1. Multis de causis Caesar maiorem Galliae motum exspectans per Marcum Silanum, Gaium Antistium Reginum, Titum Sextium legatos dilectum habere instituit; simul ab Gnaeo Pompeio proconsule petit, quoniam ipse ad urbem cum imperio rei publicae causa remaneret, quos ex Cisalpina Gallia consulis sacramento rogavisset, ad signa convenire et ad se proficisci iuberet, magni interesse etiam in reliquum tempus ad opinionem Galliae existimans tantas videri Italiae facultates ut, si quid esset in bello detrimenti acceptum, non modo id brevi tempore sarciri, sed etiam maioribus augeri copiis posset. Quod cum Pompeius et rei publicae et amicitiae tribuisset, celeriter confecto per suos dilectu tribus ante exactam hiemem et constitutis et adductis legionibus duplicatoque earum cohortium numero, quas cum Quinto Titurio amiserat, et celeritate et copiis docuit, quid populi Romani disciplina atque opes possent. 1. Cesare, che aveva molte ragioni per aspettarsi una più grave sollevazione in Gallia, incarica i legati Marco Silano, Gaio Antistio Regino e Tito Sestio di procedere a un arruolamento di truppe e chiede contemporaneamente al proconsole Gneo Pompeo, che pur essendo in carica era trattenuto a Roma da affari di Stato, di mobilitare e inviargli le reclute della Gallia Cisalpina che avevano prestato giuramento nel suo anno di consolato ; egli riteneva estremamente importante mantenere nei Galli, anche per il futuro, un alto concetto delle ingenti risorse dell'Italia, che erano tali da permettere, nel caso di eventuali perdite subite in guerra, non solo di operare un rapido rincalzo di truppe, ma di aumentare addirittura il numero degli effettivi. Avendo Pompeo acconsentito alla richiesta per il bene dello Stato e per motivi di amicizia, Cesare, completato rapidamente l'arruolamento per mezzo dei suoi legati, approntate e trasferite tre legioni prima della fine dell'inverno, raddoppiato il numero delle coorti che aveva perduto con Quinto Titurio, dimostrò, grazie alla rapidità dell'operazione e all'entità delle truppe, di che cosa fossero capaci la disciplina e le risorse del popolo romano.
   
2. Interfecto Indutiomaro, ut docuimus, ad eius propinquos a Treveris imperium defertur. Illi finitimos Germanos sollicitare et pecuniam polliceri non desistunt. Cum ab proximis impetrare non possent, ulteriores temptant. Inventis nonnullis civitatibus iureiurando inter se confirmant obsidibusque de pecunia cavent: Ambiorigem sibi societate et foedere adiungunt. Quibus rebus cognitis Caesar, cum undique bellum parari videret, Nervios, Aduatucos ac Menapios adiunctis Cisrhenanis omnibus Germanis esse in armis, Senones ad imperatum non venire et cum Carnutibus finitimisque civitatibus consilia communicare, a Treveris Germanos crebris legationibus sollicitari, maturius sibi de bello cogitandum putavit. 2. Morto Induziomaro così come abbiamo detto, i Treviri conferirono il comando ad alcuni membri della sua famiglia, che non cessarono di sobillare le popolazioni germaniche confinanti con la promessa di danaro. Non riuscendo a raggiungere il loro scopo con le popolazioni vicine, tentano con quelle più lontane. Un certo numero di queste acconsente: si legano reciprocamente con solenne giuramento e scambiano ostaggi come garanzia dei compensi pattuiti; con Ambiorige stringono un patto di alleanza. Cesare, informato del complotto, vedendo che si facevano ovunque preparativi di guerra, che i Nervi, gli Atuatuci, i Menapi insieme a tutti i Germani cisrenani erano in armi, che i Senoni non obbedivano alla sua convocazione e coinvolgevano nel loro piano i Carmiti  con le popolazioni confinanti, e che i Treviri inviavano in continuazione messi per sollecitare l'intervento dei Germani, ritenne di dover dare inizio alla campagna di guerra prima del solito.
   
3. Itaque nondum hieme confecta proximis quattuor coactis legionibus de improviso in fines Nerviorum contendit et, priusquam illi aut convenire aut profugere possent, magno pecoris atque hominum numero capto atque ea praeda militibus concessa vastatisque agris in deditionem venire atque obsides sibi dare coegit. Eo celeriter confecto negotio rursus in hiberna legiones reduxit. Concilio Galliae primo vere, ut instituerat, indicto, cum reliqui praeter Senones, Carnutes Treverosque venissent, initium belli ac defectionis hoc esse arbitratus, ut omnia postponere videretur, concilium Lutetiam Parisiorum transfert. Confines erant hi Senonibus civitatemque patrum memoria coniunxerant, sed ab hoc consilio afuisse existimabantur. Hac re pro suggestu pronuntiata eodem die cum legionibus in Senones proficiscitur magnisque itineribus eo pervenit. 3. Quindi, senza aspettare la fine dell'inverno , radunate le quattro legioni più vicine, marcio improvvisamente contro i Nervi e, prima che questi avessero la possibilità di radunarsi o fuggire, catturato un gran numero di uomini e capi di bestiame, preda che concesse ai soldati, saccheggiati i loro campi, li costrinse ad arrendersi e a consegnargli ostaggi. Liquidata rapidamente la questione, ricondusse le legioni nei quartieri d'inverno. All'inizio della primavera, secondo quanto aveva istituito, Cesare indisse l'assemblea generale delle nazioni galliche, alla quale parteciparono tutti tranne i Senoni, i Carnuti e i Treviri. Ritenendo che questo fosse un chiaro segno di defezione e di ostilità, affinché fosse evidente che questo problema veniva anteposto a qualsiasi altro, trasferì l'assemblea a Lutezia, città dei Parisi. Era questo un popolo confinante con i Senoni, con i quali un tempo aveva formato un solo Stato, ma si riteneva che fossero estranei al complotto. Annunciato dalla tribuna il cambiamento di sede, Cesare si dirige il giorno stesso nel paese dei Senoni dove giunge a marce forzate.
   
4. Cognito eius adventu Acco, qui princeps eius consili fuerat, iubet in oppida multitudinem convenire. Conantibus, priusquam id effici posset, adesse Romanos nuntiatur. Necessario sententia desistunt legatosque deprecandi causa ad Caesarem mittunt: adeunt per Aeduos, quorum antiquitus erat in fide civitas. Libenter Caesar petentibus Aeduis dat veniam excusationemque accipit, quod aestivum tempus instantis belli, non quaestionis esse arbitrabatur. Obsidibus imperatis centum hos Aeduis custodiendos tradit. Eodem Carnutes legatos obsidesque mittunt usi deprecatoribus Renis, quorum erant in clientela: eadem ferunt responsa. Peragit concilium Caesar equitesque imperat civitatibus. 4. Alla notizia del suo arrivo, Accone, che era stato il principale fautore della rivolta, ordina alla popolazione di radunarsi nei villaggi fortificati. Mentre l'operazione era in corso, viene annunciato l'arrivo dei Romani. Non resta loro che rinunciare al progetto e inviare ambasciatori a Cesare per implorarne il perdono con l'intercessione degli Edui, sotto la cui protezione la nazione si trovava da tempo. Grazie all'intervento degli Edui, Cesare li perdona di buon grado e accetta le loro scuse, ritenendo che la stagione estiva dovesse essere impiegata per la guerra imminente e non per condurre un'inchiesta. Ordina che gli vengano consegnati cento ostaggi, che affida alla custodia degli Edui. Anche i Carnuti inviano ambascerie ed ostaggi con l'intercessione dei Remi, dei quali erano clienti, ottenendo la stessa risposta. Cesare chiude l'assemblea e ordina alle nazioni di fornirgli i contingenti di cavalleria.
   
5. Hac parte Galliae pacata totus et mente et animo in bellum Treverorum et Ambiorigis insistit. Cavarinum cum equitatu Senonum secum proficisci iubet, ne quis aut ex huius iracundia aut ex eo, quod meruerat, odio civitatis motus exsistat. His rebus constitutis, quod pro explorato habebat Ambiorigem proelio non esse concertaturum, reliqua eius consilia animo circumspiciebat. Erant Menapii propinqui Eburonum finibus, perpetuis paludibus silvisque muniti, qui uni ex Gallia de pace ad Caesarem legatos numquam miserant. Cum his esse hospitium Ambiorigi sciebat; item per Treveros venisse Germanis in amicitiam cognoverat. Haec prius illi detrahenda auxilia existimabat quam ipsum bello lacesseret, ne desperata salute aut se in Menapios abderet aut cum Transrhenanis congredi cogeretur. Hoc inito consilio totius exercitus impedimenta ad Labienum in Treveros mittit duasque legiones ad eum proficisci iubet; ipse cum legionibus expeditis quinque in Menapios proficiscitur. Illi nulla coacta manu loci praesidio freti in silvas paludesque confugiunt suaque eodem conferunt. 5. Pacificata questa parte della Gallia, Cesare si impegna totalmente nella guerra contro i Treviri ed Ambiorige. Ordina a Cavarino di seguirlo con la cavalleria dei Senoni, per evitare che nascesse qualche sommossa a causa del suo carattere iracondo e dell'odio che si era guadagnato da parte dei suo popolo. Stabilito ciò, poiché era sicuro che Ambiorige non avrebbe attaccato, Cesare cercava di individuare quali altre soluzioni gli rimanessero. Accanto alle terre degli Eburoni erano stanziati i Menapi, in un territorio protetto da una linea continua di paludi e foreste, l'unico popolo della Gallia che non aveva mai inviato a Cesare ambasciatori per chiedere la pace. Sapeva che Ambiorige era con loro in rapporti di ospitalità; sapeva anche che per mezzo dei Treviri era entrato in amicizia con i Germani. Riteneva che, prima di provocarlo in uno scontro aperto, bisognasse sottrargli questi aiuti, per evitare che, messo alle strette, si nascondesse tra i Menapi o fosse costretto a unirsi con i Transrenani. Adotta quindi questo piano: manda presso Labieno, nel paese dei Treviri, le salmerie di tutto l'esercito e dà ordine a due legioni di raggiungerlo, mentre egli stesso, con cinque legioni senza bagagli, marcia sui Menapi. Questi, senza radunare truppe, confidando nella protezione offerta dalla conformazione naturale del loro territorio, si rifugiano nelle foreste e nelle paludi, portando con sé ogni loro avere.