O tu, che in mezzo a così grandi tenebre primo potesti
levare una luce tanto
chiara, illuminando le gioie della vita,
io seguo te, o onore della gente
greca, e nelle orme
da te impresse pongo ora ferme le piante dei miei
piedi,
non tanto perché io voglia gareggiare con te, quanto perché anelo
a
imitarti per amore. Come potrebbe infatti contendere la rondine
coi cigni? O
come potrebbero mai i capretti dalle tremule
membra emulare nella corsa
l'impeto di un forte cavallo?
Tu padre sei, scopritore del vero; tu paterni
precetti
ci prodighi, e, come le api nei pascoli fioriti
suggono per ogni
dove, così noi nei tuoi scritti,
o glorioso, ci pasciamo di tutti gli aurei
detti,
aurei, sempre degnissimi di vita perpetua.
Infatti, appena la tua
dottrina comincia a svelare a gran voce
la natura quale è sorta dalla tua
mente divina,
fuggon via i terrori dell'animo, le mura del mondo
si
disserrano, vedo le cose svolgersi attraverso tutto il vuoto.
Appaiono la
potenza degli dèi e le sedi quiete,
che né venti scuotono, né nuvole
cospargono
di piogge, né neve vìola, condensata da gelo acuto,
candida
cadendo;
un etere sempre senza nubi
le ricopre, e ride di luce
largamente diffusa.
E tutto fornisce la natura, né alcuna
cosa in alcun
tempo intacca la pace dell'animo.
Ma per contro in nessun luogo appaiono le
regioni acherontee,
né la terra impedisce che si discerna tutto quanto
si
svolge sotto i miei piedi, laggiù, attraverso il vuoto.
Per queste cose mi
prende allora un certo divino piacere
e un brivido, perché così per la
potenza della tua mente la natura,
tanto manifestamente dischiudendosi, in
ogni parte è stata rivelata.
E poiché ho insegnato quali siano i
principi
di tutte le cose e quanto differenti per varietà di
forme
spontaneamente volteggino, stimolati da moto eterno,
e in che modo
da questi si possa produrre ogni cosa,
dopo ciò mi sembra che nei miei versi
debba essere ormai
illustrata la natura dell'animo e dell'anima,
e che si
debba scacciar via a precipizio quel timore dell'Acheronte,
che dal profondo
sconvolge appieno la vita umana,
tutto inondando del nero della morte,
né
lascia esistere alcun piacere limpido e puro.
Sì, spesso gli uomini
dichiarano che malattie e vita infame
sono più temibili che il Tartaro,
dimora della morte;
dicono di sapere che la natura dell'animo è fatta di
sangue,
o anche di vento, se a ciò per caso li spinge il capriccio,
e di
non avere affatto bisogno della nostra dottrina;
ma di qui puoi intendere che
tutto è ostentato per vanagloria
piuttosto che espresso per convinzione della
cosa stessa.
Questi medesimi, cacciati dalla patria ed esiliati
lontano
dal cospetto degli uomini, disonorati da un'accusa
vergognosa,
afflitti da tutte le pene, in fin dei conti vivono,
e, dovunque sono giunti
nella loro miseria, offrono tuttavia
sacrifici ai loro morti, e immolano nere
vittime, e agli dèi Mani
consacrano funebri onori, e negli acerbi frangenti
con ansia
molto più acuta rivolgono gli animi alla religione.
Più
conviene, quindi, provare l'uomo nei dubbiosi
cimenti, e nelle avversità
conoscere quale sia;
giacché allora alfine parole veraci gli si cavano dal
profondo
del petto vien strappata la maschera, rimane la
realtà.
Infine l'avidità e la cieca brama di onori,
che forzano i miseri
uomini a oltrepassare i confini
del giusto, e talora, come compagni e
ministri di delitti,
adoprarsi notte e giorno con soverchiante fatica
per
assorgere a somma potenza - queste piaghe della vita,
in gran parte è il
timore della morte che le nutre.
Infatti comunemente il vergognoso disprezzo
e l'amara
povertà paiono remoti da una vita dolce e stabile,
e quasi già
sostare davanti alle porte della morte;
e gli uomini, mentre costretti da
fallace terrore vorrebbero
essere già fuggiti lontano da essi e lontano
averli scacciati,
col sangue dei concittadini ingrossano le proprie
sostanze
e avidi raddoppiano le ricchezze, accumulando strage su
strage;
crudeli si rallegrano del triste funerale di un fratello
e per le
mense dei consanguinei provano odio e terrore.
In simile maniera, nascendo
dallo stesso timore, spesso
li macera l'invidia che alla vista di tutti colui
sia potente,
attragga gli sguardi colui che incede con splendido
onore,
mentre essi si lamentano di voltolarsi nelle tenebre e nel
fango.
Alcuni periscono per brama di statue e di rinomanza;
e spesso a tal
segno per paura della morte prende
gli uomini odio della vita e della vista
della luce,
che si danno con petto angosciato la morte,
dimenticando che
la fonte degli affanni è questo timore,
questo fa strazio del senso d'onore,
questo rompe i vincoli
dell'amicizia - e insomma induce a sovvertire la
pietà.
Già spesso infatti gli uomini tradirono la patria
e i cari
genitori, cercando di evitare le regioni acherontee.
Difatti, come i
fanciulli trepidano e tutto temono
nelle cieche tenebre, così noi nella luce
talora abbiamo paura
di cose che per nulla son da temere più di quelle che i
fanciulli
nelle tenebre paventano e immaginano prossime ad
avvenire.
Questo terrore dell'animo, dunque, e queste tenebre
non li
devono dissolvere i raggi del sole, né i lucidi dardi
del giorno, ma
l'aspetto e l'intima legge della natura.
Anzitutto dico che l'animo, che
spesso chiamiamo mente,
in cui han sede il senno e il governo della
vita,
è una parte dell'uomo, non meno che una mano e un piede
e gli occhi
sono parti dell'intero essere animato.
che la sensibilità dell'animo non ha sede in una
parte
determinata, ma è una certa disposizione vitale del corpo,
che i
Greci chiamano armonia, perché per essa noi vivremmo
dotati di sensibilità,
sebbene in nessuna parte esista la mente;
come spesso si dice che il corpo
gode di buona salute,
e tuttavia questa non è alcuna parte di colui che sta
bene.
Così la sensibilità dell'animo non la pongono in una parte
determinata;
e in ciò mi sembra che errino molto lontano dalla giusta
via.
Spesso, infatti, il corpo in una parte palese è malato,
mentre
tuttavia gioiamo in un'altra parte che è occulta;
e all'inverso accade spesso
che s'avveri il contrario, a sua volta,
quando chi soffre nell'animo gioisce
in tutto il corpo;
non altrimenti che se, mentre a un malato duole un
piede,
nessun dolore intanto abbia, per avventura, la testa.
Inoltre,
quando le membra sono in preda a molle sonno
e abbandonato giace senza senso
il corpo appesantito,
tuttavia c'è in noi qualche altra cosa che in quel
mentre
si agita in molti modi e tutti in sé riceve
i moti della letizia e
le vane inquietudini del cuore.
Ora, perché tu possa conoscere che anche
l'anima
è nelle membra e che non per un'armonia suole il corpo
sentire,
anzitutto accade spesso che, pur detratta gran parte
del corpo,
tuttavia ci rimanga nelle membra la vita;
e d'altra parte, quando poche
particelle di calore
son fuggite via e aria è stata esalata fuori attraverso
la bocca,
la stessa vita sùbito abbandona le vene e lascia le ossa;
sì che
da ciò puoi conoscere che non tutti i corpi primi
hanno funzioni uguali, né
in ugual modo sostengono la salvezza,
ma più questi, che sono i semi del
vento e dell'ardente calore,
fanno sì che rimanga nelle membra la
vita.
V'è dunque nello stesso corpo un calore e un vento vitale,
che
abbandona le nostre membra al momento della morte.
Pertanto, poiché la natura
dell'animo e dell'anima è stata
svelata come una parte dell'uomo, lascia il
nome di armonia,
che per i musicisti fu portato giù dall'alto Elicona;
o
forse questi stessi, a loro volta, lo trassero d'altrove
e lo trasportarono a
quella cosa che allora non aveva un proprio nome.
Comunque sia, se lo
tengano: tu ascolta i restanti miei detti.
Ora io dico che l'animo e l'anima
si tengono congiunti
tra loro e costituiscono di sé una sola natura;
ma
ciò che è il capo, per così dire, e domina in tutto il corpo,
è il senno, che
noi chiamiamo animo e mente.
Ed esso è posto e fissato nella regione centrale
del petto.
Qui infatti si agitano l'ansia e la paura, intorno a queste
parti
le gioie ci accarezzano; qui dunque è la mente e l'animo.
Tutto il
resto dell'anima, disseminato per tutto il corpo,
obbedisce e si muove al
cenno e al movimento della mente.
Questa ragiona da sé per sé sola,
da sé gode,
quando nessuna cosa commuove l'anima, né il corpo.
E come,
quando la testa o un occhio è leso in noi
dall'assalto del dolore, non siamo
afflitti nello stesso tempo
in tutto il corpo, così l'animo talora di per sé
stesso è leso
o di gioia esulta, mentre tutto il resto dell'anima
per le
membra e le articolazioni da nessuna novità viene eccitato.
Ma, quando la
mente è commossa da timore più veemente,
tutta l'anima vediamo consentire
attraverso le membra,
e quindi sudori e pallore effondersi per tutto il
corpo
e balbettare la lingua e spegnersi la voce, annebbiarsi
gli occhi,
fischiar le orecchie, venir meno le articolazioni;
alfine per il terrore
dell'animo vediamo spesso gli uomini
crollare; sì che facilmente ognuno può
da questo conoscere
che l'anima è congiunta con l'animo e, quando
dell'animo è stata percossa, sùbito urta e sospinge il
corpo.
Questo stesso ragionamento prova che la natura dell'animo e
dell'anima
è corporea. Quando infatti si vede che sospinge le
membra,
strappa dal sonno il corpo e cangia il volto,
e tutto l'uomo regge
e volge di qua e di là -
e di queste cose vediamo che nessuna può prodursi
senza contatto,
né il contatto, a sua volta, senza corpo - non si deve
forse
ammettere che l'animo e l'anima sono di natura corporea?
Inoltre tu
vedi che col corpo patisce parimenti
l'animo e insieme partecipa del sentire
nel nostro corpo.
Se non offende la vita la violenza orrida di un
dardo
penetrata addentro squarciando ossa e nervi,
nondimeno ne segue un
languore e un dolce cadere per terra,
e in terra una confusione che nasce
nella mente,
e talora come un'incerta volontà di rialzarsi.
Dunque, non
può essere che corporea la natura dell'animo,
poiché dall'urto di dardi
corporei è travagliata.
Ora, di quale specie di materia sia quest'animo e
come
sia costituito, proseguendo ti spiegherò con le mie parole.
In primo
luogo dico che è molto sottile e risulta costituito
di corpuscoli
estremamente minuti. Che sia così,
puoi intendere, se presti attenzione, da
questo.
Nessuna cosa si vede avvenire con la celerità con la quale
la
mente si raffigura che avvenga e le dà inizio essa stessa.
L'animo, dunque,
si muove più velocemente di tutte le cose
la cui natura appare manifesta
innanzi ai nostri occhi.
Ma ciò che è tanto mobile, deve constare di
semi
estremamente rotondi ed estremamente minuti,
sicché possano muoversi
spinti da un piccolo impulso.
Infatti si muove l'acqua e per un minimo
impulso fluttua,
perché è composta di atomi girevoli e piccoli.
Al
contrario, la natura del miele è più consistente,
e più pigro il suo liquore,
e più indugiante il suo movimento;
infatti tutta la massa della sua materia
ha maggiore coesione,
evidentemente perché non consta di corpi tanto
lisci,
né tanto sottili e rotondi. Giacché un soffio sospeso
e leggero può
costringere un alto mucchio di semi
di papavero a sparpagliarsi innanzi a te
giù dalla cima:
al contrario, su un mucchio di pietre o di spighe
non può
nulla. Dunque, quanto più i corpi sono piccoli
e lisci, tanto più sono dotati
di mobilità.
Al contrario, tutti quelli che si trovano di peso maggiore
ed
aspri, tanto più sono stabili.
Ora, dunque, poiché trovato che la
natura dell'animo
è particolarmente mobile, essa deve constare di
corpi
estremamente piccoli e lisci e rotondi.
E questa verità, da te
conosciuta, in molte cose, o caro,
si dimostrerà utile e sarà riconosciuta
opportuna.
Anche questo fatto indica del pari la natura dell'animo,
di
quanto tenue tessitura esso sia costituito, e in quanto
piccolo luogo sarebbe
contenuto, se potesse conglomerarsi:
appena l'imperturbata quiete della morte
si è impadronita
dell'uomo, e la natura dell'animo e dell'anima se n'è
staccata,
nulla potresti ivi discernere detratto da tutto il corpo,
né
alla vista, né al peso: la morte lascia ogni cosa
al suo posto, tranne il
senso vitale e il fervido calore.
Dunque tutta l'anima dev'essere composta di
semi
piccolissimi, intrecciata per vene, viscere, nervi;
dato che, quando
tutta è ormai andata via dall'intero corpo,
l'esterno contorno delle membra
si conserva tuttavia
incolume, né al peso manca nulla.
Simile cosa avviene
quando l'aroma di Bacco è svanito
o quando un soave profumo d'unguento s'è
disperso per l'aria
o quando da qualche corpo s'è ormai dileguato il
sapore;
in nulla tuttavia agli occhi la cosa stessa sembra divenuta
più
piccola perciò, né alcunché sembra detratto dal suo peso;
evidentemente
perché molti e minuti semi fanno
i sapori e l'odore nell'interno corpo delle
cose.
Perciò, ancora e ancora, si può concludere che la natura
della mente
e dell'anima è composta di semi estremamente
piccolini, perché fuggendo non
porta via alcuna parte del peso.
Tuttavia non dobbiamo supporre semplice
questa natura.
I moribondi infatti abbandona un certo soffio tenue,
misto
a calore, e il calore trae aria con sé.
Né c'è alcun calore, a cui non sia
mista anche aria;
poiché la sua natura è infatti rada, molti
primi
principi d'aria devono muoversi entro di esso.
Già triplice, quindi, è
apparsa la natura dell'animo;
e tuttavia questi elementi tutti insieme non
bastano a creare
il senso, poiché la mente non ammette che alcuno di
questi
possa creare i moti sensiferi e i pensieri che la mente rivolge.
È
dunque necessario che a questi s'aggiunga
anche una quarta natura. Essa è del
tutto priva di nome;
e non esiste alcuna cosa che sia più mobile o più tenue
di lei,
né fatta di elementi più piccoli e più lisci;
lei per prima
diffonde i movimenti sensiferi per le membra.
È infatti prima ad essere
eccitata, composta com'è di piccoli atomi;
poi i movimenti s'estendono al
calore e alla cieca forza
del vento, poi all'aria; poi è messa in movimento
ogni cosa:
s'agita il sangue, in séguito la sensazione penetra in tutte
le
carni, per ultime la ricevono le ossa e le midolla,
si tratti di un piacere o
di un ardore contrario.
Né facilmente il dolore può penetrare fin qui, né un
acuto
male introdursi, senza che tutto sia perturbato,
a tal segno
non c'è più luogo per la vita, e le parti
dell'anima fuggono via per tutte le
aperture del corpo.
Ma per lo più i movimenti hanno termine quasi alla
superficie
del corpo: perciò siamo in grado di trattenere la vita.
Ora,
sebbene io desideri spiegare come misti tra loro, e in quali
modi combinati,
questi elementi compiano le loro operazioni,
me ne rattiene, mio malgrado, la
povertà della patria lingua;
ma tuttavia, come potrò sommariamente
occuparmene, toccherò
questo argomento. S'intrecciano infatti tra loro
correndo qua e là
i primi principi coi movimenti che sono propri degli
atomi,
sì che non si può staccare un solo elemento, né il suo potere
può
sussistere diviso dagli altri nello spazio, ma sono come
le molte forze di un
unico corpo. Allo stesso modo che qualunque
viscere di essere vivente ha in
genere un odore e un certo calore
e un sapore, e tuttavia di tutti questi è
composta la complessione
di un unico corpo; così il calore e l'aria e la
cieca forza del vento
misti creano un'unica natura, insieme con quella mobile
forza,
che da sé distribuisce ad essi l'inizio del movimento,
donde prima
sorge attraverso la carne il movimento sensifero.
Giacché affatto nel
profondo è nascosta questa natura, e sta
laggiù, né c'è cosa nel nostro corpo
più interna di questa,
ed essa è a sua volta l'anima di tutta
l'anima.
Allo stesso modo che nelle nostre membra e in tutto il corpo
la
forza dell'animo e il potere dell'anima sono misti e nascosti,
perché son
composti di corpi piccoli e radi,
così, vedi, questa forza priva di nome,
fatta di corpi minuti,
sta nascosta, e di tutta l'anima è essa stessa, a sua
volta,
per così dire, l'anima, e domina su tutto il corpo.
In simile
maniera è necessario che il vento e l'aria
e il calore compiano le loro
operazioni commisti tra loro
per le membra, e uno stia più sotto di altri o
sormonti,
perché si veda risultare da tutti un'unica cosa: altrimenti
il
calore e il vento separatamente, e separatamente la potenza
dell'aria,
distruggerebbero il senso e, divisi, lo
dissolverebbero.
L'animo ha anche quel calore da cui è preso
quando ferve
d'ira e un ardore sfavilla dagli occhi più vivamente.
C'è anche molta aria
fredda, che è compagna della paura
e suscita un brivido nel corpo ed agita le
membra.
E c'è anche quello stato d'aria pacata, che si produce
quando il
petto è tranquillo e il volto è sereno.
Ma più calore hanno quelli cui i
cuori fieri
e l'animo iracondo facilmente ribollono nell'ira.
Di tale
genere è in primo luogo la forza violenta dei leoni,
che spesso ruggendo
rompono i petti coi fremiti,
né possono contenere nel petto i flutti delle
ire.
Ma più vento ha la fredda mente dei cervi
e più presto suscita per le
viscere gelidi soffi,
che fanno sì che nelle membra si levi un tremulo
moto.
Ma la natura dei buoi vive piuttosto di un'aria placida,
né mai
troppo la fumida face dell'ira vi s'insinua e l'accende,
soffondendo l'ombra
di una caligine cieca,
né intorpidisce trafitta dai dardi gelidi dello
spavento:
tiene il posto di mezzo, tra i cervi e i selvaggi leoni.
Così è
del genere umano. Sebbene l'educazione raffini
alcuni e li formi in pari
grado, tuttavia essa lascia
in ciascuno le prime vestigia del carattere
naturale.
Né si deve credere che i difetti possano essere strappati dalle
radici,
sì che costui non trascorra troppo corrivamente a ire
violente,
colui non sia un po' più presto assalito da paura, e un
terzo
non accetti certe cose più placidamente del giusto.
E in molte altre
cose è necessario che differiscano
le varie nature degli uomini e i costumi
che ne conseguono;
ma io ora non posso chiarirne le cause oscure,
né
trovare nomi per tante figure, quante ne hanno
i primi principi da cui sorge
questa varietà delle cose.
Questo, a tale proposito, vedo di potere
affermare:
di quelle nature restano tracce che la ragione
non può
scacciare da noi talmente esigue
che nulla impedisce di trascorrere una vita
degna degli dèi.
Questa natura dell'anima è dunque tenuta insieme da tutto il
corpo,
e al corpo è essa stessa custode e causa di conservazione;
giacché
mediante comuni radici aderiscono tra loro
e si vede che non possono essere
distaccati senza rovina.
Come dai grani d'incenso non è possibile
staccare
l'odore senza che se ne distrugga anche la natura,
così non è
possibile trarre fuori da tutto il corpo
la natura della mente e dell'anima
senza che tutto si dissolva.
Con primi principi così intrecciati tra loro fin
dalla prima
origine si sviluppano, dotati di vita con sorte comune,
ed è
evidente che le potenze del corpo e dell'animo non possono
sentire
separatamente, ciascuna per sé, senza la forza dell'altra,
ma per
movimenti comuni tra loro è suscitato,
da entrambe le parti, il senso acceso
in noi attraverso la carne.
Inoltre, il corpo da sé né mai si genera,
né
cresce, né dopo la morte si vede durare.
Non come l'acqua, infatti, che
spesso lascia andar via il calore
che le fu comunicato, né per ciò è
sconvolta essa stessa,
ma rimane intatta, non così, dico, le membra
abbandonate
possono sopportare la separazione dell'anima,
ma a fondo
sconvolte periscono e cadono in putrefazione.
Così fin dall'inizio della vita
il corpo e l'anima
nei mutui contatti apprendono i movimenti vitali,
quando
sono ancora nascosti nelle membra e nel grembo della madre,
la separazione non può avvenire senza danno e rovina;
puoi quindi vedere
che, siccome è congiunta la causa
della conservazione, anche la loro natura
risulta congiunta.
Del resto, se qualcuno nega che il corpo senta
e crede
che sia l'anima che, commista a tutto il corpo,
concepisca questo moto a cui
diamo il nome di senso,
egli combatte contro fatti pur veri e
manifesti.
Infatti chi mai chiarirà cosa sia il sentire del corpo,
se non
ciò che ci ha manifestato e insegnato la realtà stessa?
"Ma, quando l'anima
se n'è staccata, il corpo è del tutto privo
di senso": esso perde, infatti,
ciò che non fu suo proprio nella vita,
e molte altre cose perde quando è
cacciato fuori della vita.
Dire poi che gli occhi non possono discernere
alcuna cosa,
ma che per essi l'animo guarda come per porte aperte,
è
difficile, giacché il senso loro guida in parte contraria;
il senso infatti
ci tira e spinge ad attribuire la vista alle pupille stesse,
tanto più che
spesso non possiamo discernere cose lucenti,
perché la vista è in noi
impedita dalla luce.
Il che non accade alle porte; giacché gli usci, per cui
noi guardiamo,
non subiscono alcun travaglio per il fatto che sono
aperti.
D'altronde, se i nostri occhi sono come porte, allora,
è evidente,
l'animo, tolti gli occhi, dovrebbe discernere meglio
le cose, giacché
sarebbero stati rimossi gli stipiti stessi.
A questo proposito non potresti
in alcun modo accogliere
ciò che afferma l'opinione di Democrito, uomo
venerabile,
secondo cui i primi principi del corpo e dell'animo,
giustapposti
a uno a uno, si susseguono alternandosi e intrecciano le
membra.
Giacché, come gli elementi dell'anima sono molto minori
di quelli
dei quali constano il nostro corpo e le viscere,
così anche nel numero
cedono, e radi sono disseminati
per le membra, sì che per lo meno puoi
garantire questo:
quanto son grandi i minimi corpi che colpendoci
possono
suscitare nel corpo i moti sensiferi, tanto
sono grandi gl'intervalli che
separano gli atomi dell'anima.
Infatti talora non sentiamo l'aderire della
polvere al corpo,
né il posarsi della creta scossa sulle membra,
né
sentiamo la nebbia, né i tenui fili del ragno
che ci incontrano, quando,
camminando, ne siamo irretiti,
né che sul capo esso ci ha lasciato cadere la
sua vizza
spoglia, né le piume degli uccelli o i pappi volanti
che per
troppa levità cadono per lo più tardamente,
né sentiamo l'andare di qualsiasi
animaletto strisciante,
né una per una le orme delle zampe
che sul nostro
corpo posano le zanzare e gli altri insetti.
A tal punto è vero che bisogna
in noi stimolare molta materia
prima che gli atomi dell'anima, frammischiati
ai nostri corpi
per le membra, comincino a sentire che gli atomi del
corpo
sono stati scossi, e prima che, urtandosi in questi intervalli,
essi
possano scontrarsi, unirsi e rimbalzare a vicenda.
E l'animo è quello che più
tiene stretti i vincoli della vita,
e per la vita vale più che la forza
dell'anima.
Giacché senza la mente e l'animo non può restare nelle
membra
neppure per esiguo tratto di tempo alcuna parte dell'anima,
ma
compagna tien dietro senza ritardo e si dilegua nell'aria
e lascia le gelide
membra nel freddo della morte.
Ma rimane in vita colui a cui la mente e
l'animo è rimasto.
Sebbene sia un tronco lacero, con le membra
tutt'intorno
mutilate, tolta l'anima d'intorno e staccata dal corpo,
egli
vive e respira i vitali soffi del cielo.
Privato, se non totalmente, di gran
parte dell'anima,
tuttavia indugia nella vita e vi resta attaccato;
come
se, lacerato l'occhio d'intorno, la pupilla è rimasta
intatta, permane la
vitale facoltà della vista,
purché tu non rovini tutto il globo
dell'occhio
e non recida la pupilla d'intorno e la lasci isolata;
giacché
anche ciò non potrà avvenire senza rovina d'ambedue.
Ma se quella minuscola
parte nel mezzo dell'occhio è lesa,
tramonta sùbito la luce e susseguono le
tenebre,
benché sia incolume in tutto il resto lo splendido globo.
Da tale
patto anima ed animo sono avvinti per sempre.
E ora, perché tu possa
conoscere che negli esseri viventi
gli animi e le anime lievi sono soggetti a
nascita e a morte,
proseguirò ad esporre versi cercati a lungo e
trovati
con dolce fatica, degni che ad essi si consacri la tua vita.
Tu
procura di comprendere entrambi sotto un unico nome
e se, per esempio, io
proseguo a parlare dell'anima,
insegnando che è mortale, pensa che parlo
anche dell'animo,
giacché sono, insieme, un'unità e in una cosa sola son
congiunti.
Anzitutto, poiché ho insegnato che l'anima sottile
consta di
corpi minuti ed è fatta di primi principi
molto più piccoli che il liquido
umore dell'acqua
o la nebbia o il fumo - infatti li supera di gran
lunga
in mobilità e da più tenue causa spinta si muove;
giacché per
immagini di fumo e di nebbia si commuove:
come quando, assopiti nel sonno,
vediamo gli altari
in alto esalare vapore e diffondere fumo;
infatti senza
dubbio questi sono simulacri che giungono a noi -
ora dunque, poiché da vasi
fracassati vedi
l'acqua fluir via d'ogni parte e il liquido dileguarsi,
e
poiché nebbia e fumo si dileguano nell'aria, devi credere
che anche l'anima
si diffonde e molto più velocemente
perisce e più rapidamente si dissolve
corpi primi,
una volta che, strappata dalle membra dell'uomo, s'è
allontanata.
In effetti, se il corpo, che per essa è come un vaso,
non può
contenerla, quando per qualche causa è sconvolto
o è divenuto rado, perché fu
tolto sangue alle vene,
come puoi credere che questa possa mai essere
contenuta dall'aria,
che, più rada del nostro corpo, è ancor più incapace di
contenerla?
Inoltre sentiamo che la mente nasce unitamente
col corpo e
insieme cresce e unitamente invecchia.
Infatti, come i bimbi camminano
vacillando col corpo malfermo
e tenero, così a questo s'accompagna un debole
giudizio della mente.
Poi, quando si sono irrobustite le forze e l'età si è
fatta adulta,
maggiore è anche il senno e aumentato il vigore
dell'animo.
Più tardi, quando il corpo è stato ormai scosso dalle valide
forze
del tempo e con le forze spente sono crollate le membra,
zoppica
l'intelligenza, sproposita la lingua, la mente,
tutto viene meno e
ad un tempo svanisce.
Dunque ne consegue che anche la natura dell'anima si
dissolve
tutta, come fumo, per l'aria che spira nell'alto;
giacché vediamo
che nascono insieme e insieme crescono
e, ho spiegato, fiaccati dal
tempo, simultaneamente si sfasciano.
A ciò si aggiunge che, come vediamo che
il corpo stesso
subisce orribili malattie e duro dolore,
così vediamo che
l'animo soffre affanni acuti e lutto e paura;
perciò è naturale che sia
partecipe anche della morte.
Anzi, nelle malattie del corpo l'animo spesso
sviato
va errando; sragiona infatti il malato e parla in delirio,
e
talvolta per grave letargo cade, con gli occhi e la testa
cascanti, in sopore
profondo e senza fine,
da cui non ode le voci, né può riconoscere i
volti
di quelli che, cercando di richiamarlo alla vita,
gli stanno attorno
e di lacrime bagnano i volti e le guance.
Perciò occorre che tu ammetta che
anche l'animo si dissolve,
giacché penetrano in esso contagi di
malattia.
Infatti dolore e malattia sono entrambi artefici di morte,
come
ci ha già insegnato la fine di molti.
E poi, perché mai, quando la forza
sconvolgente del vino
ha penetrato l'uomo e nelle vene s'è sparso e
distribuito l'ardore,
segue gravezza di membra, le gambe gli
s'inceppano
ed egli vacilla, la lingua è torpida, la mente s'offusca,
gli
occhi sono smarriti, clamore singulti oltraggi crescono,
e infine tutte le
altre cose della stessa specie che a queste
s'accompagnano - perché ciò
avviene, se non perché la veemente
violenza del vino suole perturbare l'anima
nel corpo stesso?
Ma, qualunque cosa può essere perturbata e
inceppata,
mostra che, se una forza un po' più dura vi s'insinua,
perirà,
privata di vita ulteriore.
Anzi, spesso qualcuno, subitamente astretto dalla
violenza
della malattia, innanzi ai nostri occhi, come colpito
da un
fulmine, stramazza e sbava, geme e trema nelle membra,
farnetica, tende
fortemente i muscoli, si contorce, anela
irregolarmente e dibattendosi
affatica le membra.
Certamente perché, dilaniata dalla violenza della
malattia
per le membra, l'anima è in tumulto e sbava, nel
salso
mare le onde ribollono per la veemente violenza dei venti.
E gli si
strappano gemiti, perché le membra dal dolore
sono afflitte e in generale
perché i semi della voce
vengono cacciati all'esterno ed escon fuori della
bocca agglomerati,
per dove, per così dire, sogliono, e trovano fatta la
strada.
Il delirio si produce, perché la forza dell'animo e dell'anima
si
conturba e, come ho mostrato, divisa in parti separate
è sbattuta qua e là,
dilaniata da quello stesso veleno.
Poi, quando ormai la causa della malattia
ha regredito
e l'acre umore del corpo corrotto è ritornato nelle sue
latebre,
allora il malato, quasi vacillando, comincia a levarsi e
ritorna,
a poco a poco, alla pienezza dei sensi e riprende animo.
Se la
mente e l'anima, dunque, da malattie sì gravi sono agitate
nel corpo stesso,
e dilaniate soffrono in miseri modi,
come puoi credere che senza corpo,
all'aria aperta, tra i venti
violenti le medesime possano proseguire la loro
vita?
E poiché vediamo che la mente vien guarita,
come il corpo infermo, e
può essere mutata dalla medicina,
anche questo preannunzia che la mente ha
vita mortale.
Infatti è necessario che aggiunga parti o ne muti l'ordine
o
detragga dall'insieme qualcosa, sia pure in misura affatto minima,
chiunque
tenta e comincia a mutare lo stato dell'animo
o cerca di modificare qualunque
altra natura.
Ma ciò che è immortale non consente che parti gli siano
trasposte,
o qualcosa sia aggiunta o staccata, benché minima.
Infatti ogni
volta che una cosa si muta ed esce dai propri
termini, sùbito questo è la
morte di ciò che era prima.
L'animo, dunque, sia che s'ammali, sia che venga
mutato
da medicina, manifesta, come ho insegnato, la sua mortalità.
A tal
punto è evidente che la realtà s'oppone
alla falsa dottrina e le preclude
ogni via di scampo
e con duplice confutazione ne dimostra la
falsità.
Ancora, spesso vediamo che un uomo se ne va a poco a poco,
e a
membro a membro perde il senso vitale;
prima nei piedi illividiscono le dita
e le unghie,
poi muoiono i piedi e le gambe, in séguito di lì per le
altre
membra procedono via via le orme della gelida morte.
Poiché, dunque,
si scinde la natura e non viene
fuori intera in un solo istante,
dev'esser creduta mortale.
E se per caso supponi che da sé stessa essa possa
ritrarsi,
attraverso le membra, nell' interno, e adunare le sue parti
in
un sol punto e in tal modo togliere la sensibilità da tutte
le membra,
tuttavia quel luogo, ove tanta abbondanza d'anima
si raccoglie, dovrebbe
mostrarsi dotato di sensibilità maggiore;
ma poiché tale luogo non esiste,
certo, come abbiamo detto ,
l'anima dilaniata si sparge fuori, qua e
là: dunque muore.
Anzi, quand'anche piaccia concedere il falso
e ammettere
che l'anima possa agglomerarsi nel corpo
di quelli che moribondi lasciano la
luce a parte a parte,
è tuttavia necessario che tu riconosca che l'anima è
mortale,
né importa se perisca dispersa per l'aria
o se, contrattasi
ritraendosi dalle sue varie parti, istupidisca,
giacché a tutto l'uomo, più e
più, da ogni parte il senso
manca, e in ogni parte resta meno e meno di
vita.
E poiché la mente è una delle parti dell'uomo, che resta
fissa in un
luogo determinato, come sono orecchie e occhi
e tutti gli altri sensi che
governano la vita:
se una mano e un occhio o il naso, una volta
staccati
da noi e separati, non possono sentire, né esistere,
ma per
contro in breve tempo si dissolvono in putrefazione,
parimenti l'animo non
può esistere di per sé, senza il corpo
e l'uomo stesso, che appare essere
come un vaso dell'animo
o qualsiasi altra cosa tu preferisca immaginare più
congiunta
con esso, giacché ad esso con stretto legame il corpo
aderisce.
Ancora, le facoltà vitali del corpo e dell'anima
per vicendevole
connessione hanno vigore e godono della vita;
né senza il corpo, infatti, da
sola la natura dell'animo
può di per sé produrre i moti della vita, né dal
canto suo
il corpo privo d'anima può durare e servirsi dei sensi.
È
evidente: come, avulso dalle radici, non può l'occhio
scorgere alcuna cosa da
solo, staccato da tutto il resto del corpo,
così si vede che l'anima e
l'animo di per sé non possono nulla.
Senza dubbio, poiché, mescolati
vene e visceri,
per nervi ed ossa, i loro primi principi sono
trattenuti
da tutto il corpo, né possono balzar qua e là, liberi,
a grandi
distanze - per questo rinchiusi si muovono
con moti sensiferi, che essi,
fuori del corpo, scacciati
tra i venti, dopo la morte non possono
produrre,
perché non sono trattenuti nello stesso modo.
Corpo infatti, e
per di più essere animato, sarà l'aria, se l'anima
potrà mantenervisi unita e
chiudersi in quei movimenti
che prima compiva nei nervi e dentro il corpo
stesso.
Perciò, ancora e ancora, una volta che sia dissolto tutto
il
riparo del corpo e scacciato fuori il soffio della vita,
è necessario, devi
ammetterlo, che il senso dell'animo e l'anima
si dissolvano, giacché per
questi e il corpo la causa è congiunta.
Ancora, poiché il corpo non può
sopportare la separazione
dell'anima senza putrefarsi in un odore
ripugnante,
come puoi dubitare che, levatasi dal profondo e
dall'intimo,
la forza dell'anima sia esalata e si sia dispersa come
fumo,
e che il corpo, mutato da tanta rovina, sia caduto in sfacelo
per
ciò, perché nel profondo sono state smosse dalla sede
le fondamenta, con
l'esalare dell'anima fuori, per le membra
e per tutte le tortuosità dei
meati, che sono nel corpo,
e attraverso i pori? Sicché in molti modi puoi
conoscere
che divisa in parti la natura dell'anima è uscita per le
membra,
e dentro il corpo stesso s'era già da sé dilaniata
prima che,
scivolando via, andasse a volare tra i venti.
Anzi, mentre ancora si volge
dentro i confini della vita,
l'anima tuttavia sovente, scossa da qualche
causa,
sembra andarsene e sciogliersi da tutto il corpo,
e il
volto sembra invaso dal languore dell'ora estrema,
e molli dal corpo esangue
cadere tutte le membra.
In tale stato è colui di cui si dice che s'è sentito
male
o che è caduto in deliquio; e già si trepida e tutti
agognano
riallacciare l'estremo vincolo della vita.
Sono scossi, infatti, allora la
mente e il potere dell'anima
interamente, e col corpo stesso essi stanno per
sfasciarsi;
sì che una causa un po' più grave può dissolverli.
E puoi
ancora dubitare che l'anima, cacciata via dal corpo,
debole com'è, fuori,
all'aperto, priva del suo riparo,
non solo non possa durare in perpetuo, ma
sia anche
incapace di sussistere per un qualsiasi minimo tempo?
E infatti
non si vede alcuno che morendo senta
l'anima sua andar fuori dal corpo intero
intatta,
o salirgli prima alla gola e più sopra, alle fauci; sente
invece
che essa vien meno lì dov'è collocata, in una sede
determinata;
così come sa che gli altri sensi si dissolvono ognuno nella
propria parte.
Ma, se la nostra mente fosse immortale, non tanto,
morendo,
si lamenterebbe di dissolversi: piuttosto
d'andar fuori e lasciare la spoglia, come una
serpe.
Ancora, perché la mente e il senno dell'animo non nascono mai
nel
capo o nei piedi o nelle mani, ma sono per tutti gli uomini
fissati in
un'unica sede e in una determinata regione,
se non perché determinati luoghi
sono assegnati a ogni cosa
per la nascita, e dove ognuna, una volta che sia
creata,
possa durare ed avere le varie parti così ripartite
che l'ordine
delle membra non appaia mai sovvertito?
Tanto è vero che una cosa segue a
un'altra cosa, né suole
la fiamma esser prodotta dai fiumi, né il gelo
nascere nel fuoco.
Inoltre, se la natura dell'anima è immortale
e può
sentire dopo essere stata disgiunta dal nostro corpo,
di cinque sensi, a quel
ch'io credo, bisogna supporla dotata.
Né in altro modo noi possiamo
rappresentarci
le anime d'inferno vaganti lungo l'Acheronte.
Pertanto i
pittori e le precedenti generazioni di scrittori
presentarono le anime così,
dotate di sensi.
Ma né occhi, né nari e neppure mani può aver l'anima
separata
dal corpo, né può aver lingua, né orecchie separata dal
corpo;
dunque, non possono le anime per sé sole sentire, né esistere.
E,
poiché sentiamo che il senso vitale è presente
in tutto il corpo e vediamo
che questo è tutto animato,
se subitamente a mezzo lo recide con celere
colpo
qualche forza, sì da disgiungere del tutto l'una e l'altra
parte,
fuor di dubbio anche la forza dell'anima spartita
e scissa insieme
col corpo sarà disunita.
Ma ciò che viene scisso e si divide in
parti,
evidentemente nega di avere una natura eterna.
Si narra che carri
armati di falci, caldi di confusa strage,
spesso recidano le membra così
subitamente
che tremare in terra si vede ciò che dagli arti è
caduto
reciso, mentre tuttavia la mente e la forza dell'uomo
non possono
sentire il dolore per la subitaneità del colpo
e insieme perché la mente è
presa dalla passione della battaglia:
col resto del corpo egli tende alla
battaglia e alle stragi,
e spesso non s'accorge d'aver perduto la mano
sinistra con lo scudo
e che tra i cavalli l'han travolta le ruote e le falci
rapaci;
un altro non s'accorge che gli è caduta la destra, mentre s'arrampica
e incalza.
D'altra parte un altro tenta di drizzarsi sulla gamba
mozzata,
mentre lì presso, sul suolo, il piede moribondo agita le dita.
E
una testa recisa da un tronco caldo e vivente
conserva sul suolo il volto
della vita e gli occhi aperti,
finché non ha esalato del tutto i resti
dell'anima.
Anzi, se d'un serpente che ha lingua vibrante,
minacciosa
coda, lungo corpo, ti piace fendere col ferro
le due parti in molti pezzi,
vedrai poi tutti i brani
tagliati contorcersi per la fresca
ferita
ciascuno separatamente e cospargere di putredine la terra,
e la
parte anteriore voltarsi e avventarsi con la bocca su sé stessa
per
stringersi col morso, trafitta dall'ardente dolore della ferita.
Diremo
dunque che in tutti quei pezzetti
vi sono anime intere? Ma, ragionando così,
seguirà
che un unico essere vivente aveva nel corpo molte anime.
Dunque,
quell'anima, che fu una, è stata divisa insieme
col corpo; perciò bisogna
credere che entrambi sono mortali,
poiché ugualmente si scindono in molte
parti.
Inoltre, se la natura dell'anima è immortale
e s'insinua nel corpo
al momento della nascita,
perché non possiamo ricordare anche la vita
trascorsa prima,
né serbiamo alcuna traccia delle azioni in essa
compiute?
Giacché, se la facoltà dell'animo è mutata a tal punto
che ogni
ricordo delle cose passate è svanito,
tale stato, io credo, non si scosta
ormai molto dalla morte.
Perciò bisogna che tu ammetta che l'anima di prima è
perita
e quella che c'è in quest'età, in quest'età è stata
creata.
Inoltre, se la facoltà vitale dell'animo suole introdursi
in noi
dopo che il nostro corpo è già formato,
nello stesso punto in cui nasciamo e
passiamo la soglia
della vita, non dovremmo, in tal caso, vederla crescere
insieme
col corpo e unitamente con le membra nello stesso sangue,
ma
dovrebbe vivere come in una gabbia, per sé, da sé sola,
lasciando tuttavia
abbondare di sensibilità tutto il corpo.
Quindi, ancora e ancora, non bisogna
credere che le anime
siano esenti dal nascere, né sciolte dalla legge di
morte.
Infatti non si può credere che abbiano potuto a tal
punto
connettersi coi nostri corpi insinuandovisi dall'esterno.
La realtà
manifesta insegna che avviene tutto il contrario;
giacché l'anima è così
connessa per vene, carni, nervi
ed ossa che anche i denti son partecipi del
senso;
come dimostrano il mal di denti e la loro fitta per acqua gelata
e
l'urto d'un aspro sassolino che si nasconda in un pezzo di pane.
D'altronde,
essendo le anime così intrecciate, non si vede
come possano uscire incolumi e
disciogliersi sane e salve
da tutti i nervi e le ossa e le
articolazioni.
Ma, se per caso credi che, insinuatasi
dall'esterno,
l'anima soglia spandersi per le nostre membra,
tanto più
essa perirà, essendo sparsa attraverso il corpo.
Giacché ciò che si spande,
si dissolve: dunque muore.
Infatti, come il cibo, ripartito per tutti i meati
del corpo,
quando si propaga nelle membra e in tutti gli arti,
perisce e
da sé fornisce una nuova sostanza,
così l'anima e l'animo, seppure entrano
intatti corpo
appena nato, tuttavia nello spandervisi si
dissolvono,
mentre per tutti i meati, per così dire, si spargono negli
arti
le particelle da cui si crea questa natura dell'animo,
che ora domina
nel nostro corpo, nata
da quella che allora perì ripartita tra gli
arti.
Quindi si vede che la natura dell'anima non è priva
del giorno
natale, né è esente dalla morte.
Inoltre, restano semi dell'anima nel
corpo
esanime, o no? Che se restano e stanno lì dentro,
non si potrà a
ragione crederla immortale,
poiché sminuita dalla perdita di parti s'è
dipartita.
Ma se con integre membra s'è staccata ed è fuggita via,
sì da
non lasciare alcuna parte di sé nel corpo,
donde mai i cadaveri, quando la
carne è già putrida, danno vita
a vermi, e come mai una sì grande folla di
esseri viventi,
senza ossa e senza sangue, brulica su per gli arti
tumefatti?
Che se per caso credi che dall'esterno le anime s'insinuino
nei
vermi e ad una ad una possano introdursi nei corpi,
e non consideri perché
mai molte migliaia di anime
s'adunino là donde è partita una sola, tuttavia
c'è questo
che sembra debba essere investigato e messo in discussione:
se
finalmente le anime vadano in caccia di ogni seme
di vermiciattolo, e da sé
si fabbrichino sedi per starvi dentro,
oppure s'insinuino, per così dire, in
corpi già formati.
Ma perché esse lo facciano o perché s'affatichino,
non
è possibile dire. E infatti, quando sono senza corpo,
non svolazzano
assillate da malattie e da gelo e da fame.
Giacché il corpo, più soggetto a
tali afflizioni, più ne soffre,
e molti mali l'animo subisce per il contatto
con esso.
Ma tuttavia ammettiamo che per queste sia quanto si voglia
utile
farsi un corpo in cui entrare; non si vede però alcuna via
per cui
lo possano. Dunque le anime non fanno per sé corpi e arti.
Né tuttavia può
essere che s'insinuino in corpi già formati;
giacché non potranno essere
intimamente connesse con quelli,
né si produrrà l'armonia per corrispondenza
di sensi.
E ancora, perché la feroce violenza s'accompagna alla
funesta
stirpe dei leoni, l'astuzia alle volpi, e l'inclinazione alla
fuga
viene ai cervi trasmessa dai padri e la paterna paura ne stimola le
membra?
E in breve, perché tutte le altre qualità di questo genere
si
generano nelle membra e nell'indole dal principio della vita,
se non perché
insieme con ogni corpo cresce un potere
dell'animo determinato secondo il suo
seme e la stirpe?
Ma, se l'anima fosse immortale e solesse passare da un
corpo
in un altro, gli esseri viventi avrebbero caratteri confusi,
spesso
il cane di razza ircana fuggirebbe l'assalto
d'un cornuto cervo, e tra i
venti dell'aria lo sparviero,
fuggendo all'arrivo della colomba, tremerebbe,
sarebbero privi
di ragione gli uomini, ragionerebbero le selvagge stirpi
delle fiere.
Giacché con falso ragionare si procede, quando s'afferma
che
l'anima immortale mutando corpo si modifica.
Ciò che si muta, infatti, si
dissolve: dunque muore.
Si traspongono infatti le parti ed escono dal loro
ordine;
perciò devono anche potersi dissolvere nelle membra,
per morire
alfine tutte insieme col corpo.
Se poi diranno che le anime degli uomini
trasmigrano sempre
in corpi umani, domanderò tuttavia perché di
sapiente
l'anima possa diventare stolta, e nessun bimbo sia avveduto,
né
il puledro sia addestrato come il cavallo nel pieno del vigore.
Certo
ricorreranno a questo espediente: che in tenero corpo
si fa tenera la mente.
Ma, se ciò davvero avviene, bisogna
che tu ammetta che l'anima è mortale,
poiché, mutata
per le membra a tal punto, perde la vita e il senso di
prima.
E in qual modo il vigore dell'animo potrà, rinsaldandosi
insieme
con ogni corpo, attingere il desiderato fiore della vita,
se non sarà
partecipe della stessa sorte nell'origine prima?
E perché se ne vuole uscire
fuori dalle membra invecchiate?
Forse teme di rimanere rinchiuso in un corpo
putrido
e che la casa, rovinata dal lungo tratto di tempo, gli
crolli
addosso? Ma per ciò che è immortale non esistono pericoli.
Ancora,
sembra cosa ridicola immaginare che le anime
facciano la posta ai connubi di
Venere e ai parti delle fiere;
che anime immortali aspettino mortali
membra
in numero innumerevole e gareggino con straordinaria fretta
tra
loro a chi prima e prevalendo sulle altre s'insinui;
salvo che, per caso,
siano stabiliti tra le anime patti
per cui quella che prima sia a volo
arrivata per prima s'insinui
e quindi non contendano affatto tra loro con la
violenza.
Ancora, non può esistere nel cielo un albero, né nel
mare
profondo nuvole, non possono i pesci vivere nei campi,
né esserci
sangue nel legno, né succo nei sassi.
È determinato e disposto dove ogni cosa
cresca e abbia sede.
Così la natura dell'animo non può nascere sola,
senza
il corpo, né esistere lontano dai nervi e dal sangue.
Se lo potesse, infatti,
molto prima la stessa forza dell'animo
potrebbe essere nel capo o negli òmeri
o in fondo ai talloni
e sarebbe solita nascere in qualsiasi parte, ma in fin
dei conti
rimanere nello stesso uomo e nello stesso vaso.
Ora, poiché
anche nel nostro corpo è fermamente determinato
e si vede disposto dove
possano esistere e crescere
separatamente l'anima e l'animo, tanto più si
deve negare
che fuori da tutto il corpo possano nascere o durare.
Perciò,
quando il corpo è morto, devi ammettere
che anche l'anima è perita, dilaniata
in tutto il corpo.
Giacché congiungere il mortale all'eterno e credere
che
possano sentire in comune e avere reazioni reciproche,
è follia. Infatti cosa
mai si può credere più contrastante
o più sconnesso e discordante nelle sue
relazioni
che l'unione di ciò che è mortale con ciò che è immortale
e
perenne in un aggregato che sopporti furiose tempeste?
Inoltre, tutte le cose
che permangono eterne è necessario
o che respingano gli urti perché hanno
corpo solido
e non si lascino penetrare da qualcosa che possa
dissociare
nell'interno le parti strettamente unite, quali sono i
corpi
della materia, di cui prima abbiamo rivelato la natura;
oppure che
possano durare per ogni tempo per questo,
perché sono esenti da colpi, come è
il vuoto,
che rimane intatto e non subisce il minimo urto,
o anche perché
intorno non si trova tratto di spazio
ove, in qualche modo, le cose possano
sperdersi e dissolversi;
così è eterna la somma delle somme, fuori della
quale
non c'è luogo ove le cose si dileguino, né ci son corpi
che possano
cadere su di esse e con forte colpo dissolverle.
Ma se per caso l'anima
dev'esser creduta immortale piuttosto
per questo, perché è munita e protetta
da forze vitali
o perché non l'attingono affatto cose avverse alla sua
salvezza
o perché quelle che l'attingono in qualche modo si
ritirano
respinte prima che possiamo sentire quanto ci nocciono,
.
Giacché, a parte il fatto che
s'ammala delle malattie del corpo,
sovente sopravviene ciò che, riguardo al
futuro, la tormenta
e nel timore la fa star male e con affanni la
travaglia;
e per le colpe passate i rimorsi la straziano.
Aggiungi la
follia propria della mente e l'oblio delle cose,
aggiungi che è sommersa
nelle nere onde del letargo.
Nulla dunque la morte è per noi, né ci riguarda
punto,
dal momento che la natura dell'animo è conosciuta mortale.
E come
nel tempo passato non sentimmo alcuna afflizione,
mentre i Cartaginesi da
ogni parte venivano a combattere,
quando il mondo, scosso dal trepido tumulto
della guerra,
tremò tutto d'orrore sotto le alte volte dell'etere,
e fu
dubbio sotto il regno di quale dei due popoli
dovessero cadere tutti gli
uomini sulla terra e sul mare,
così quando noi non saremo più, quando sarà
avvenuto il distacco
del corpo e dell'anima, che uniti compongono il nostro
essere,
certo a noi, che allora non saremo più, non potrà affatto
accadere
alcunché, nulla potrà colpire i nostri sensi,
neppure se la terra si
confonderà col mare e il mare col cielo.
E anche se supponiamo che, dopo il
distacco dal nostro corpo,
la natura dell'animo e il potere dell'anima
serbano il senso,
questo tuttavia non importa a noi, che dall'unione e dal
connubio
del corpo e dell'anima siamo costituiti e unitamente composti.
E
quand'anche il tempo raccogliesse la nostra materia
dopo la morte e di nuovo
la disponesse nell'assetto
in cui si trova ora e a noi fosse ridata la luce
della vita,
tuttavia neppure questo evento ci riguarderebbe
minimamente,
una volta che fosse interrotta la continuità della nostra
coscienza.
Così ora a noi non importa nulla di noi, quali fummo in
precedenza,
ormai per quel nostro essere ci affligge angoscia.
E
invero, se volgi lo sguardo verso tutto lo spazio trascorso
del tempo
illimitato, e consideri quanto siano molteplici
i movimenti della materia,
facilmente puoi indurti a credere
che questi stessi atomi, di cui siamo
composti ora, già prima
siano stati spesso disposti nel medesimo ordine in
cui sono ora.
Eppure non possiamo riafferrare con la memoria
quell'esistenza;
s'è interposta infatti una pausa della vita e
sparsamente
tutti i moti si sviarono per ogni dove, lontano dai
sensi.
Infatti, se sventura e affanno devono colpire qualcuno, occorre
che
allora, in quel medesimo tempo, esista quella stessa persona
cui possa
incoglier male. Ma, poiché la morte toglie ciò e impedisce
che esista colui a
cui le disgrazie possano attaccarsi,
è chiaro che niente noi dobbiamo temere
nella morte,
e che non può divenire infelice chi non esiste, né fa
punto
differenza se egli sia nato o non sia nato in alcun tempo,
quando la
vita mortale gli è stata tolta dalla morte immortale.
Quindi, se vedi un uomo
dolersi della propria sorte,
perché dopo la morte dovrà, sepolto il corpo,
putrefarsi
o essere distrutto dalle fiamme o dalle mascelle delle
fiere,
puoi intendere che le sue parole non suonano sincere
e che sotto il
suo cuore c'è qualche stimolo cieco,
benché egli asserisca di non credere che
morto avrà qualche senso.
Infatti, io credo, non mantiene ciò che promette e
i principi
su cui poggia, né radicalmente si svelle e si scaccia
fuori
della vita, ma inconsciamente fa sopravvivere qualcosa di sé.
Ognuno
infatti che da vivo si rappresenta
che dopo la morte uccelli e fiere
sbraneranno il suo corpo,
commisera sé stesso; e infatti non riesce a
separarsi di lì,
né si stacca abbastanza dal cadavere gettato via e confonde
sé stesso
con quello e, stando dritto lì accanto, gli trasfonde il proprio
senso.
Per questo si duole d'esser nato mortale
e non vede che nella vera
morte non ci sarà un altro sé stesso
che possa, vivo, piangere la perdita di
sé per sé stesso
e, stando in piedi, lamentarsi di giacere a terra e d'essere
sbranato o bruciato.
E invero, se nella morte è un male essere straziato
dalle mascelle
e dai morsi delle fiere, non intendo come non sia
acerbo
esser posto sul rogo per esservi arrostito dalle calde fiamme
o
soffocare immerso nel miele o intirizzire di freddo,
disteso sopra la liscia
superficie d'una gelida pietra,
o esser premuto dall'alto, schiacciato sotto
il peso della terra.
"Ora, ora mai più la casa ti accoglierà in letizia, né
la sposa
ottima, né i dolci figli ti correranno incontro a contendersi
i
primi baci, né invaderanno il tuo cuore di tacita dolcezza.
Non potrai essere
uomo di prospere imprese, né sostegno
ai tuoi. A te misero miseramente"
dicono "un solo giorno
avverso tutti ha tolti i molti doni della vita".
Ma
questo, a tale proposito, non aggiungono: "né più
il rimpianto di quelle cose
ti accompagna e resta in te".
Se ciò vedessero chiaro con la mente e vi
s'attenessero con le parole,
si scioglierebbero da grande angoscia e timore
dell'animo.
"Tu certamente, come ti sei assopito nella morte, così
sarai
per tutto il tempo che resta, esente da tutti i dolori penosi.
Ma
noi insaziabilmente abbiamo pianto te ridotto
in cenere sull'orribile rogo lì
vicino, e nessun giorno
ci leverà dal petto l'eterna tristezza".
Questo
dunque a costui bisogna chiedere: che mai ci sia
di tanto amaro, se la cosa
si riduce al sonno e alla quiete,
perché uno possa consumarsi in eterno
lutto.
Anche ciò gli uomini fanno quando si son messi a tavola
e tengono
in mano le coppe e velano la fronte con le corone: dicono,
dal profondo
dell'animo: "Breve è questo godere per i poveri uomini;
presto sarà passato,
né dopo sarà mai possibile farlo tornare".
Come se nella morte questo dovesse
essere il peggiore
dei loro mali: essere arsi e disseccati, gli infelici, da
un'arida sete
o essere oppressi dal rimpianto di qualche altra cosa.
In
realtà nessuno sente la mancanza di sé stesso e della vita
quando la mente e
il corpo riposano insieme assopiti.
Per quanto riguarda noi, infatti, quel
sonno può durare
in perpetuo, né alcun rimpianto di noi stessi ci
affligge.
E tuttavia, attraverso le nostre membra quei primi principi
non
vagano affatto lontano dai moti sensiferi
quando un uomo, strappatosi al
sonno, raccoglie sé stesso.
Molto meno, dunque, si deve credere che sia per
noi la morte,
se può esserci meno rispetto a ciò che vediamo esser
nulla;
giacché maggiore dispersione della materia perturbata
segue alla
morte, né alcuno si risveglia e si leva,
una volta che l'abbia colto la
fredda pausa della vita.
Ancora, se la natura d'un tratto parlasse e a
qualcuno
di noi così facesse, in persona, questo rimprovero:
"Che cosa, o
mortale, ti preme tanto che indulgi oltremisura
a penosi lamenti? Perché per
la morte ti affliggi e piangi?
Infatti, se ti è stata gradita la vita che hai
trascorsa prima,
né tutti i suoi beni, come accumulati in un vaso
bucato,
sono fluiti via e si sono dileguati senza che ne godessi,
perché
non ti ritiri, come un convitato sazio della vita,
e non prendi, o stolto, di
buon animo, un riposo sicuro?
Ma se tutti i godimenti che ti sono stati
offerti, sono stati dissipati
e perduti, e la vita ti è in odio, perché
cerchi di aggiungere ancora
quello che di nuovo andrà malamente perduto e
tutto svanirà
senza profitto? Perché non poni piuttosto fine alla vita e al
travaglio?
Infatti non c'è più nulla che io possa escogitare e
scoprire
per te, che ti piaccia: tutte le cose sono sempre uguali.
Se il
tuo corpo non è ancora sfatto dagli anni, né le membra
stremate languiscono,
tuttavia tutte le cose restano uguali,
anche se tu dovessi vincere,
continuando a vivere,
tutte le età, anzi perfino se tu non dovessi morire
mai"; -
che cosa risponderemmo, se non che la natura intenta
un giusto
processo e con le sue parole espone una causa vera?
E se ora un vecchio
cadente si lagnasse e lamentasse
l'incombere della morte rattristandosi più
del giusto,
non avrebbe essa ragione d'alzare la voce e rimbrottarlo con voce
aspra?
"Via di qui con le tue lacrime, o uomo da baratro, e rattieni i
lamenti.
Tutti i doni della vita hai già goduti e sei marcio.
Ma, perché
sempre aneli a ciò che è lontano e disprezzi quanto è presente,
incompiuta ti
è scivolata via, e senza profitto, la vita,
e inaspettatamente la morte sta
dritta accosto al tuo capo
prima che tu possa andartene sazio e contento
d'ogni cosa.
Ora, comunque, lascia tutte queste cose che non si confanno più
alla tua età
e di buon animo, suvvia, cedi il posto : è
necessario".
Giusta, penso, sarebbe l'accusa, giusti i rimbrotti e
gl'improperi.
Sempre infatti, scacciate dalle cose nuove, cedono il
posto
le vecchie, ed è necessario che una cosa da altre si rinnovi;
né
alcuno nel baratro del tenebroso Tartaro sprofonda.
Di materia c'è bisogno
perché crescano le generazioni future;
che tutte, tuttavia, compiuta la loro
vita, ti seguiranno;
e dunque non meno di te le generazioni son cadute prima,
e cadranno.
Così le cose non cesseranno mai di nascere le une dalle
altre,
e la vita a nessuno è data in proprietà, a tutti in
usufrutto.
Volgiti a considerare parimenti come nulla siano state per
noi
le età dell'eterno tempo trascorse prima che noi nascessimo.
Questo è
dunque lo specchio in cui la natura ci presenta
il tempo che alfine seguirà
la nostra morte.
Forse in esso appare qualcosa di orribile, forse si vede
qualcosa
di triste? Non è uno stato più tranquillo di ogni sonno?
E senza
dubbio tutte quelle cose che secondo la tradizione
sono nell'Acheronte
profondo, sono tutte nella nostra vita.
Né Tantalo misero teme il gran masso
che nell'aria
sovrasta, da vana paura, come è fama, paralizzato;
ma
piuttosto nella vita un fallace timore degli dèi opprime
i mortali, e temono
il colpo che a ognuno può menare la sorte.
Né gli uccelli si cacciano dentro
Tizio giacente
nell'Acheronte, né dentro l'ampio petto possono
certo
trovare qualcosa in cui frugare in perpetuo.
Si stenda pure con una
massa di corpo quanto si voglia
immane, che copra con le membra
dispiegate,
non solo nove iugeri, ma tutto l'orbe della terra:
non potrà
tuttavia continuare a sopportare un eterno dolore,
né fornire cibo dal
proprio corpo per sempre.
Ma Tizio è per noi qui: è colui che giacente
nell'amore
uccelli straziano, cioè lo divora un'ansiosa angoscia
o per
qualsiasi altra passione lo dilaniano affanni.
Anche Sisifo è nella vita
nostra, alla vista di tutti:
è colui che aspira ad ottenere dal popolo i
fasci
e le crudeli scuri, e sempre vinto e triste si ritira.
Giacché
cercare un potere che è vano, né vien dato mai,
e in quella ricerca sostenere
sempre un duro travaglio,
questo è sospingere con grande sforzo su per l'erta
d'un monte
un masso, che tuttavia somma vetta sùbito rotola
di
nuovo giù, e ratto corre verso la distesa della piana campagna.
Ancora:
pascer sempre l'insaziabile natura dell'animo
e tuttavia non colmarla mai di
beni, né mai saziarla,
come a noi fanno le stagioni dell'anno, quando, in
giro
volgendosi, ritornano e ci recano i frutti e le varie delizie,
senza
che tuttavia noi siamo mai paghi delle gioie della vita,
questa, io penso, è
la favola delle fanciulle nel fiore dell'età,
le quali raccolgono l'acqua in
un vaso perforato,
che tuttavia non si può in alcun modo riempire.
Cerbero
e le Furie, per soprappiù, e la mancanza di luce,
il Tartaro eruttante dalle
fauci vampe orribili,
che non esistono in alcun luogo, né invero possono
esistere!
Ma c'è nella vita il timore delle pene,
grave per i crimini
gravi, e l'espiazione della colpa,
il carcere e l'orribile precipitare giù
dalla rupe,
staffilate, carnefici, cavalletto, pece, lamine, fiaccole;
e
anche se son lontani, pure la mente, conscia dei propri misfatti,
in ansia
infligge assilli a sé stessa e si brucia con staffili,
né vede intanto quale
possa essere il termine dei mali,
né quale sia alfine la fine delle pene, e
anzi teme
che queste stesse afflizioni nella morte diventino più
gravi.
Alfine, è qui che la vita degli stolti diventa un inferno.
Anche
questo talora tu potresti dire a te stesso:
"Chiuse i suoi occhi alla luce
anche il buon Anco,
che in molte cose fu migliore di te, o
briccone.
Caddero poi molti altri re e dominatori del mondo,
che su grandi
nazioni esercitarono il comando.
Quegli stesso che un giorno aprì una via per
il grande mare
e offerse alle legioni un cammino perché andassero sopra
le
profondità marine, e insegnò a varcare a piedi i salati abissi,
e disprezzò i
fragori dei flutti calpestandoli coi cavalli,
anch'egli fu privato della luce
ed esalò l'anima dal corpo morente.
Scipione, fulmine di guerra, terrore di
Cartagine,
rese le ossa alla terra come se fosse un infimo
schiavo.
Aggiungi gli scopritori delle scienze e delle arti,
aggiungi i
compagni delle Muse, tra i quali Omero, l'unico,
dopo aver conquistato lo
scettro, s'addormentò dello stesso sonno degli altri.
E ancora: dopoché
matura vecchiezza fece sentire a Democrito
che i memori movimenti della mente
languivano,
spontaneamente alla morte andò incontro e offrì il proprio
capo.
Lo stesso Epicuro morì, dopo aver percorso il luminoso tratto
della
vita, egli che per ingegno superò il genere umano, e tutti
offuscò, come il
sole sorto nell'etere offusca le stelle.
E tu esiterai e t'indignerai di
morire?
Tu cui la vita è quasi morta, mentre sei ancora vivo e vedi;
tu
che nel sonno consumi la parte maggiore del tempo
e sveglio russi, né cessi
di vedere sogni
ed hai la mente assillata da vana paura,
e spesso non sei
capace di scoprire che male tu abbia, mentre
ebbro sei oppresso da molti
affanni, infelice, da ogni parte,
e vaghi ondeggiando in preda al confuso
errore dell'animo".
Se gli uomini, come si vede che sentono di avere
in
fondo all'animo un peso che con la sua gravezza li affatica,
potessero anche
conoscere da che cause ciò provenga e perché
una sì grande mole, per così
dire, di male nel petto persista,
non così passerebbero la vita, come ora per
lo più li vediamo:
ognuno non sa quel che si voglia e cerca sempre
di
mutar luogo, quasi potesse deporre il suo peso.
Esce spesso fuori del grande
palazzo colui
che lo stare in casa ha tediato, e sùbito ,
giacché
sente che fuori non si sta per niente meglio.
Corre alla villa, sferzando i
puledri, precipitosamente,
come se si affrettasse a recar soccorso alla casa
in fiamme;
sbadiglia immediatamente, appena ha toccato la soglia
della
villa, o greve si sprofonda nel sonno e cerca l'oblio,
o anche parte in
fretta e furia per la città e torna a vederla.
Così ciascuno fugge sé stesso,
ma, a quel suo 'io', naturalmente,
come accade, non potendo sfuggire,
malvolentieri gli resta attaccato,
e lo odia, perché è malato e non comprende
la causa del male;
se la scorgesse bene, ciascuno, lasciata ormai ogni altra
cosa,
mirerebbe prima di tutto a conoscere la natura delle cose,
giacché è
in questione non la condizione di un'ora sola,
ma quella del tempo senza
fine, in cui i mortali devono aspettarsi
che si trovi tutta l'età, qualunque
essa sia, che resta dopo la morte.
Infine, a trepidare tanto nei dubbiosi
cimenti
quale trista brama di vita con tanta forza ci costringe?
Senza
dubbio un termine certo della vita incombe ai mortali,
né la morte si può
evitare, dobbiamo incontrarla.
Inoltre, ci moviamo nello stesso giro e vi
rimaniamo sempre,
né col continuare a vivere si produce alcun nuovo
piacere;
ma, finché ciò che bramiamo è lontano, sembra che esso
superi
ogni altra cosa; poi, quando abbiamo ottenuto quello,
altro
bramiamo e un'uguale sete di vita sempre in noi avidi riarde.
Ed è
dubbio qual sorte apporti il tempo futuro,
che cosa ci rechi il caso, quale
fine sovrasti.
Né, protraendo la vita, sottraiamo mai nulla
dal tempo
della morte, in nulla siamo in grado d'intaccarlo,
sì da potere, forse, per
un tempo più breve essere morti.
Puoi, quindi, vivendo finire quante
generazioni vuoi:
ti aspetterà pur sempre quella morte eterna;
né per
colui che ha finito la vita con la luce
di questo giorno il non esistere più
sarà più breve
che per colui che già da molti mesi ed anni scomparve.