VII. Il lupo al cane


Quanto sia dolce la libertà, brevemente esporrò.
Un lupo consunto dalla magrezza s’imbattè per caso
in un cane ben pasciuto; poi, salutatisi scambievolmente
come si fermarono, “Come risplendi così, prego?”
O con che cibo facesti tanto di corporatura?
Io, che sono lungamente più forte, muoio di fame.”
Il cane semplicemente: “C’è la stessa condizione per te,
se puoi offrire al padrone lo stesso compito.”
”Quale?” dice lui. “Che sia guardia della soglia,
difenda anche di notte la casa dai ladri.
Vien offerto in più il pane, dalla sua mensa
il padrone dà le ossa; la servitù getta bocconi,
e quel companatico che uno rifiuta.
Così senza fatica il mio ventre si riempie.”
”Io allora sono pronto: ora patisco nevi e piogge
tirando una vita dura nei boschi.
Quanto miè più facile vivere sotto un tetto,
e saziarsi di cibo abbondante.”
”Vieni dunque con me.” Mentre avanzano, il lupo
vede al cane il collo rovinato dalla catena.
”Come mai questo, amico?” “E’ niente”. “Ebbene, dillo, se vuoi.” “Poiché sembro cattivo, talvolta mi legano,
perché riposi con la luce e vegli, quando sia giunta la notte:
liberato al crepuscolo, vago dove mi è parso”.
”Su, si a volte c’è voglia di andare, c’è libertà?”
”Non c’è davvero” dice. “Godi le cose che lodi, cane;
non voglio regnare, per non esser libero per me.”