Politica estera di Giolitti

Nel periodo a lui precedente, l'azione diplomatica del governo italiano era stata caratterizzata dal "triplicismo ad oltranza". Infatti Francesco Crispi e i suoi collaboratori avevano fermamente creduto che tutti i problemi di politica estera si potessero risolvere nel quadro della Triplice Alleanza. Ben presto però la sconfitta di Adua aveva dimostrato che una qualsiasi impresa coloniale non sarebbe stata più pensabile senza il favore di Francia e Inghilterra, le quali avevano nel continente africano forti interessi da difendere. Compreso questo, Giovanni Giolitti si dedicò a stabilire nuovi rapporti con le due potenze e a considerare la Triplice un fatto puramente difensivo. In conseguenza, egli prese accordi con la Francia per una rapida eliminazione dei contrasti, che tanto danno avevano arrecato all'economia dei due Paesi, e concordò anche un'eventuale espansione francese nel Marocco in cambio del consenso ad una eventuale penetrazione italiana in Tripolitana e Cirenaica, territori ormai solo debolmente controllati dalla Turchia. Accordi simili furono firmati con l'Inghilterra e con la Russia. Tutto ciò indeboliva la Triplice, ma rafforzava la posizione italiana in Europa e favoriva la pace facendo dell'Italia un elemento moderatore nei contrasti già in atto fra l'Austria e la Germania da una parte e l'Inghilterra, la Francia e la Russia dall'altra.

Quando nel 1911 l'Italia riprese l'attività coloniale, sbarcando sull'ultima parte dell'Africa settentrionale non ancora occupata dalle potenze occidentali, l'impresa aveva dunque avuto un'accurata preparazione diplomatica. L'Italia d'altra parte, non era più lo Stato debole di 15 anni prima. Le pubbliche finanze erano state riassestate e la popolazione andava numericamente crescendo. Anzi proprio questo fatto ancora una volta era preso a pretesto per giustificare agli occhi delle classi popolari i sacrifici di un'impresa coloniale, la sola ritenuta capace di arginare il fenomeno dell'emigrazione. Fra i più risoluti sostenitori di un nuovo intervento in Africa furono i seguaci di un movimento campeggiato da Enrico Corradini: il nazionalismo, sorto in Europa nell'ultimo triennio del XIX secolo quale deciso avversario di ogni tendenza pacifista e sostenitore della forza militare contro ogni ideale di buona convivenza tra i popoli. Per la guerra in Libia fu allestito un corpo di spedizione di 34.000 uomini sotto il comando del generale Carlo Caneva e il 3 ottobre 1911 iniziarono le ostilità. La guerra non fu così semplice come si era sperato. La popolazione araba si alleò con i Turchi che, scacciati da Tripoli, mantennero il controllo di buona parte del territorio dell'interno, impedendo alle truppe italiane di uscire dalle ristrette teste di ponte costruite al momento dello sbarco.
Le ostilità si protrassero a lungo costringendo il governo italiano ad aumentare il corpo di spedizione e ad allargare il conflitto. Nel luglio del 1912 la marina italiana occupò Rodi e le isole del Dodecanneso appartenenti alla Turchia. La Turchia fu ben presto costretta alla resa e la pace fu firmata nell'ottobre del 1912 a Losanna. In base ad essa la Turchia riconosceva all'Italia il possesso della Tripolitania e della Cirenaica e si impegnava a far cessare la guerriglia. A garanzia di tale impegno l'Italia conservava il Dodecanneso. L'occupazione della nuova colonia, cui fu mantenuto l'antico nome romano di Libia, non portò all'economia italiana grossi vantaggi. Quell'ampia fascia di territorio africano era infatti prevalentemente desertica e assai povera di materie prime ad eccezione di vastissimi giacimenti di petrolio, che però furono scoperti soltanto successivamente all'indipendenza del Paese (1952). In campo politico per i partiti dello schieramento nazionale l'impresa costituì il "pomo della discordia".
Esaltata dai nazionalisti essa li incoraggiò spingendoli sempre più apertamente contro il governo. In campo socialista l'impresa portò alla spaccatura del partito: da una parte i riformisti, che avevano appoggiato la spedizione attratti dalle promesse (poi mantenute) del suffragio universale (1912); dall'altra la maggioranza del partito, che l'aveva fieramente combattuta in nome del pacifismo. La spaccatura divenne irreparabile quando il Congresso di Reggio Emilia espulse i riformisti i quali successivamente dettero vita al Partito Socialista Riformista Italiano. Il PSI rimase guidato da Benito Mussolini. Giolitti ne uscì indebolito e fu costretto a cercare nuove alleanze tra i cattolici, stringendo un accordo elettorale con essi (patto Gentiloni). La sua leadership era tuttavia indebolita e dopo le elezioni a suffragio universale tenute nel 1913 fu costretto alle dimissioni lasciando il posto ad Antonio Salandra. Altri aspetti della guerra libica si trovano nel capitolo della politica estera.