quanto al fatto che l'assenso avvenga solo ad opera di cause antecedenti, pensa che si spieghi facil­mente da sé. Infatti sebbene l'assenso non possa prodursi se non provocato da una rappresentazione, tuttavia, poi­ché questa rappresentazione costituisce la sua causa prossima ma non la principale, la spiegazione, secondo Crisippo, è quella che abbiamo appena esposto; non che l'assenso possa avvenire senza essere provocato da qual­che impulso esterno (infatti è inevitabile che l'assenso sia prodotto da una rappresentazione), ma ritorna al suo esempio del cilindro e del cono, che non possono comin­ciare a muoversi se non spinti da una forza esterna. Ma quando questo accade, per il resto pensa che il cilindro rotoli e il cono giri per propria natura.
43. 'Ut igitur', inquit, 'qui protrusit cylindrum, dedit ei principium motionis, volubilitatem autem non dedit, sic visum obiectum inprimet illud quidem et quasi signabit in animo suam speciem, sed adsensio nostra erit in potestate, eaque, quem ad modum in cylindro dictum est, extrinsecus pulsa, quod reliquum est, suapte vi et natura movebitur. Quodsi aliqua res efficeretur sine causa antecedente, falsum esset omnia fato fieri; sin omnibus, quaecumque fiunt, veri simile est causam antecedere, quid adferri poterit, cur non omnia fato fieri fatendum sit? modo intellegatur, quae sit causarum distinctio ac dissimilitudo.' 43. E dice: «Come dunque chi ha spinto il cilin­dro ha dato inizio al suo moto, ma non gli ha dato la proprietà di rotolare, così la rappresentazione dell'ogget­to si imprimerà nell'animo e vi lascerà la propria imma­gine come un sigillo, ma l'assenso sarà in nostro potere, e, come si è detto del cilindro, pur essendo provocato dall'esterno, per il resto si muoverà in virtù della propria natura. Che se qualcosa accadesse senza una causa ante­cedente, sarebbe falso che tutto accade per opera del fato; se invece è verosimile che tutto ciò che accade abbia una causa antecedente, che cosa si potrà addurre perché non si debba ammettere che tutto avviene per opera del fato? Purché si capisca la distinzione e diversità fra le cause».
44. Haec cum ita sint a Chrysippo explicata, si illi, qui negant adsensiones fato fieri, fateantur tamen eas sine viso antecedente fieri, alia ratio est; sed, si concedunt anteire visa, nec tamen fato fieri adsensiones, quod proxima illa et continens causa non moveat adsensionem, vide, ne idem dicant. Neque enim Chrysippus, concedens adsensionis proximam et continentem causam esse in viso positam, eam causam esse ad adsentiendum necessariam concedet, ut, si omnia fato fiant, omnia causis fiant antecedentibus et necessariis; itemque illi, qui ab hoc dissentiunt confitentes non fieri adsensiones sine praecursione visorum, dicent, si omnia fato fierent eius modi, ut nihil fieret nisi praegressione causae, confitendum esse fato fieri omnia; ex quo facile intellectu est, quoniam utrique patefacta atque explicata sententia sua ad eundem exitum veniant, verbis eos, non re dissidere. 44. Poiché questa è la teoria di Crisippo, se coloro che negano che l'assenso avvenga fatalmente, ammettono tuttavia che esso non avviene se non dopo una rappresen­tazione, la loro posizione è realmente diversa; ma se concedono che le rappresentazioni precedano l'assenso, e tuttavia negano che l'assenso avvenga fatalmente, poi­ché quella causa prossima e immediata non produce l'assenso, sta' attento che non dicano la stessa cosa. In­fatti neanche Crisippo, pur concedendo che la causa prossima e immediata dell'assenso sia posta nella rap­presentazione, ma non che quella causa necessiti l'assen­so, concederà che, se tutto accade fatalmente, tutto acca­da per opera di cause antecedenti e necessarie; e ugual­mente coloro che dissentono su questo punto ammet­tendo che l'assenso non possa prodursi senza essere pre­ceduto dalla rappresentazione, diranno che, se tutto acca­de ad opera del fato nel senso che niente accade senza una causa antecedente, allora bisogna ammettere che tut­to accade per opera del fato; e poiché una volta chiarito e spiegato il loro parere, giungono alla stessa conclusione, si capisce facilmente che dissentono a parole, non nella sostanza.
45. Omninoque cum haec sit distinctio, ut quibusdam in rebus vere dici possit, cum hae causae antegressae sint, non esse in nostra potestate, quin illa eveniant, quorum causae fuerint, quibusdam autem in rebus causis antegressis in nostra tamen esse potestate, ut illud aliter eveniat, hanc distinctionem utrique adprobant, sed alteri censent, quibus in rebus, cum causae antecesserint, non sit in nostra potestate, ut aliter illa eveniant, eas fato fieri; quae autem in nostra potestate sint, ab eis fatum abesse... 45 E, in generale, si può fare questa distinzio­ne: in alcuni casi si può affermare con verità che, verifi­candosi le cause antecedenti, non è in nostro potere im­pedire che accadano gli eventi dei quali si siano realizza­te le cause; in altri casi, invece, pur essendosi verificate le cause, è tuttavia in nostro potere fare in modo che gli eventi accadano diversamente. Ora, questa distinzione è accettata da entrambi, ma i secondi pensano che, nei casi in cui, essendosi verificate le cause antecedenti, non sia in nostro potere fare in modo che gli eventi accadano diversamente, essi accadano fatalmente; che invece gli eventi che sono in nostro potere, siano indipendenti dal fato...