31. Ubi vero moveri et adpropinquare muris viderunt, nova atque inusitata specie commoti legatos ad Caesarem de pace miserunt, qui ad hunc modum locuti; non se existimare Romanos sine ope divina bellum gerere, qui tantae altitudinis machinationes tanta celeritate promovere possent; se suaque omnia eorum potestati permittere dixerunt. Unum petere ac deprecari: si forte pro sua clementia ac mansuetudine, quam ipsi ab aliis audirent, statuisset Atuatucos esse conservandos, ne se armis despoliaret. Sibi omnes fere finitimos esse inimicos ac suae virtuti invidere; a quibus se defendere traditis armis non possent. Sibi praestare, si in eum casum deducerentur, quamvis fortunam a populo Romano pati quam ab his per cruciatum interfici inter quos dominari consuessent. 31. Ma quando videro la torre muoversi ed avvicinarsi alle mura, turbati dalla nuova ed insolita visione, mandarono a Cesare, per trattare la resa, degli ambasciatori che si espressero in questi termini: ritenevano che i Romani si giovassero in guerra di qualche aiuto divino, dal momento che con tanta rapidità erano capaci di far muovere un macchinario di quelle dimensioni e combattere a distanza ravvicinata, dichiararono di sottomettersi con tutti i loro averi. Avevano una sola richiesta, una supplica: se per caso, grazie alla clemenza e mitezza di cui era giunta anche a loro la fama, Cesare avesse deciso di risparmiarli, non li privasse delle armi. Quasi tutti i popoli vicini erano ostili ed invidiavano il loro valore: una volta consegnate le armi, non avrebbero più potuto difendersi. Preferivano, se si fosse arrivati a tanto, subire qualunque sorte dal popolo romano, piuttosto che essere uccisi tra le torture da gente che erano soliti dominare.
   
32. Ad haec Caesar respondit: se magis consuetudine sua quam merito eorum civitatem conservaturum, si prius quam murum aries attigisset se dedidissent; sed deditionis nullam esse condicionem nisi armis traditis. Se id quod in Nerviis fecisset facturum finitimisque imperaturum ne quam dediticiis populi Romani iniuriam inferrent. Re renuntiata ad suos illi se quae imperarentur facere dixerunt. Armorum magna multitudine de muro in fossam, quae erat ante oppidum, iacta, sic ut prope summam muri aggerisque altitudinem acervi armorum adaequarent, et tamen circiter parte tertia, ut postea perspectum est, celata atque in oppido retenta, portis patefactis eo die pace sunt usi. 32. Alle loro richieste Cesare rispose che più per coerenza con il proprio abituale comportamento che per loro merito, li avrebbe risparmiati, se si fossero arresi prima che l'ariete avesse toccato le mura, ma la resa doveva essere incondizionata: consegnassero le armi. Egli avrebbe fatto per loro ciò che aveva fatto per i Nervi: avrebbe ordinato ai vicini di non recare offesa alcuna a chi si era sottomesso al popolo romano. Come fu riferita la risposta di Cesare, gli Atuatuci si dichiararono pronti ad eseguire gli ordini. Dalle mura fu gettata nella fossa che si trovava davanti alla città una tale quantità di armi da formare un mucchio che raggiungeva quasi la sommità del muro e l'altezza del nostro terrapieno, e tuttavia, circa un terzo delle armi, come si vide in seguito, era stato tenuto nascosto dentro la città. Aperte le porte, per quel giorno si tennero tranquilli.
   
33. Sub vesperum Caesar portas claudi militesque ex oppido exire iussit, ne quam noctu oppidani a militibus iniuriam acciperent. Illi ante inito, ut intellectum est, consilio, quod deditione facta nostros praesidia deducturos aut denique indiligentius servaturos crediderant, partim cum iis quae retinuerant et celaverant armis, partim scutis ex cortice factis aut viminibus intextis, quae subito, ut temporis exiguitas postulabat, pellibus induxerant, tertia vigilia, qua minime arduus ad nostras munitiones accensus videbatur, omnibus copiis repente ex oppido eruptionem fecerunt. Celeriter, ut ante Caesar imperaverat, ignibus significatione facta, ex proximis castellis eo concursum est, pugnatumque ab hostibus ita acriter est ut a viris fortibus in extrema spe salutis iniquo loco contra eos qui ex vallo turribusque tela iacerent pugnari debuit, cum in una virtute omnis spes consisteret. Occisis ad hominum milibus IIII reliqui in oppidum reiecti sunt. Postridie eius diei refractis portis, cum iam defenderet nemo, atque intromissis militibus nostris, sectionem eius oppidi universam Caesar vendidit. Ab iis qui emerant capitum numerus ad eum relatus est milium LIII. 33. Al tramonto, Cesare ordinò che venissero chiuse le porte e che i soldati uscissero dalla città, per impedire che gli abitanti, durante la notte, avessero a subire qualche molestia. Gli Atuatuci, secondo un piano, come si seppe poi, prestabilito, convinti che, dal momento che si erano arresi, i nostri avrebbero tolto i presidi o che comunque avrebbero allentato la sorveglianza, parte con le armi che avevano trattenuto e nascosto, parte con scudi fatti di cortecce o vimini intessuti, appena ricoperti di pelli, come richiedeva il poco tempo a disposizione, alla terza vigilia, per dove l'accesso alle nostre fortificazioni sembrava loro meno difficile, improvvisamente, con tutte le truppe, fecero irruzione dalla città. Immediatamente, come Cesare aveva predisposto, furono fatte segnalazioni con i fuochi e dalle torri vicine accorsero i nostri. I nemici combatterono con il coraggio proprio di uomini valorosi che si trovano a doversi battere in una situazione disperata, in posizione sfavorevole, contro avversari che lanciavano frecce dall'alto del terrapieno e dalle torri, essendo riposta nel loro solo valore ogni speranza di salvezza. Uccisi circa quattromila uomini, gli altri furono ricacciati nella città. Il giorno dopo, forzate le porte senza incontrare resistenza, fatti entrare i nostri soldati, Cesare mise in vendita l'intero bottino della città. Dai compratori seppe che il numero dei capi acquistati era di cinquantatremila.
   
34. Eodem tempore a P. Crasso, quem cum legione una miserat ad Venetos, Venellos, Osismos, Coriosolitas, Esuvios, Aulercos, Redones, quae sunt maritimae civitates Oceanumque attingunt, certior factus est omnes eas civitates in dicionem potestatemque populi Romani esse redactas. 34. Nello stesso tempo, fu informato da Publio Crasso, che aveva inviato con una legione nei territori dei Veneti, degli Unelli, degli Osismi, dei Coriosoliti, degli Esuvi, degli Aulerci, dei Redoni, popoli marittimi che si affacciano sull'Oceano, che tutte quelle nazioni erano state sottomesse all'autorità del popolo romano.
   
35. His rebus gestis omni Gallia pacata, tanta huius belli ad barbaros opinio perlata est uti ab iis nationibus quae trans Rhenum incolerent legationes ad Caesarem mitterentur, quae se obsides daturas, imperata facturas pollicerentur. Quas legationes Caesar, quod in Italiam Illyricumque properabat, inita proxima aestate ad se reverti iussit. Ipse in Carnutes, Andes, Turonos quaeque civitates propinquae iis locis erant ubi bellum gesserat, legionibus in hiberna deductis, in Italiam profectus est. Ob easque res ex litteris Caesaris dierum XV supplicatio decreta est, quod ante id tempus accidit nulli. 35. Compiute queste imprese, pacificata l'intera Gallia, si diffuse tra i barbari una tale fama di quella guerra, che dalle nazioni stanziate al di là del Reno furono mandate a Cesare ambascerie che promettevano di consegnare ostaggi e di obbedire agli ordini. Cesare, che aveva fretta di raggiungere l'Italia e l'Illirico, ordinò loro di ripresentarsi all'inizio dell'estate successiva. Egli, condotto l'esercito nei quartieri d'inverno nei territori dei Carnuti, degli Andi e dei Turoni, e di quei popoli che si trovavano vicini ai luoghi in cui era stata condotta la guerra, parti per l'Italia. Per queste imprese, comunicate da Cesare per lettera, furono decretati quindici giorni di solenni funzioni di ringraziamento agli dèi, cosa mai accaduta prima a nessuno.