Giacomo Leopardi - Canti I-VIIIALL'ITALIACreazione: La canzone è stata composta a Recanati nel settembre del 1818 e pubblicata a Roma l'anno stesso insieme con la canzone Sopra il monumento di Dante e con una lettera dedicatoria a Vincenzo Monti, posta in testa alle dieci Canzoni nell'edizione del 1824. Metro: sette strofe di 20 versi ciascuna: schema delle strofe dispari: ABcdABCeFGeFHGhlMiM (quarto e quart'ultimo verso liberi), schema delle strofe pari: AbCDaBDEFgEfHgIHLMiM (terzo e quart'ultimo verso liberi) O patria mia, vedo le mura e gli archi E le colonne e i simulacri e l'erme Torri degli avi nostri, Ma la gloria non vedo, Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi 5 I nostri padri antichi. Or fatta inerme, Nuda la fronte e nudo il petto mostri. Oimè quante ferite, Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio, Formosissima donna! Io chiedo al cielo 10 E al mondo: dite dite; Chi la ridusse a tale? E questo è peggio, Che di catene ha carche ambe le braccia; Sì che sparte le chiome e senza velo Siede in terra negletta e sconsolata, 15 Nascondendo la faccia Tra le ginocchia, e piange. Piangi, che ben hai donde, Italia mia, Le genti a vincer nata E nella fausta sorte e nella ria. 20
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, Mai non potrebbe il pianto Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno; Che fosti donna, or sei povera ancella. Chi di te parla o scrive, 25 Che, rimembrando il tuo passato vanto, Non dica: già fu grande, or non è quella? Perchè, perchè? dov'è la forza antica, Dove l'armi e il valore e la costanza? Chi ti discinse il brando? 30 Chi ti tradì? qual arte o qual fatica O qual tanta possanza Valse a spogliarti il manto e l'auree bende? Come cadesti o quando Da tanta altezza in così basso loco? 35 Nessun pugna per te? non ti difende Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo Combatterò, procomberò sol io. Dammi, o ciel, che sia foco Agl'italici petti il sangue mio. 40
Dove sono i tuoi figli? Odo suon d'armi E di carri e di voci e di timballi: In estranie contrade Pugnano i tuoi figliuoli. Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi, 45 Un fluttuar di fanti e di cavalli, E fumo e polve, e luccicar di spade Come tra nebbia lampi. Nè ti conforti? e i tremebondi lumi Piegar non soffri al dubitoso evento? 50 A che pugna in quei campi L'itala gioventude? O numi, o numi: Pugnan per altra terra itali acciari. Oh misero colui che in guerra è spento, Non per li patrii lidi e per la pia 55 Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui Per altra gente, e non può dir morendo: Alma terra natia, La vita che mi desti ecco ti rendo. 60
Oh venturose e care e benedette L'antiche età, che a morte Per la patria correan le genti a squadre; E voi sempre onorate e gloriose, O tessaliche strette, 65 Dove la Persia e il fato assai men forte Fu di poch'alme franche e generose! Io credo che le piante e i sassi e l'onda E le montagne vostre al passeggere Con indistinta voce 70 Narrin siccome tutta quella sponda Coprìr le invitte schiere De' corpi ch'alla Grecia eran devoti. Allor, vile e feroce, Serse per l'Ellesponto si fuggia, 75 Fatto ludibrio agli ultimi nepoti; E sul colle d'Antela, ove morendo Si sottrasse da morte il santo stuolo, Simonide salia, Guardando l'etra e la marina e il suolo. 80
E di lacrime sparso ambe le guance, E il petto ansante, e vacillante il piede, Toglieasi in man la lira: Beatissimi voi, Ch'offriste il petto alle nemiche lance 85 Per amor di costei ch'al Sol vi diede; Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira. Nell'armi e ne' perigli Qual tanto amor le giovanette menti, Qual nell'acerbo fato amor vi trasse? 90 Come sì lieta, o figli, L'ora estrema vi parve, onde ridenti Correste al passo lacrimoso e duro? Parea ch'a danza e non a morte andasse Ciascun de' vostri, o a splendido convito: 95 Ma v'attendea lo scuro Tartaro, e l'onda morta; Nè le spose vi foro o i figli accanto Quando su l'aspro lito Senza baci moriste e senza pianto. 100
Ma non senza de' Persi orrida pena Ed immortale angoscia. Come lion di tori entro una mandra Or salta a quello in tergo e sì gli scava Con le zanne la schiena, 105 Or questo fianco addenta or quella coscia; Tal fra le Perse torme infuriava L'ira de' greci petti e la virtute. Ve' cavalli supini e cavalieri; Vedi intralciare ai vinti 110 La fuga i carri e le tende cadute, E correr fra' primieri Pallido e scapigliato esso tiranno; Ve' come infusi e tinti Del barbarico sangue i greci eroi, 115 Cagione ai Persi d'infinito affanno, A poco a poco vinti dalle piaghe, L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva: Beatissimi voi Mentre nel mondo si favelli o scriva. 120
Prima divelte, in mar precipitando, Spente nell'imo strideran le stelle, Che la memoria e il vostro Amor trascorra o scemi. La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando 125 Verran le madri ai parvoli le belle Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro, O benedetti, al suolo, E bacio questi sassi e queste zolle, Che fien lodate e chiare eternamente 130 Dall'uno all'altro polo. Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle Fosse del sangue mio quest'alma terra. Che se il fato è diverso, e non consente Ch'io per la Grecia i moribondi lumi 135 Chiuda prostrato in guerra, Così la vereconda Fama del vostro vate appo i futuri Possa, volendo i numi, Tanto durar quanto la vostra duri. 140 IISOPRA IL MONUMENTO DI DANTECHE SI PREPARAVA IN FIRENZE.Creazione: canzone composta a Recanati tra il settembre e l'ottobre del 1818 [in «10 o 12 giorni»], pubblicata in Roma l'anno stesso. Metro: dodici strofe, le prime undici di 17 versi ciascuna, l'ultima di 13 versi. - schema delle strofe dispari: aBcADBeFDGEFGHIhI - schema delle strofe pari: ABcADbEfDGEfGHIhI - schema ultima strofa: AbACbDEDeFGfG Perchè le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da' lacci sciolte Dell'antico sopor l'itale menti S'ai patrii esempi della prisca etade 5 Questa terra fatal non si rivolga. O Italia, a cor ti stia Far ai passati onor; che d'altrettali Oggi vedove son le tue contrade, Nè v'è chi d'onorar ti si convegna. 10 Volgiti indietro, e guarda, o patria mia, Quella schiera infinita d'immortali, E piangi e di te stessa ti disdegna; Che senza sdegno omai la doglia è stolta: Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti, 15 E ti punga una volta Pensier degli avi nostri e de' nepoti. D'aria e d'ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando gia L'ospite desioso 20 Dove giaccia colui per lo cui verso Il meonio cantor non è più solo. Ed, oh vergogna! udia Che non che il cener freddo e l'ossa nude Giaccian esuli ancora 25 Dopo il funereo dì sott'altro suolo, Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Firenze, a quello per la cui virtude Tutto il mondo t'onora. Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso 30 Obbrobrio laverà nostro paese! Bell'opra hai tolta e di ch'amor ti rende, Schiera prode e cortese, Qualunque petto amor d'Italia accende. Amor d'Italia, o cari, 35 Amor di questa misera vi sproni, Ver cui pietade è morta In ogni petto omai, perciò che amari Giorni dopo il seren dato n'ha il cielo. Spirti v'aggiunga e vostra opra coroni 40 Misericordia, o figli, E duolo e sdegno di cotanto affanno Onde bagna costei le guance e il velo. Ma voi di quale ornar parola o canto Si debbe, a cui non pur cure o consigli, 45 Ma dell'ingegno e della man daranno I sensi e le virtudi eterno vanto Oprate e mostre nella dolce impresa? Quali a voi note invio, sì che nel core, Sì che nell'alma accesa 50 Nova favilla indurre abbian valore? Voi spirerà l'altissimo subbietto, Ed acri punte premeravvi al seno. Chi dirà l'onda e il turbo Del furor vostro e dell'immenso affetto? 55 Chi pingerà l'attonito sembiante? Chi degli occhi il baleno? Qual può voce mortal celeste cosa Agguagliar figurando? Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante 60 Lacrime al nobil sasso Italia serba! Come cadrà? come dal tempo rosa Fia vostra gloria o quando? Voi, di ch'il nostro mal si disacerba, Sempre vivete, o care arti divine, 65 Conforto a nostra sventurata gente, Fra l'itale ruine Gl'itali pregi a celebrare intente. Ecco voglioso anch'io Ad onorar nostra dolente madre 70 Porto quel che mi lice, E mesco all'opra vostra il canto mio, Sedendo u' vostro ferro i marmi avviva. O dell'etrusco metro inclito padre, Se di cosa terrena, 75 Se di costei che tanto alto locasti Qualche novella ai vostri lidi arriva, Io so ben che per te gioia non senti, Che saldi men che cera e men ch'arena, Verso la fama che di te lasciasti, 80 Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti Se mai cadesti ancor, s'unqua cadrai, Cresca, se crescer può, nostra sciaura, E in sempiterni guai Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura. 85 Ma non per te; per questa ti rallegri Povera patria tua, s'unqua l'esempio Degli avi e de' parenti Ponga ne' figli sonnacchiosi ed egri Tanto valor che un tratto alzino il viso. 90 Ahi, da che lungo scempio Vedi afflitta costei, che sì meschina Te salutava allora Che di novo salisti al paradiso! Oggi ridotta sì che a quel che vedi, 95 Fu fortunata allor donna e reina. Tal miseria l'accora Qual tu forse mirando a te non credi. Taccio gli altri nemici e l'altre doglie; Ma non la più recente e la più fera, 100 Per cui presso alle soglie Vide la patria tua l'ultima sera. Beato te che il fato A viver non dannò fra tanto orrore; Che non vedesti in braccio 105 L'itala moglie a barbaro soldato; Non predar, non guastar cittadi e colti L'asta inimica e il peregrin furore; Non degl'itali ingegni Tratte l'opre divine a miseranda 110 Schiavitude oltre l'alpe, e non de' folti Carri impedita la dolente via; Non gli aspri cenni ed i superbi regni; Non udisti gli oltraggi e la nefanda Voce di libertà che ne schernia 115 Tra il suon delle catene e de' flagelli. Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto Che lasciaron quei felli? Qual tempio, quale altare o qual misfatto? Perchè venimmo a sì perversi tempi? 120 Perchè il nascer ne desti o perchè prima Non ne desti il morire, Acerbo fato? onde a stranieri ed empi Nostra patria vedendo ancella e schiava, E da mordace lima 125 Roder la sua virtù, di null'aita E di nullo conforto Lo spietato dolor che la stracciava Ammollir ne fu dato in parte alcuna. Ahi non il sangue nostro e non la vita 130 Avesti, o cara; e morto Io non son per la tua cruda fortuna. Qui l'ira al cor, qui la pietade abbonda: Pugnò, cadde gran parte anche di noi: Ma per la moribonda 135 Italia no; per li tiranni suoi. Padre, se non ti sdegni, Mutato sei da quel che fosti in terra. Morian per le rutene Squallide piagge, ahi d'altra morte degni, 140 Gl'itali prodi; e lor fea l'aere e il cielo E gli uomini e le belve immensa guerra. Cadeano a squadre a squadre Semivestiti, maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. 145 Allor, quando traean l'ultime pene, Membrando questa desiata madre, Diceano: oh non le nubi e non i venti, Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene, O patria nostra. Ecco da te rimoti, 150 Quando più bella a noi l'età sorride, A tutto il mondo ignoti, Moriam per quella gente che t'uccide. Di lor querela il boreal deserto E conscie fur le sibilanti selve. 155 Così vennero al passo, E i negletti cadaveri all'aperto Su per quello di neve orrido mare Dilaceràr le belve; E sarà il nome degli egregi e forti 160 Pari mai sempre ed uno Con quel de' tardi e vili. Anime care, Bench'infinita sia vostra sciagura, Datevi pace; e questo vi conforti Che conforto nessuno 165 Avrete in questa o nell'età futura. In seno al vostro smisurato affanno Posate, o di costei veraci figli, Al cui supremo danno Il vostro solo è tal che s'assomigli. 170 Di voi già non si lagna La patria vostra, ma di chi vi spinse A pugnar contra lei, Sì ch'ella sempre amaramente piagna E il suo col vostro lacrimar confonda. 175 Oh di costei ch'ogni altra gloria vinse Pietà nascesse in core A tal de' suoi ch'affaticata e lenta Di sì buia vorago e sì profonda La ritraesse! O glorioso spirto, 180 Dimmi: d'Italia tua morto è l'amore? Dì: quella fiamma che t'accese, è spenta? Dì: nè più mai rinverdirà quel mirto Ch'alleggiò per gran tempo il nostro male? Nostre corone al suol fien tutte sparte? 185 Nè sorgerà mai tale Che ti rassembri in qualsivoglia parte? In eterno perimmo? e il nostro scorno Non ha verun confine? Io mentre viva andrò sclamando intorno, 190 Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio; Mira queste ruine E le carte e le tele e i marmi e i templi; Pensa qual terra premi; e se destarti Non può la luce di cotanti esempli, 195 Che stai? levati e parti. Non si conviene a sì corrotta usanza Questa d'animi eccelsi altrice e scola: Se di codardi è stanza, Meglio l'è rimaner vedova e sola. 200 IIIAD ANGELO MAIQUAND'EBBE TROVATO I LIBRI DI CICERONEDELLA REPUBBLICA.Creazione: canzone composta a Recanati nel gennaio 1820, pronta per la stampa il 4 febbraio, pubblicata a Bologna nel mese di Luglio con lettera dedicatoria al conte Leonardo Trissino. Metro: dodici strofe di 15 versi ciascuna con lo schema: AbCBCDeFGDeFGHH Italo ardito, a che giammai non posi Di svegliar dalle tombe I nostri padri? ed a parlar gli meni A questo secol morto, al quale incombe Tanta nebbia di tedio? E come or vieni 5 Sì forte a' nostri orecchi e sì frequente, Voce antica de' nostri, Muta sì lunga etade? e perchè tanti Risorgimenti? In un balen feconde Venner le carte; alla stagion presente 10 I polverosi chiostri Serbaro occulti i generosi e santi Detti degli avi. E che valor t'infonde, Italo egregio, il fato? O con l'umano Valor forse contrasta il fato invano? 15 Certo senza de' numi alto consiglio Non è ch'ove più lento E grave è il nostro disperato obblio, A percoter ne rieda ogni momento Novo grido de' padri. Ancora è pio 20 Dunque all'Italia il cielo; anco si cura Di noi qualche immortale: Ch'essendo questa o nessun'altra poi L'ora da ripor mano alla virtude Rugginosa dell'itala natura, 25 Veggiam che tanto e tale È il clamor de' sepolti, e che gli eroi Dimenticati il suol quasi dischiude, A ricercar s'a questa età sì tarda Anco ti giovi, o patria, esser codarda. 30
Di noi serbate, o gloriosi, ancora Qualche speranza? in tutto Non siam periti? A voi forse il futuro Conoscer non si toglie. Io son distrutto Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro 35 M'è l'avvenire, e tutto quanto io scerno È tal che sogno e fola Fa parer la speranza. Anime prodi, Ai tetti vostri inonorata, immonda Plebe successe; al vostro sangue è scherno 40 E d'opra e di parola Ogni valor; di vostre eterne lodi Nè rossor più nè invidia; ozio circonda I monumenti vostri; e di viltade Siam fatti esempio alla futura etade. 45
Bennato ingegno, or quando altrui non cale De' nostri alti parenti, A te ne caglia, a te cui fato aspira Benigno sì che per tua man presenti Paion que' giorni allor che dalla dira 50 Obblivione antica ergean la chioma, Con gli studi sepolti, I vetusti divini, a cui natura Parlò senza svelarsi, onde i riposi Magnanimi allegràr d'Atene e Roma. 55 Oh tempi, oh tempi avvolti In sonno eterno! Allora anco immatura La ruina d'Italia, anco sdegnosi Eravam d'ozio turpe, e l'aura a volo Più faville rapia da questo suolo. 60
Eran calde le tue ceneri sante, Non domito nemico Della fortuna, al cui sdegno e dolore Fu più l'averno che la terra amico. L'averno: e qual non è parte migliore 65 Di questa nostra? E le tue dolci corde Susurravano ancora Dal tocco di tua destra, o sfortunato Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce L'italo canto. E pur men grava e morde 70 Il mal che n'addolora Del tedio che n'affoga. Oh te beato, A cui fu vita il pianto! A noi le fasce Cinse il fastidio; a noi presso la culla Immoto siede, e su la tomba, il nulla. 75
Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Ligure ardita prole, Quand'oltre alle colonne, ed oltre ai liti Cui strider l'onde all'attuffar del sole Parve udir su la sera, agl'infiniti 80 Flutti commesso, ritrovasti il raggio Del Sol caduto, e il giorno Che nasce allor ch'ai nostri è giunto al fondo; E rotto di natura ogni contrasto, Ignota immensa terra al tuo viaggio 85 Fu gloria, e del ritorno Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto L'etra sonante e l'alma terra e il mare Al fanciullin, che non al saggio, appare. 90
Nostri sogni leggiadri ove son giti Dell'ignoto ricetto D'ignoti abitatori, o del diurno Degli astri albergo, e del rimoto letto Della giovane Aurora, e del notturno 95 Occulto sonno del maggior pianeta? Ecco svaniro a un punto, E figurato è il mondo in breve carta; Ecco tutto è simile, e discoprendo, Solo il nulla s'accresce. A noi ti vieta 100 Il vero appena è giunto, O caro immaginar; da te s'apparta Nostra mente in eterno; allo stupendo Poter tuo primo ne sottraggon gli anni; E il conforto perì de' nostri affanni. 105
Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo Sole splendeati in vista, Cantor vago dell'arme e degli amori, Che in età della nostra assai men trista Empièr la vita di felici errori: 110 Nova speme d'Italia. O torri, o celle, O donne, o cavalieri, O giardini, o palagi! a voi pensando, In mille vane amenità si perde La mente mia. Di vanità, di belle 115 Fole e strani pensieri Si componea l'umana vita: in bando Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde È spogliato alle cose? Il certo e solo Veder che tutto è vano altro che il duolo. 120
O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa Tua mente allora, il pianto A te, non altro, preparava il cielo. Oh misero Torquato! il dolce canto Non valse a consolarti o a sciorre il gelo 125 Onde l'alma t'avean, ch'era sì calda, Cinta l'odio e l'immondo Livor privato e de' tiranni. Amore, Amor, di nostra vita ultimo inganno, T'abbandonava. Ombra reale e salda 130 Ti parve il nulla, e il mondo Inabitata piaggia. Al tardo onore Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno, L'ora estrema ti fu. Morte domanda Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda. 135
Torna torna fra noi, sorgi dal muto E sconsolato avello, Se d'angoscia sei vago, o miserando Esemplo di sciagura. Assai da quello Che ti parve sì mesto e sì nefando, 140 È peggiorato il viver nostro. O caro, Chi ti compiangeria, Se, fuor che di se stesso, altri non cura? Chi stolto non direbbe il tuo mortale Affanno anche oggidì, se il grande e il raro 145 Ha nome di follia; Nè livor più, ma ben di lui più dura La noncuranza avviene ai sommi? o quale, Se più de' carmi, il computar s'ascolta, Ti appresterebbe il lauro un'altra volta? 150
Da te fino a quest'ora uom non è sorto, O sventurato ingegno, Pari all'italo nome, altro ch'un solo, Solo di sua codarda etate indegno Allobrogo feroce, a cui dal polo 155 Maschia virtù, non già da questa mia Stanca ed arida terra, Venne nel petto; onde privato, inerme, (Memorando ardimento) in su la scena Mosse guerra a' tiranni: almen si dia 160 Questa misera guerra E questo vano campo all'ire inferme Del mondo. Ei primo e sol dentro all'arena Scese, e nullo il seguì, che l'ozio e il brutto Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto. 165
Disdegnando e fremendo, immacolata Trasse la vita intera, E morte lo scampò dal veder peggio. Vittorio mio, questa per te non era Età nè suolo. Altri anni ed altro seggio 170 Conviene agli alti ingegni. Or di riposo Paghi viviamo, e scorti Da mediocrità: sceso il sapiente E salita è la turba a un sol confine, Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso, 175 Segui; risveglia i morti, Poi che dormono i vivi; arma le spente Lingue de' prischi eroi; tanto che in fine Questo secol di fango o vita agogni E sorga ad atti illustri, o si vergogni. 180 IVNELLE NOZZE DELLA SORELLA PAOLINACreazione: canzone composta a Recanati tra l'ottobre e il novembre 1821 in occasione delle progettate nozze, poi sfumate, della sorella Paolina con un benestante di Sant'Angelo in Vado; pubblicata per la prima volta in Bologna nel 1824 Metro: sette strofe di 15 versi ciascuna, con lo schema aBCACBDefGFEghH (il settimo verso libero) eccettuata la quarta che per i primi sei versi ha la variante aBCBAC.
Poi che del patrio nido I silenzi lasciando, e le beate Larve e l'antico error, celeste dono, Ch'abbella agli occhi tuoi quest'ermo lido, Te nella polve della vita e il suono 5 Tragge il destin; l'obbrobriosa etate Che il duro cielo a noi prescrisse impara, Sorella mia, che in gravi E luttuosi tempi L'infelice famiglia all'infelice 10 Italia accrescerai. Di forti esempi Al tuo sangue provvedi. Aure soavi L'empio fato interdice All'umana virtude, Nè pura in gracil petto alma si chiude. 15
O miseri o codardi Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso Tra fortuna e valor dissidio pose Il corrotto costume. Ahi troppo tardi, E nella sera dell'umane cose, 20 Acquista oggi chi nasce il moto e il senso. Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda Questa sovr'ogni cura, Che di fortuna amici Non crescano i tuoi figli, e non di vile 25 Timor gioco o di speme: onde felici Sarete detti nell'età futura: Poichè (nefando stile, Di schiatta ignava e finta) Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta. 30
Donne, da voi non poco La patria aspetta; e non in danno e scorno Dell'umana progenie al dolce raggio Delle pupille vostre il ferro e il foco Domar fu dato. A senno vostro il saggio 35 E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno Col divo carro accerchia, a voi s'inchina. Ragion di nostra etate Io chieggo a voi. La santa Fiamma di gioventù dunque si spegne 40 Per vostra mano? attenuata e franta Da voi nostra natura? e le assonnate Menti, e le voglie indegne, E di nervi e di polpe Scemo il valor natio, son vostre colpe? 45
Ad atti egregi è sprone Amor, chi ben l'estima, e d'alto affetto Maestra è la beltà. D'amor digiuna Siede l'alma di quello a cui nel petto Non si rallegra il cor quando a tenzone 50 Scendono i venti, e quando nembi aduna L'olimpo, e fiede le montagne il rombo Della procella. O spose, O verginette, a voi Chi de' perigli è schivo, e quei che indegno 55 È della patria e che sue brame e suoi Volgari affetti in basso loco pose, Odio mova e disdegno; Se nel femmineo core D'uomini ardea, non di fanciulle, amore. 60
Madri d'imbelle prole V'incresca esser nomate. I danni e il pianto Della virtude a tollerar s'avvezzi La stirpe vostra, e quel che pregia e cole La vergognosa età, condanni e sprezzi; 65 Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto Agli avi suoi deggia la terra impari. Qual de' vetusti eroi Tra le memorie e il grido Crescean di Sparta i figli al greco nome; 70 Finchè la sposa giovanetta il fido Brando cingeva al caro lato, e poi Spandea le negre chiome Sul corpo esangue e nudo Quando e' reddia nel conservato scudo. 75
Virginia, a te la molle Gota molcea con le celesti dita Beltade onnipossente, e degli alteri Disdegni tuoi si sconsolava il folle Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri 80 Nella stagion ch'ai dolci sogni invita, Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe Il bianchissimo petto, E all'Erebo scendesti Volonterosa. A me disfiori e scioglia 85 Vecchiezza i membri, o padre; a me s'appresti, Dicea, la tomba, anzi che l'empio letto Del tiranno m'accoglia. E se pur vita e lena Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena. 90
O generosa, ancora Che più bello a' tuoi dì splendesse il sole Ch'oggi non fa, pur consolata e paga È quella tomba cui di pianto onora L'alma terra nativa. Ecco alla vaga 95 Tua spoglia intorno la romulea prole Di nova ira sfavilla. Ecco di polve Lorda il tiranno i crini; E libertade avvampa Gli obbliviosi petti; e nella doma 100 Terra il marte latino arduo s'accampa Dal buio polo ai torridi confini. Così l'eterna Roma In duri ozi sepolta Femmineo fato avviva un'altra volta. 105 VA UN VINCITORE NEL PALLONECreazione: Canzone composta a Recanati nel novembre 1821, anno in cui si comincia a costruire a Macerata un grande sferisterio; pubblicata in Bologna nel 1824 Metro: cinque strofe di 13 versi ciascuna con lo schema AbCBACDEFDGgG
Di gloria il viso e la gioconda voce, Garzon bennato, apprendi, E quanto al femminile ozio sovrasti La sudata virtude. Attendi attendi, Magnanimo campion (s'alla veloce 5 Piena degli anni il tuo valor contrasti La spoglia di tuo nome), attendi e il core Movi ad alto desio. Te l'echeggiante Arena e il circo, e te fremendo appella Ai fatti illustri il popolar favore; 10 Te rigoglioso dell'età novella Oggi la patria cara Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona Non colorò la destra 15 Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo, Che stupido mirò l'ardua palestra, Nè la palma beata e la corona D'emula brama il punse. E nell'Alfeo Forse le chiome polverose e i fianchi 20 Delle cavalle vincitrici asterse Tal che le greche insegne e il greco acciaro Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi Nelle pallide torme; onde sonaro Di sconsolato grido 25 L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote Della virtù nativa Le riposte faville? e che del fioco Spirto vital negli egri petti avviva 30 Il caduco fervor? Le meste rote Da poi che Febo instiga, altro che gioco Son l'opre de' mortali? ed è men vano Della menzogna il vero? A noi di lieti Inganni e di felici ombre soccorse 35 Natura stessa: e là dove l'insano Costume ai forti errori esca non porse, Negli ozi oscuri e nudi Mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch'alle ruine 40 Delle italiche moli Insultino gli armenti, e che l'aratro Sentano i sette colli; e pochi Soli Forse fien volti, e le città latine Abiterà la cauta volpe, e l'atro 45 Bosco mormorerà fra le alte mura; Se la funesta delle patrie cose Obblivion dalle perverse menti Non isgombrano i fati, e la matura Clade non torce dalle abbiette genti 50 Il ciel fatto cortese Dal rimembrar delle passate imprese.
Alla patria infelice, o buon garzone, Sopravviver ti doglia. Chiaro per lei stato saresti allora 55 Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia, Nostra colpa e fatal. Passò stagione; Che nullo di tal madre oggi s'onora: Ma per te stesso al polo ergi la mente. Nostra vita a che val? solo a spregiarla: 60 Beata allor che ne' perigli avvolta, Se stessa obblia, nè delle putri e lente Ore il danno misura e il flutto ascolta; Beata allor che il piede Spinto al varco leteo, più grata riede. 65 VIBRUTO MINORECreazione: canto composto a Recanati nel dicembre 1821 («opera di 20 giorni»), pubblicato in Bologna nel 1824, preceduta dalla Comparazione delle sentenze di Bruto Minore e Teofrasto vicini a morte [del marzo 1822, che sarà destinata a trovar posto fra le prose] Metro: otto strofe di 15 versi ciascuna, con lo schema AbCDCEfGhILHmnN (solo 6 versi rimati a due a due e 9 versi sciolti)
Poi che divelta, nella tracia polve Giacque ruina immensa L'italica virtute, onde alle valli D'Esperia verde, e al tiberino lido, Il calpestio de' barbari cavalli 5 Prepara il fato, e dalle selve ignude Cui l'Orsa algida preme, A spezzar le romane inclite mura Chiama i gotici brandi; Sudato, e molle di fraterno sangue, 10 Bruto per l'atra notte in erma sede, Fermo già di morir, gl'inesorandi Numi e l'averno accusa, E di feroci note Invan la sonnolenta aura percote. 15
Stolta virtù, le cave nebbie, i campi Dell'inquiete larve Son le tue scole, e ti si volge a tergo Il pentimento. A voi, marmorei numi, (Se numi avete in Flegetonte albergo 20 O su le nubi) a voi ludibrio e scherno È la prole infelice A cui templi chiedeste, e frodolenta Legge al mortale insulta. Dunque tanto i celesti odii commove 25 La terrena pietà? dunque degli empi Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta Per l'aere il nembo, e quando Il tuon rapido spingi, Ne' giusti e pii la sacra fiamma stringi? 30
Preme il destino invitto e la ferrata Necessità gl'infermi Schiavi di morte: e se a cessar non vale Gli oltraggi lor, de' necessarii danni Si consola il plebeo. Men duro è il male 35 Che riparo non ha? dolor non sente Chi di speranza è nudo? Guerra mortale, eterna, o fato indegno, Teco il prode guerreggia, Di cedere inesperto; e la tiranna 40 Tua destra, allor che vincitrice il grava, Indomito scrollando si pompeggia, Quando nell'alto lato L'amaro ferro intride, E maligno alle nere ombre sorride. 45
Spiace agli Dei chi violento irrompe Nel Tartaro. Non fora Tanto valor ne' molli eterni petti. Forse i travagli nostri, e forse il cielo I casi acerbi e gl'infelici affetti 50 Giocondo agli ozi suoi spettacol pose? Non fra sciagure e colpe, Ma libera ne' boschi e pura etade Natura a noi prescrisse, Reina un tempo e Diva. Or poi ch'a terra 55 Sparse i regni beati empio costume, E il viver macro ad altre leggi addisse; Quando gl'infausti giorni Virile alma ricusa, Riede natura, e il non suo dardo accusa? 60
Di colpa ignare e de' lor proprii danni Le fortunate belve Serena adduce al non previsto passo La tarda età. Ma se spezzar la fronte Ne' rudi tronchi, o da montano sasso 65 Dare al vento precipiti le membra, Lor suadesse affanno; Al misero desio nulla contesa Legge arcana farebbe O tenebroso ingegno. A voi, fra quante 70 Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte, Figli di Prometeo, la vita increbbe; A voi le morte ripe, Se il fato ignavo pende, Soli, o miseri, a voi Giove contende. 75
E tu dal mar cui nostro sangue irriga, Candida luna, sorgi, E l'inquieta notte e la funesta All'ausonio valor campagna esplori. Cognati petti il vincitor calpesta, 80 Fremono i poggi, dalle somme vette Roma antica ruina; Tu sì placida sei? Tu la nascente Lavinia prole, e gli anni Lieti vedesti, e i memorandi allori; 85 E tu su l'alpe l'immutato raggio Tacita verserai quando ne' danni Del servo italo nome, Sotto barbaro piede Rintronerà quella solinga sede. 90
Ecco tra nudi sassi o in verde ramo E la fera e l'augello, Del consueto obblio gravido il petto, L'alta ruina ignora e le mutate Sorti del mondo: e come prima il tetto 95 Rosseggerà del villanello industre, Al mattutino canto Quel desterà le valli, e per le balze Quella l'inferma plebe Agiterà delle minori belve. 100 Oh casi! oh gener vano! abbietta parte Siam delle cose; e non le tinte glebe, Non gli ululati spechi Turbò nostra sciagura, Nè scolorò le stelle umana cura. 105
Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi Regi, o la terra indegna, E non la notte moribondo appello; Non te, dell'atra morte ultimo raggio, Conscia futura età. Sdegnoso avello 110 Placàr singulti, ornàr parole e doni Di vil caterva? In peggio Precipitano i tempi; e mal s'affida A putridi nepoti L'onor d'egregie menti e la suprema 115 De' miseri vendetta. A me dintorno Le penne il bruno augello avido roti; Prema la fera, e il nembo Tratti l'ignota spoglia; E l'aura il nome e la memoria accoglia. 120 VIIALLA PRIMAVERAO DELLE FAVOLE ANTICHE.Creazione: Composta a Recanati nel gennaio 1822 («opera in 12 giorni») pubblicata per la prima volta in Bologna nel 1822. Il primo spunto per questa canzone sembra fornito da uno spunto per lo Zibaldone del 1819 (pp. 63-64) Metro: cinque strofe di 19 versi ciascuna, con lo schema aBCDbEFGHGiKlMNoMPP ( solo 8 versi rimati due a due, e 11 versi sciolti)
Perchè i celesti danni Ristori il sole, e perchè l'aure inferme Zefiro avvivi, onde fugata e sparta Delle nubi la grave ombra s'avvalla; Credano il petto inerme 5 Gli augelli al vento, e la diurna luce Novo d'amor desio, nova speranza Ne' penetrati boschi e fra le sciolte Pruine induca alle commosse belve; Forse alle stanche e nel dolor sepolte 10 Umane menti riede La bella età, cui la sciagura e l'atra Face del ver consunse Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti Di febo i raggi al misero non sono 15 In sempiterno? ed anco, Primavera odorata, inspiri e tenti Questo gelido cor, questo ch'amara Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?
Vivi tu, vivi, o santa 20 Natura? vivi e il dissueto orecchio Della materna voce il suono accoglie? Già di candide ninfe i rivi albergo, Placido albergo e specchio Furo i liquidi fonti. Arcane danze 25 D'immortal piede i ruinosi gioghi Scossero e l'ardue selve (oggi romito Nido de' venti): e il pastorel ch'all'ombre Meridiane incerte ed al fiorito Margo adducea de' fiumi 30 Le sitibonde agnelle, arguto carme Sonar d'agresti Pani Udì lungo le ripe; e tremar l'onda Vide, e stupì, che non palese al guardo La faretrata Diva 35 Scendea ne' caldi flutti, e dall'immonda Polve tergea della sanguigna caccia Il niveo lato e le verginee braccia.
Vissero i fiori e l'erbe, Vissero i boschi un dì. Conscie le molli 40 Aure, le nubi e la titania lampa Fur dell'umana gente, allor che ignuda Te per le piagge e i colli, Ciprigna luce, alla deserta notte Con gli occhi intenti il viator seguendo, 45 Te compagna alla via, te de' mortali Pensosa immaginò. Che se gl'impuri Cittadini consorzi e le fatali Ire fuggendo e l'onte, Gl'ispidi tronchi al petto altri nell'ime 50 Selve remoto accolse, Viva fiamma agitar l'esangui vene, Spirar le foglie, e palpitar segreta Nel doloroso amplesso Dafne o la mesta Filli, o di Climene 55 Pianger credè la sconsolata prole Quel che sommerse in Eridano il sole.
Nè dell'umano affanno, Rigide balze, i luttuosi accenti Voi negletti ferìr mentre le vostre 60 Paurose latebre Eco solinga, Non vano error de' venti, Ma di ninfa abitò misero spirto, Cui grave amor, cui duro fato escluse Delle tenere membra. Ella per grotte, 65 Per nudi scogli e desolati alberghi, Le non ignote ambasce e l'alte e rotte Nostre querele al curvo Etra insegnava. E te d'umani eventi Disse la fama esperto, 70 Musico augel che tra chiomato bosco Or vieni il rinascente anno cantando, E lamentar nell'alto Ozio de' campi, all'aer muto e fosco, Antichi danni e scellerato scorno, 75 E d'ira e di pietà pallido il giorno.
Ma non cognato al nostro Il gener tuo; quelle tue varie note >Dolor non forma, e te di colpa ignudo, Men caro assai la bruna valle asconde. 80 Ahi ahi, poscia che vote Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono Per l'atre nubi e le montagne errando, Gl'iniqui petti e gl'innocenti a paro In freddo orror dissolve; e poi ch'estrano 85 Il suol nativo, e di sua prole ignaro Le meste anime educa; Tu le cure infelici e i fati indegni Tu de' mortali ascolta, Vaga natura, e la favilla antica 90 Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi, E se de' nostri affanni Cosa veruna in ciel, se nell'aprica Terra s'alberga o nell'equoreo seno, Pietosa no, ma spettatrice almeno. 95
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