Percorro remote regioni delle Pieridi, ove nessuno prima impresse orma. Godo
ad appressarmi alle fonti intatte e bere, e godo a cogliere nuovi fiori e
comporre per il mio capo una corona gloriosa, di cui prima a nessuno le Muse
abbiano velato le tempie; anzitutto perché grandi cose io insegno, e
cerco di sciogliere l'animo dagli stretti nodi della superstizione; poi
perché su oscura materia compongo versi tanto luminosi, tutto cospargendo col
fascino delle Muse. Infatti anche questo appare non privo di ragione; ma,
come i medici, quando cercano di dare ai fanciulli il ripugnante assenzio,
prima gli orli, tutt'attorno al bicchiere, cospargono col dolce e biondo
liquore del miele, perché nell'imprevidenza della loro età i fanciulli siano
ingannati, non oltre le labbra, e intanto bevano interamente
l'amara bevanda dell'assenzio e dall'inganno non ricevano danno, ma al
contrario in tal modo risanati riacquistino vigore; così io ora, poiché
questa dottrina per lo più pare troppo ostica a coloro che non l'hanno
coltivata, e il volgo rifugge lontano da essa, ho voluto esporti la nostra
dottrina col canto delle Pieridi che suona soave, e quasi cospargerla col
dolce miele delle Muse, per provare se per caso potessi in tal modo
tenere avvinto il tuo animo ai miei versi, finché comprendi tutta la
natura e senti a fondo il vantaggio. E, poiché ho insegnato quale sia la
natura dell'animo e di quali elementi costituita viva in unione col
corpo e in che modo, una volta divisa, torni ai primi principi, ora
comincerò a dirti ciò che con queste cose è connesso strettamente: esistono
quelli che chiamiamo simulacri delle cose; i quali, come membrane strappate
dalla superficie delle cose, volteggiano qua e là per l'aria; e sono essi
stessi che atterriscono gli animi, presentandosi a noi, sia mentre
vegliamo, sia nel sonno, quando spesso osserviamo figure strane e spettri di
gente che ha perduto la luce della vita, i quali spesso, mentre languivamo
addormentati, paurosamente ci svegliarono: perché non crediamo, per caso, che
le anime fuggano dall'Acheronte o che le ombre volteggino tra i viventi o
che qualcosa di noi possa durare dopo la morte, quando il corpo e la natura
dell'animo insieme disfatti si sono disgregati nei loro diversi principi
primi. Dico dunque che immagini delle cose e tenui figure sono emesse
dalle cose e si staccano dalla loro superficie. Ciò si può conoscere di qui,
anche con mente ottusa. [Ma, poiché ho insegnato quali siano i principi di
tutte le cose e quanto differenti per varietà di forme spontaneamente
volteggino, stimolati da moto eterno, e in che modo da questi si possa
produrre ogni cosa, ora comincerò a dirti ciò che con queste cose è
connesso strettamente: esistono quelli che chiamiamo simulacri delle
cose, cui si può dare quasi il nome di membrane o di corteccia, poiché
l'immagine presenta aspetto e forma simile all'oggetto, qualunque sia, dal
cui corpo essa appare emanata per vagare.] Anzitutto, poiché molte tra le
cose visibili emettono corpi, in parte liberamente diffusi, come la legna
emette fumo e il fuoco calore, e in parte più strettamente contesti e densi,
come si vede talora, quando le cicale in estate depongono le fini
tuniche, e quando i vitelli nascendo lasciano cadere membrane dalla
superficie del corpo, e similmente quando la lubrica serpe lascia tra i pruni
la veste: infatti spesso vediamo i pruneti coperti di svolazzanti spoglie di
serpi - poiché tali cose accadono, una tenue immagine deve pure dalle cose
essere emessa, staccarsi dalla superficie delle cose. Infatti, perché cadano
e si scostino dalle cose quegli oggetti piuttosto che altri più sottili, non
è possibile dire; tanto più che le cose hanno in superficie molti
corpi minuti, tali che possono volarne via nello stesso ordine in cui
erano, conservando la forma esteriore, tanto più velocemente, quanto meno
possono essere impediti, pochi come sono, e collocati in prima
linea. Giacché certo vediamo molte cose emettere particelle e spanderle in
abbondanza, non solo dal profondo e dall'intimo, come abbiamo detto
prima, ma anche dalla superficie: e ciò avviene spesso per il loro stesso
colore. E generalmente fanno questo i velari gialli e rossi e color di
ruggine, quando, tesi su grandi teatri, oscillano e fluttuano, spiegati
ovunque tra pali e travi: ivi infatti colorano sotto di sé il pubblico delle
gradinate e tutto lo sfoggio della scena ‹e la splendida folla dei
senatori›, e li costringono a fluttuare nei loro colori. E quanto più sono
chiuse, tutt'intorno, le pareti del teatro, tanto più ciò che è dentro,
soffuso di grazia, ride tutto nella raccolta luce del giorno. Dunque, se
le tele emettono dalla superficie il colore, ogni oggetto deve anche emettere
immagini tenui, poiché in ambo i casi è dalla superficie che avviene il
lancio. Ci sono dunque, senz'altro, sicure tracce di forme, che dovunque
volteggiano fornite di un sottile tessuto, né si possono vedere separate ad
una ad una. Inoltre, ogni odore, fumo, calore e altre cose consimili,
perciò traboccano dalle cose, disperdendosi, perché, venendo dalle
profondità, al cui interno son sorti, si scindono nel cammino sinuoso, né le
vie hanno varchi diretti per cui possano affrettarsi a uscire insieme, dopo
esser insieme sorti. Per contro, quando vien lanciata la tenue membrana d'un
colore che si trova alla superficie, non c'è nulla che possa
lacerarla, perché, collocata in prima linea, ha sgombro il
cammino. Infine, tutti i simulacri che ci appaiono negli
specchi, nell'acqua e in ogni superficie risplendente, giacché sono dotati
di aspetto simile alle cose, devono consistere di immagini emesse da
queste. Ci sono dunque tenui immagini delle forme, simili ad esse, che,
sebbene nessuno le possa discernere ad una ad una, tuttavia, rinviate
indietro con assiduo e frequente riflesso, rimandano dal piano degli specchi
la visione, e si vede che non possono altrimenti conservarsi, in modo che
sian riflesse figure tanto simili a ciascun oggetto. E ora apprendi di che
tenue natura consti l'immagine. E in primo luogo, considera quanto i primi
principi sono al di sotto dei nostri sensi e quanto più piccoli delle
cose che gli occhi primamente cominciano a non potere più scorgere. Ora,
tuttavia, affinché io ti confermi anche questo, apprendi in poche parole
quanto siano sottili i principi di tutte le cose. Anzitutto, già ci sono
alcuni animali talmente piccoli che una terza parte di loro non si può in
alcun modo vedere. Un viscere qualunque di questi, come si deve credere che
sia? E il globo del cuore o dell'occhio? E le membra? E gli arti? Quanto
son piccini? Che dire poi di ciascuno dei primi principi di cui deve constare
la loro anima e la natura dell'animo? Non vedi forse quanto siano sottili e
quanto minuti? Inoltre, tutte le cose che emanano dal proprio corpo un
odore acre, la panacea, il ripugnante assenzio e l'abrotono greve e l'amara
centaurea: se per caso ‹premi› un poco tra due ‹dita› una qualunque di
queste, ‹un forte odore aderirà alle tue dita...› ... e non riconoscere
piuttosto che molti simulacri di cose vagano in molti modi, non dotati di
forza propria e privi di sensibilità? Ma, affinché tu non creda, per caso,
che vadano vagando solo quei simulacri che si distaccano dalle cose, e non
altri, esistono anche quelli che si generano spontaneamente e si formano
da soli in questa regione del cielo che si chiama aria, e foggiati in molti
modi volano in alto, come talora vediamo le nuvole facilmente formarsi
nell'alto del cielo e oscurare il sereno aspetto del
firmamento, accarezzando l'aria col moto: ché spesso si vedono
volare volti di Giganti e spander l'ombra per ampio spazio, talora grandi
monti e macigni divelti dai monti avanzare e passar davanti al sole, poi
una belva tirarsi dietro altri nembi e guidarli. E fondendosi non cessano di
mutare il proprio aspetto e assumere contorni di forme d'ogni specie. Ora,
in che facile e celere modo si generino quei simulacri, e di continuo
fluiscano dalle cose e staccatisi s'allontanino, ‹io esporrò...›
... sempre infatti ciò che è all'estrema superficie trabocca dalle cose,
sì che esse possono emetterlo. E quando ciò raggiunge altre cose, le
attraversa, come fa soprattutto con la stoffa. Ma, quando ha raggiunto aspre
rocce o legname, lì sùbito si lacera, sì che non può rimandare alcun
simulacro. Ma, quando fanno ostacolo oggetti risplendenti e densi, qual è
soprattutto lo specchio, niente di simile accade. Infatti non può
attraversarli, come la stoffa, né d'altra parte può lacerarsi: a conservarlo
così illeso provvede la levigatezza. Perciò avviene che di lì tornino a noi
riflessi i simulacri. E per quanto subitamente, in qualsiasi momento, tu
ponga una cosa qualunque contro uno specchio, appare l'immagine; sì che
puoi conoscere che sempre fluiscono dalla superficie dei corpi tessuti tenui
e tenui figure delle cose. Dunque, molti simulacri in breve tempo si
generano, sì che a ragione può dirsi che per tali cose sia celere il
nascere. E come il sole deve spandere in breve tempo molti raggi perché
continuamente tutto ne sia pieno, così dalle cose, parimenti e per simile
ragione, devono in un istante effondersi molti simulacri di cose, in molti
modi, da ogni parte, in tutte le direzioni; giacché, ovunque volgiamo alle
superfici delle cose lo specchio, le cose vi si riflettono con simile forma e
colore. Inoltre, il cielo, anche se fu or ora in uno stato di estrema
limpidezza, con la massima celerità diventa orridamente torbido, sì che
potresti credere che da ogni parte le tenebre abbiano tutte lasciato
l'Acheronte e abbiano riempito le grandi caverne del cielo: a tal punto,
sorta la tetra notte dei nembi, incombono dall'alto volti di cupa paura; e
tuttavia, di questi quanto piccola parte sia l'immagine, non c'è alcuno che
possa dirlo, né a parole renderne conto. E ora, con che celere moto procedano
i simulacri e quale mobilità nell'attraversare a nuoto l'aria sia ad essi
data, sì che in lungo tragitto si consuma breve tempo, quale che sia il
luogo a cui ciascuno con diverso impulso tende, esporrò in versi soavi
piuttosto che numerosi; così il breve canto del cigno è migliore di quel
clamore delle gru disperso tra le eteree nubi dell'Austro. Anzitutto,
molto spesso si può vedere che le cose leggere e fatte di corpi minuti sono
celeri. Di tale specie sono, certo, la luce del sole e il suo
calore perché sono fatti di elementi minuti, che vengono quasi battuti e
non esitano ad attraversare l'aria interposta, incalzati dal colpo
susseguente. Sùbito infatti luce succede a luce e, come in
serie ininterrotta, splendore è stimolato da splendore. Perciò bisogna che
i simulacri parimenti possano trascorrere in un istante attraverso uno
spazio inimmaginabile, anzitutto perché c'è una piccola causa lontano, da
tergo, che li sospinge e li caccia innanzi, quando, del resto, essi procedono
con tanto alata levità; poi perché vengono emessi dotati di un tessuto così
rado che posson penetrare facilmente in cose di qualunque tipo e, per così
dire, infiltrarsi attraverso l'aria interposta. Inoltre, se quelle particelle
che son mandate fuori dalle intime profondità delle cose, come la luce e
il calore del sole, in un momento si vedono staccarsi e diffondersi per tutto
lo spazio del cielo e volare su per il mare e le terre e inondare il
cielo, che avverrà allora di quelle che son già pronte in prima
linea, quando vengono lanciate via e nulla ne ritarda il dipartirsi? Non
vedi quanto più presto e più lontano debbono andare, e correre attraverso una
distesa di spazio molto più grande, nel tempo stesso in cui i raggi del sole
si spandono per il cielo? Anche questa sembra essere una prova sopra tutte
vera del celere moto con cui procedono i simulacri delle cose: appena si
pone sotto il cielo sereno un'acqua limpida, sùbito, se il cielo è stellato,
puri rispondono nell'acqua i raggianti astri del firmamento. Non vedi,
dunque, ormai come in un istante l'immagine cada dalle plaghe dell'etere
nelle plaghe terrene? Perciò, ancora e ancora, devi riconoscere che con
mirabile ‹rapidità sono emessi dalle cose› corpi che feriscono gli occhi e
provocano il vedere. E continuamente fluiscono da certe cose gli
odori; come il fresco dai fiumi, il calore dal sole, dalle onde del
mare l'esalazione che corrode i muri intorno alle spiagge. Né cessano
varie voci di volteggiare per l'aria. Ancora, spesso entra nella bocca
un'umidità di sapore salmastro quando camminiamo lungo il mare; e d'altra
parte, quando guardiamo mescolare un infuso d'assenzio, ci punge
l'amaro. A tal punto è vero che da tutte le cose emanazioni d'ogni
tipo fluendo si staccano e da ogni parte si diffondono in tutte le
direzioni, né sosta né requie è mai dato frapporre al fluire, giacché di
continuo i nostri sensi ne sono impressionati, e sempre possiamo vedere ogni
cosa, percepirne odori e suoni. Inoltre, giacché una forma palpata con le
mani nelle tenebre si riconosce in certo modo uguale a quella che si
discerne alla luce e nel luminoso fulgore, da una simile causa devono essere
mossi il tatto e la vista. Ora, dunque, se tastiamo un oggetto quadrato e di
questo riceviamo l'impressione nelle tenebre, nella luce che cosa potrà
offrirsi quadrata allo sguardo, se non la sua immagine? È quindi evidente che
la causa del vedere sta nelle immagini e che senza di queste non può essere
veduta cosa alcuna. Ora, quei simulacri di cui parlo, procedono da ogni
parte e si lanciano e diffondono in ogni direzione. Ma, poiché noi possiamo
vedere soltanto con gli occhi, perciò accade che, ove volgiamo lo sguardo,
ivi tutte le cose gli si fanno incontro e lo colpiscono con la forma e il
colore. E quanto ogni cosa sia da noi distante, è l'immagine che ce lo fa
vedere e procura che lo determiniamo. Infatti, quando viene emessa, sùbito
caccia innanzi e spinge l'aria, quale che sia, che si trova interposta fra
essa e gli occhi, e così questa scorre tutta nel nostro sguardo e quasi
asterge le pupille, e così passa. Perciò accade che vediamo quanto ogni cosa
sia lontana. E quanta più aria è agitata innanzi a noi e quanto più lungo
è il soffio che asterge i nostri occhi, tanto più ogni cosa si vede remota
nella lontananza. Queste cose si svolgono, ben inteso, con celerità
somma, sì che vediamo insieme quale sia ogni cosa e quanto disti. In tale
riguardo non dobbiamo affatto meravigliarci perché i simulacri che colpiscono
gli occhi non possano essere veduti a uno a uno e invece le cose stesse sono
scorte. Giacché, anche quando il vento ci sferza a poco a poco e quando il
freddo aspro s'insinua, non soliamo sentire ogni singola particella di quel
vento e di quel freddo, bensì l'insieme, e vediamo allora che il nostro
corpo subisce colpi proprio come se qualche cosa ci sferzasse e ci desse
la sensazione del suo corpo dall'esterno. Inoltre, quando picchiamo una
pietra con un dito, tocchiamo solo la superficie del sasso e il colore
esteriore, eppure non sentiamo questo col tatto, bensì sentiamo la durezza
stessa del sasso nell'intima profondità. Ora, suvvia, apprendi perché
l'immagine si veda al di là dello specchio: giacché certo appare discosta nel
fondo. Così è delle cose che son vedute realmente fuori, attraverso una
porta, quand'essa offre attraverso a sé una vista aperta, e molte cose fa sì
che dalla casa siano vedute fuori. Giacché anche questa visione si produce
per una duplice aria. Prima infatti si scorge in tal caso l'aria al di qua
degli stipiti, seguono poi gli stessi battenti a destra e a
sinistra, successivamente asterge gli occhi la luce di fuori, poi l'altra
aria e quelle cose che sono vedute realmente fuori. Così, appena l'immagine
dello specchio si è lanciata avanti, mentre viene alle nostre pupille, caccia
innanzi e spinge l'aria, quale che sia, che si trova interposta fra essa e
gli occhi, e fa sì che possiamo sentire tutta questa prima che lo
specchio. Ma, quando abbiamo percepito anche lo specchio stesso, sùbito
l'immagine che da noi procede perviene a questo, e riflessa ritorna verso i
nostri occhi, e sospinge e fa scorrere innanzi a sé altra aria, e fa sì
che vediamo questa prima di lei stessa, e per ciò sembra distare dallo
specchio tanto discosta. Quindi, ancora e ancora, non è giusto che ci si
meravigli ‹che il medesimo fenomeno dell'apparire al di là, avvenga sia
per le cose che si vedono attraverso la porta, sia› per quelle che rimandano
dal piano degli specchi la visione, giacché da duplice aria è prodotta la
cosa in ambo i casi. Ora, quella che per noi è la parte destra delle
membra, negli specchi accade che appaia a sinistra, perché
l'immagine, quando arriva e urta contro il piano dello specchio, non si
volta girando su sé stessa e restando inalterata, ma è rovesciata dritta,
come se uno sbatta una maschera di creta, prima che sia asciutta, contro un
pilastro o una trave, ed essa conservi immediatamente dritta di fronte la
propria figura e riproduca sé stessa rovesciata indietro. Accadrà che
quell'occhio che prima era destro, ora sia sinistro, e reciprocamente il
sinistro diventi destro. Anche accade che da specchio a specchio si trasmetta
l'immagine, sì che sogliono prodursi anche cinque ‹o› sei
simulacri. Infatti quanti oggetti saranno nascosti là dietro, in una parte
più interna, di lì, benché remoti in fondo ad un tortuoso
andirivieni, sarà possibile tirarli fuori tutti per serpeggianti
passaggi mediante più specchi e vedere che sono dentro la casa. Tanto è
vero che di specchio in specchio si riflette l'immagine e, quando è stata
porta la sinistra, accade poi che si muti in destra, quindi ritorna di nuovo
indietro e riprende la stessa posizione. Anzi, tutti gli specchi che hanno
facce laterali dotate di una curvatura simile a quella dei nostri
fianchi, per questo ci rimandano i simulacri senza rivoltarli, o perché
l'immagine è trasmessa da una parte all'altra dello specchio e di lì vola
verso di noi rovesciata due volte, o anche perché l'immagine, quando è
arrivata, fa un giro su sé stessa per questa cagione, che la curva forma
dello specchio le insegna di volgersi in giro verso di noi. Può sembrarti,
per di più, che i simulacri camminino di pari passo e posino il piede insieme
con noi e imitino i nostri gesti, perché da quella parte dello specchio da
cui ti ritiri, sùbito di lì non possono riflettersi i simulacri; giacché
la natura costringe tutte le cose a riflettersi e rimbalzare dalle cose,
rimandate indietro con angoli eguali. Gli occhi, poi, rifuggono le cose
splendenti e evitano di fissarle. Il sole finanche acceca, se continui a
tendere lo sguardo contro di esso, perché grande è la sua forza, e
dall'alto attraverso l'aria pura pesantemente i simulacri piombano e
feriscono gli occhi perturbandone le compagini. Inoltre ogni splendore che è
penetrante, sovente brucia gli occhi perché contiene molti semi di
fuoco, che negli occhi producono dolore insinuandosi. Giallastre inoltre
diventano tutte le cose che fissano gli itterici, perché dal corpo di questi
fluiscono molti semi di color giallastro e vanno a incontrare i
simulacri delle cose, e molti sono per di più mescolati nei loro occhi e
con il loro contatto dipingono ogni oggetto di pallore. E dall'oscurità
vediamo le cose che sono nella luce perché, quando la nera aria della
caligine, che è più vicina, è entrata per prima negli occhi aperti e li ha
occupati, la segue sùbito una raggiante aria luminosa che, per così dire,
li purga e spazza via le nere ombre dell'altra aria; infatti quest'aria è
molte volte più mobile e molte più minuta e più possente. Appena essa ha
riempito di luce le vie degli occhi e ha dischiuso quelle che prima aveva
invase l'aria ‹nera›, senza indugio seguono i simulacri delle cose che si
trovano nella luce e ci stimolano a vedere. Per contro non possiamo far ciò
dalla luce nell'oscurità perché l'aria della caligine, che è più
spessa, segue seconda ed empie tutti i canali e invade le vie degli occhi,
sì che nessun simulacro delle cose può lanciarsi in essi e stimolarli. E
quando vediamo da lungi le quadrate torri d'una città, per ciò spesso avviene
che sembrino rotonde, perché di lontano ogni angolo si vede ottuso o
piuttosto non si vede affatto e se ne perde il colpo, né la percossa perviene
alle nostre pupille, perché, mentre i simulacri viaggiano per molta
aria, coi frequenti scontri l'aria la costringe ad ottundersi. Quando
perciò tutti gli angoli sono insieme sfuggiti al senso, accade che le
strutture di pietra appaiano come lavorate al tornio, non tuttavia come
quelle che son davanti a noi e davvero rotonde, ma paiono un po' somiglianti
come per vago adombramento. Similmente l'ombra sembra a noi che nel sole si
muova e che segua i nostri passi ed imiti i gesti: se tu credi possibile
che aria privata di luce cammini, seguendo i movimenti e i gesti degli
uomini; in effetti non può essere altro che aria priva di luce ciò che noi
siamo soliti chiamare ombra. Certo perché il suolo vien privato della luce
del sole in certi luoghi successivamente, dovunque noi movendoci la
intercettiamo, e similmente se ne riempie quella sua parte che abbiamo
lasciata, perciò accade che quella che fu poc'anzi l'ombra del nostro corpo,
sembri averci sempre seguiti identica, in linea dritta con noi. Sempre
infatti nuovi raggi luminosi si spandono e i precedenti svaniscono, come se
si fili lana entro una fiamma. Perciò facilmente la terra e si spoglia di
luce e ugualmente se ne riempie e si deterge le nere ombre. Né tuttavia
concediamo che qui gli occhi s'ingannino in nulla. Giacché vedere in quale
luogo sia la luce e in quale l'ombra, è loro proprietà; ma se sia o non sia
la stessa luce, e se la stessa ombra che fu qui, passi ora là, o piuttosto
accada ciò che abbiamo detto poc'anzi, questo deve discernerlo soltanto il
ragionare della mente, né possono gli occhi conoscere la natura delle
cose. Dunque non attribuire falsamente agli occhi questo errore della
mente. La nave da cui siamo trasportati, si muove, mentre sembra star
ferma; quella che rimane immobile all'ormeggio, si crede che proceda
oltre. E sembra che a poppa fuggano colline e pianure oltre le quali
conduciamo la nave e con le vele voliamo. Gli astri sembrano tutti restare
immobili, fissi alle eteree cavità, e tuttavia son tutti in assiduo
movimento, giacché, dopo esser sorti, rivedono i lontani tramonti, quando
hanno percorso il cielo col loro corpo lucente. E il sole e la luna parimenti
sembra che rimangano immobili, essi che il fatto stesso mostra in
movimento. E monti che s'innalzano lontano in mezzo alle onde, tra i quali
si apre libero un vasto passaggio alle flotte, sembrano tuttavia fare,
congiunti tra loro, un'unica isola. Ai fanciulli, quando hanno smesso di fare
il girotondo essi stessi, paiono gli atri girare e rigirare, e le
colonne correre intorno, a tal punto che a stento allora essi
possono credere che non minacci la casa tutta di crollare sopra di loro. E
ancora, quando la natura comincia a levare in alto il rosso fulgore del sole
coi suoi tremuli fuochi e a innalzarlo sopra i monti, quei monti, sopra i
quali a te allora sembra stia il sole, toccandoli esso stesso da vicino,
ardente, col suo fuoco, distano da noi appena duemila tiri di
freccia, anzi spesso appena cinquecento lanci di giavellotto: tra essi e
il sole giacciono le smisurate distese del mare, che si estendono sotto le
immense plaghe eteree, e sono interposte molte migliaia di terre, in cui
dimorano varie genti e razze di fiere. Ma una pozzanghera d'acqua non più
profonda d'un dito, che tra le pietre stagna per le vie lastricate, offre
una vista che tanto a fondo sotterra s'inabissa quanto la profonda voragine
del cielo si stende su dalla terra; sì che ti pare di vedere laggiù le nuvole
e scorgere il cielo, corpi mirabilmente immersi sotterra nel
cielo. Ancora, quando l'ardente cavallo ci si è impuntato in mezzo a un
fiume e guardiamo laggiù, nelle rapide onde della corrente, sembra che una
forza trascini di traverso il corpo del cavallo immoto e rapidamente lo
sospinga contro corrente e, ovunque volgiamo gli occhi, ogni cosa sembra
essere trascinata e fluire come noi. Un portico, ancora, benché sia di
tracciato uniforme e stia da un capo all'altro sorretto su colonne
uguali, tuttavia, se vien guardato da un'estremità per tutta la
lunghezza, a poco a poco si contrae nel vertice di un cono
angusto, congiungendo il tetto al suolo e tutto il lato destro al
sinistro, finché li unisce nell'oscura punta di un cono. In mare accade
che ai naviganti il sole sembri sorgere dalle onde e nelle onde scomparire e
nascondere la luce; ed è naturale, giacché nient'altro che acqua e cielo
vedono; perché tu non creda alla leggera che i sensi cadano in fallo da ogni
lato. E a coloro che non conoscono il mare, nel porto i navigli
sembrano storpiati, con gli aplustri infranti, resistere agli urti delle
onde. Giacché tutta la parte dei remi che sovrasta ai salsi flutti è
diritta, e diritti sono di sopra i timoni. Le parti, invece, che immerse
s'affondano nell'acqua, sembrano, infrante, tutte rivolgersi e, rovesciate
all'indietro, ritornare in su e ritorte quasi fluttuare alla superficie
dell'acqua. E quando per il cielo i venti trasportano rade
nuvole nottetempo, allora gli spendidi astri sembrano scorrere contro i
nembi e andare nell'alto in una direzione di gran lunga diversa da quella in
cui procedono veramente. E se per caso una mano, posta sotto un occhio, di
sotto lo preme, per una certa sensazione accade che tutte le cose che
guardiamo sembrino farsi allora doppie al guardarle, doppie le luci delle
lucerne che fioriscono di fiamme e doppia per tutta la casa farsi la
suppellettile e duplici le facce degli uomini e doppi i corpi. Ancora,
quando il sonno ha avvinto le membra con soave sopore, e il corpo giace tutto
in somma quiete, allora ci sembra tuttavia di vegliare e di muovere le
membra, e nella cieca caligine della notte crediamo di vedere il sole e la
luce del giorno, e nella chiusa camera ci sembra di mutare cielo, mare,
fiumi, monti, e attraversare a piedi pianure, e udire suoni mentre i
severi silenzi della notte perdurano ovunque, e scambiare parole, mentre
taciamo. Altre cose di questa specie, mirabilmente numerose, vediamo, e
tutte tendono quasi a fare scempio della fede nei sensi; invano: perché la
maggior parte di esse inganna per le opinioni della mente che aggiungiamo noi
stessi, sì che cose non vedute dai sensi contano come vedute. Infatti
nulla è più malagevole che distinguere le cose manifeste dalle cose incerte,
che l'animo da sé senz'altro aggiunge. Infine, se taluno crede che non si
sappia nulla, anche questo non sa se si possa sapere, giacché ammette di non
sapere nulla. Contro di lui dunque tralascerò di discutere, perché da sé
stesso si mette col capo al posto dei propri piedi. E tuttavia voglio pure
concedergli che sappia anche ciò; ma gli domanderò soltanto: se nel mondo
egli non ha prima veduto mai nulla di vero, donde sa cosa sia sapere e,
viceversa, non sapere? Quale cosa ha prodotto il concetto di vero e di
falso, e quale cosa ha provato che l'incerto differisce dal
certo? Troverai che il concetto di vero è stato prodotto primamente dai
sensi e che i sensi non possono essere contraddetti. Giacché maggiore
credibilità dev'essere riconosciuta a ciò che di per sé col vero possa
confutare il falso. Ma che cosa si deve giudicare maggiormente
credibile che il senso? Forse, nata da un senso fallace, la ragione varrà
ad oppugnare i sensi, essa che tutta da loro è nata? Se quelli non son
veritieri, anche la ragione diventa tutta falsa. O potranno le orecchie
correggere gli occhi, o il tatto le orecchie? O, d'altronde, questo tatto
sarà convinto d'errore dal gusto della bocca, o lo confuteranno le nari, o
gli occhi lo smentiranno? Non è così, io penso. Giacché ogni senso ha un
potere specialmente distinto, ciascuno ha una facoltà propria, e perciò è
necessario percepire con un senso speciale ciò che è molle e gelido o
infocato, e con un senso speciale i vari colori delle cose, e vedere quanto
ai colori è congiunto. Una speciale facoltà ha pure il gusto della bocca, per
una via speciale sorgono gli odori, per un'altra speciale i suoni. Si
deve perciò concludere che i sensi non possono confutarsi a vicenda. E
neanche potranno correggersi da sé, poiché uguale fiducia si dovrà sempre ad
essi accordare. Quindi ciò che in ogni momento è a questi apparso, è
vero. E se non potrà la ragione discernere la causa per la quale le cose
che da presso erano quadrate, da lontano sembrano rotonde, tuttavia è
preferibile per difetto di ragionamento spiegare erroneamente le cause
dell'una e dell'altra figura, anziché lasciarsi sfuggir via dalle mani cose
manifeste e far violenza alla fede prima e sconvolgere
gl'interi fondamenti su cui poggiano la vita e la salvezza. Non solo,
infatti, la ragione rovinerebbe tutta: anche la stessa vita crollerebbe
all'istante, se tu non osassi fidarti dei sensi ed evitare i precipizi e
tutte le altre cose di questa specie che si devon fuggire, e seguire le cose
che sono contrarie. Concludi dunque che è un vano mucchio di parole
tutto quello che contro i sensi è stato messo insieme e
approntato. Ancora: come in una costruzione, se il regolo al principio è
storto, e se la squadra è fallace ed esce dalle linee dritte, e la livella da
qualche parte zoppica un pochino, inevitabilmente tutto l'edificio riesce
difettoso e piegato, storto, cascante, inclinato in avanti, inclinato
all'indietro e disarmonico, sì che alcune parti sembra vogliano già
precipitare, e tutto precipita, tradito dalle prime misure fallaci, così,
dunque, il ragionare sulle cose deve riuscirti storto e falso, qualora da
falsi sensi sia nato. Ora resta da spiegare in che modo gli altri sensi
percepiscano ciascuno il proprio oggetto, spiegazione per nulla
difficile. Anzitutto, suoni e voci d'ogni specie si odono
quando, insinuandosi nelle orecchie, hanno colpito il senso col loro
corpo. Bisogna infatti riconoscere che anche la voce e il suono hanno
natura ‹corporea›, giacché possono urtare i sensi. D'altronde, la voce
raschia spesso la gola e il grido prorompendo inasprisce la
trachea. Giacché, quando gli elementi delle voci, lanciati in folla
soverchia per l'angusto passaggio, hanno cominciato a uscire,
naturalmente, riempita la gola, vien raschiata anche l'entrata della
bocca. Non è dubbio, dunque, che le voci e le parole constano di elementi
corporei, sì che possono produrre lesioni. E parimenti non ti sfugge quanta
parte di corpo porti via e quanta parte tolga ai nervi e alle forze stesse
degli uomini un discorso continuo, fino all'ombra della nera
notte protratto dal sorgente splendore dell'aurora, soprattutto se viene
emesso con altissimo gridare. Dunque la voce deve constare di elementi
corporei, giacché chi molto parla perde parte del corpo. E l'asprezza
della voce è prodotta dall'asprezza dei primi elementi, e così la levigatezza
viene dalla levigatezza. Né primi elementi di forma simile penetrano le
orecchie, quando una tromba con basso murmure gravemente mugge e col
riecheggiare del suono produce barbara un rauco rimbombo, e quando † ...... †
dell'Elicona levano con lugubre voce un limpido lamento. Queste voci,
dunque, quando dal profondo del nostro corpo le tiriamo e direttamente per la
bocca le mandiamo fuori, le articola la mobile lingua, artefice di
parole, e le foggia per parte sua la conformazione delle labbra. Per
questo, se non è lunga la distanza da cui ognuna di quelle voci parte e
arriva a noi, anche le stesse parole si devono chiaramente udire e
distinguere secondo le articolazioni: ogni voce infatti conserva la
disposizione e conserva la forma. Ma, se lo spazio frapposto è troppo ampio,
di necessità le parole, attraversando molta aria, si confondono e la voce
si perturba nel volare attraverso i venti. Così accade che tu possa sentire
il suono, senza tuttavia distinguere quale sia il senso di quelle
parole: a tal punto la voce arriva confusa e intralciata. Inoltre,
un'unica parola, emessa dalla bocca di un banditore, spesso in un'assemblea
percuote le orecchie di tutti i presenti. In molte voci, dunque, un'unica
voce d'un tratto si spande, se è vero che arriva separata a tutte le singole
orecchie, imprimendo alle parole il suggello della forma e del chiaro
suono. Ma quella parte di voci che non cade nelle orecchie
stesse, passando oltre si perde, diffusa invano per l'aria. Un'altra
parte, urtando contro luoghi occupati da cose compatte, è rimandata indietro
e ci riporta il suono, e talora c'inganna con l'eco d'una parola. Se discerni
bene ciò, puoi spiegare a te stesso e agli altri in che modo per luoghi
solitari le rocce rimandino uguali le forme delle parole, in
ordine, quando cerchiamo i compagni vaganti tra i monti ombrosi, e li
chiamiamo a gran voce, mentre sono sparsi qua e là. Ho veduto luoghi
rimandare anche sei o sette voci, quando ne gettavi solo una: così i colli
stessi, ai colli rinviando le parole, rinnovavano l'eco di ciò che era stato
detto. In questi luoghi gli abitanti delle vicinanze s'immaginano che
risiedano i capripedi Satiri e le Ninfe, e dicono che ci sono i Fauni, e
affermano che dal loro strepito vagante nella notte e dai loro giochi buffi
son rotti spesso i taciturni silenzi, e suoni di corde si levano, e dolci
lamenti, che effonde il flauto toccato dalle dita dei sonatori, e la gente
delle campagne per ampia distesa l'ode, quando Pan, scotendo le fronde di
pino che gli velano il capo semiferino, con il labbro adunco spesso percorre
le cave canne, perché la zampogna non cessi d'effondere la silvestre
armonia. Ogni altro prodigio e portento di tale specie raccontano, perché
non si creda che risiedano in luoghi solitari, abbandonati anche dagli dèi.
Perciò vantano miracoli nei loro discorsi o da qualche altra ragione vi sono
indotti, dal momento che tutto il genere umano è troppo avido di orecchie
intente. Quanto al resto, non c'è da stupire se per quegli stessi luoghi
attraverso cui gli occhi non possono vedere cose palesi, le voci passano e
giungono a colpire le orecchie. Spesso vediamo svolgersi un colloquio anche
attraverso porte chiuse, senza dubbio perché la voce può passare
incolume per i sinuosi meati dei corpi, mentre i simulacri vi si
rifiutano. Infatti si lacerano, se non traversano meati diritti, quali son
quelli del vetro, per cui ogni immagine passa a volo. Inoltre la voce si
propaga in tutte le direzioni perché le voci nascono le une dalle altre una
volta che una, levatasi, si è suddivisa in molte, come spesso una
scintilla di fuoco suole spandersi nelle sue particelle di fuoco. Dunque
s'empiono di voci luoghi nascosti allo sguardo e appartati, che tutti intorno
fervono e sono agitati dal suono. Ma i simulacri procedono tutti per vie
diritte, una volta che sono stati emessi; perciò nessuno può vedere oltre
un recinto, mentre si possono percepire le voci di fuori. E tuttavia questa
voce, anch'essa, mentre passa per i muri ‹delle case›, s'affievolisce e nelle
orecchie penetra confusa, e a noi sembra di udire un suono piuttosto che
parole. Né la lingua e il palato, con cui sentiamo i sapori, richiedono un
po' più di ragionamento o maggiore fatica. Anzitutto, sentiamo il sapore in
bocca, quando spremiamo il cibo masticando, come se uno cominci a
comprimere con la mano e a svuotare una spugna piena d'acqua. Poi ciò che
spremiamo fuori, si spande tutto per i condotti del palato e per i sinuosi
meati della lingua porosa. Perciò, quando sono lisci gli atomi del succo che
cola, soavemente toccano e soavemente titillano tutte le umide volte che
s'inarcano sulla lingua, dintorno trasudanti. Ma per contro, tanto più gli
atomi pungono il senso e con l'assalto lo lacerano, quanto più son pieni
d'asperità. E poi, piacere nasce dal succo entro i confini del palato; ma,
quando giù per le fauci è precipitato, non v'è alcun piacere, mentre si
spande tutto nelle membra. Né importa alcunché con quale vitto il corpo sia
nutrito, purché ciò che ingerisci tu possa digerirlo e spanderlo nelle
membra e conservare nello stomaco un'umidità costante.
|[continua]|
|[LIBRO IV, 2]| Ora darò una spiegazione che ci faccia
capire perché il cibo sia diverso per diversi esseri, e per che ragione ciò
che per gli uni è disgustoso e amaro, possa tuttavia parere dolcissimo ad
altri. E così grandi sono ‹in› tale riguardo la distanza e la
discordanza che ciò che per uno è cibo, per altri è violento veleno. ‹C'è,
per esempio,› un serpente che, toccato da saliva d'uomo, perisce,
distruggendosi da sé, coi propri morsi. Inoltre, per noi l'elleboro è
violento veleno, ma alle capre e alle quaglie accresce l'adipe. Perché tu
possa conoscere per quali cause avvenga questo, anzitutto conviene ricordare
ciò che abbiamo detto prima, cioè che i semi contenuti nelle cose sono misti
in vari modi. D'altro canto, tutti gli esseri animati che ingeriscono
cibo, come sono dissimili esternamente e come, secondo le specie, è
diverso l'esterno contorno delle membra che li racchiude, così sono anche
composti di semi con forme differenti. E poiché sono differenti i semi,
devono differire gl'intervalli e i canali, che chiamiamo meati, in tutte
le membra e nella bocca e nello stesso palato. Più piccoli devono dunque
essere alcuni, più grandi altri; per alcune specie devono essere triangolari,
per altre quadrati, molti rotondi, alcuni con molti angoli disposti in molti
modi. Infatti, come esigono la combinazione delle forme e i movimenti,
così devono differire le forme dei meati e variare i canali secondo il
tessuto che li racchiude. Per questo, quando ciò che è dolce per gli uni,
agli altri diventa amaro, a quello per cui è dolce atomi sommamente lisci
devono carezzevolmente entrare nei condotti del palato, mentre, d'altronde, a
quelli cui la stessa cosa è dentro acerba, certo atomi ruvidi e uncinati
penetrano le fauci. Ora è facile in base a questi fatti intendere ogni
cosa. Così, quando qualcuno è stato assalito dalla febbre per eccesso di
bile, o da un'altra causa è stata suscitata qualche violenza di malattia,
allora l'intero corpo è turbato, allora tutte sono alterate le positure degli
atomi; avviene che corpi che prima si confacevano al senso, ora non si
confacciano, e siano più congrui altri, che posson penetrare e produrre una
sensazione acerba. Ambedue le specie sono infatti commiste nel sapore del
miele; ciò che già sopra ti abbiamo dimostrato spesso prima d'ora. E ora
dirò come l'odore s'accosti e tocchi le nari. Anzitutto, devono esserci molte
cose da cui fluendo si svolge il vario flutto degli odori, e bisogna
credere che ovunque fluisca e si lanci e si sparga; ma ad alcuni esseri
viventi è più congruo un odore, ad altri un altro, per la diversità delle
forme. E così attraverso l'aria le api sono attirate dall'odore del miele,
benché sia lontano, e gli avvoltoi dai cadaveri. E ovunque il biforcuto
zoccolo delle bestie selvagge abbia volto il passo, l'impeto dei
cani sguinzagliati ci conduce; e di lontano l'odore dell'uomo è colto col
fiuto dalla candida oca, salvatrice della rocca dei figli di Romolo. Così i
vari odori assegnati ai vari corpi conducono ognuno al proprio cibo e lo
costringono a tirarsi indietro per fuggire il repellente veleno, e in tal
modo si conservano le specie delle fiere. Di questi stessi odori, dunque, che
stimolano le nostre nari, taluno può propagarsi più lontano di un
altro; ma tuttavia nessun odore va tanto lontano quanto il suono, quanto
la voce, e tralascio di dire: quanto i corpi che feriscono le pupille e
provocano il vedere. Vagando, infatti, l'odore viene lentamente e svanisce
troppo presto, inconsistente dissolvendosi a poco a poco tra i
venti; prima, perché, venendo dal profondo, è emesso a stento dalla
cosa: infatti, che gli odori fluiscano e si stacchino dall'interno delle
cose, lo dimostra il fatto che da tutte le cose il profumo ci giunge più
forte quando esse sono spezzate, quando sono triturate, quando sono sciolte
dal fuoco; e poi, si può vedere che l'odore è composto di elementi più grandi
che quelli della voce, poiché non penetra attraverso le pareti di pietra, per
cui la voce e il suono comunemente passano. Per questo anche vedrai che non è
tanto facile scoprire in quale luogo sia posto l'oggetto che manda
odore. Si raffredda infatti l'impulso indugiando per l'aria, né al senso
accorrono caldi i messaggi dei corpi. Perciò i cani spesso errano e vanno in
cerca delle tracce. Né tuttavia ciò avviene soltanto per gli odori e i
sapori, ma ugualmente gli aspetti e i colori delle cose non si confanno tutti
ai sensi di tutti, sì che alcuni non siano troppo aspri alla vista di
certuni. Anzi, al gallo, che suole, sbattendo le ali per cacciar via la
notte, chiamare l'aurora con voce squillante, i rabbiosi leoni non possono
stare di fronte e fissarlo: tanto pensano immediatamente a fuggire, senza
dubbio perché nel corpo dei galli ci sono certi semi, che, quando sono spinti
dentro gli occhi dei leoni, trafiggono le pupille e provocano un dolore
acuto, sì che questi, malgrado la ferocia, non possono resistervi; mentre
tuttavia tali semi non possono ledere in nulla le nostre pupille, o perché
non vi penetrano o perché, pur penetrandovi, è data ad essi una libera uscita
dagli occhi, sì che non possono, nel trattenervisi, ledere in alcuna parte la
vista. Ora ascolta, suvvia, quali cose muovano l'animo e apprendi in poche
parole donde vengano le cose che vengono nella mente. Anzitutto questo io
dico, che molti simulacri di cose in molti modi vagano da ogni parte in tutte
le direzioni, e son sottili, e facilmente si congiungono tra loro
nell'aria, quando s'incontrano, come ragnatele e foglie d'oro. E infatti
questi simulacri sono di tessuto molto più sottile, in confronto a quelli che
occupano gli occhi e provocano il vedere, poiché questi penetrano per i pori
del corpo e dentro destano la sottile natura dell'animo e ne provocano la
sensibilità. E così vediamo Centauri e membra di Scille e canine facce di
Cerberi e i simulacri di coloro che sono morti e di cui la terra abbraccia le
ossa; poiché simulacri d'ogni genere si muovono in ogni dove, e parte
nascono spontaneamente nell'aria stessa, parte son quelli che in qualche modo
si staccano dalle varie cose e quelli che son fatti dal comporsi delle figure
di questi. Ché certo non viene da cosa viva l'immagine del
Centauro, poiché non è mai esistita la natura d'un tale essere
vivente, ma, quando le immagini d'un cavallo e d'un uomo per
caso s'incontrano, sùbito facilmente aderiscono, come abbiamo detto prima,
per la loro sottile natura e il tenue tessuto. Tutte le altre cose di questo
genere si producono allo stesso modo. E quando si muovono rapidamente con
somma levità, come prima ho mostrato, facilmente con un solo colpo una
qualsiasi sottile immagine commuove l'animo nostro; tenue infatti è la mente
e mirabilmente mobile anch'essa. Che queste cose avvengano come dico,
facilmente puoi conoscere da questo: dal momento che l'uno è simile
all'altro, ciò che vediamo con la mente e ciò che vediamo con gli occhi, in
simile modo devono avvenire. Ora, dunque, poiché ho chiarito che io
vedo, ad esempio, un leone mediante simulacri, quelli che colpiscono gli
occhi, si può intendere che la mente in modo simile è mossa mediante
simulacri di leoni ‹e› di tutte le altre cose che vede, né più, né meno che
gli occhi, ma distingue simulacri più tenui. E, quando il sonno ha rilassato
le membra, la facoltà intellettiva dell'animo resta sveglia solo perché ci
colpiscono l'animo questi medesimi simulacri della veglia, a tal grado che
effettivamente crediamo di vedere colui che, lasciata la vita, è ormai preda
della morte e della terra. Perciò la natura fa avvenire questo, perché
tutti i sensi del corpo ottusi riposano nelle membra, né possono confutare
il falso col vero. Inoltre la memoria è inattiva e langue in sopore, né
discorda obiettando che è morto e trapassato già da tempo colui che la mente
crede di veder vivo. Quanto al resto, non è sorprendente che i simulacri si
muovano e in cadenza agitino le braccia e le altre membra. Infatti accade
che nei sogni l'immagine sembri far questo, giacché, quando la prima è
sparita e quindi un'altra è nata in altra positura, sembra allora che la
prima abbia mutato gesto. Senza dubbio si deve pensare che ciò avvenga in
modo celere: tanta è la mobilità, tanta la moltitudine delle immagini, e
tanta è l'abbondanza delle particelle in un qualunque minimo tempo
percettibile, che può bastare all'effetto. E a questo proposito molte domande
si pongono e molti fatti dobbiamo chiarire, se vogliamo esporre appieno le
cose. Si chiede anzitutto perché, quando a chiunque sia venuto il
capriccio di pensar qualcosa, sùbito la mente pensi proprio quella. Forse i
simulacri sono attenti al nostro volere e, appena noi vogliamo, accorre a noi
l'immagine, se il mare, se la terra ci sta a cuore, o infine il
cielo? Radunanze d'uomini, una processione, conviti, battaglie, ogni cosa
la natura crea e appronta a una nostra parola? E questo benché, nella stessa
regione e nello stesso luogo, la mente d'altri pensi ogni sorta di cose molto
dissimili. Che dire poi, quando in sogno vediamo simulacri
avanzare ritmicamente e muovere le flessibili membra, quando alternamente
slanciano celeri le flessibili braccia e ripetono il gesto col piede che
s'accorda agli occhi? Certo sono imbevuti d'arte i simulacri e addestrati
vagano, sì che possono offrire rappresentazioni nelle ore notturne. O non
sarà piuttosto vero ciò? Poiché in un singolo momento in cui sentiamo, cioè
in cui viene emessa una singola voce, si celano molti momenti, che la ragione
scopre esistenti, perciò accade che in qualsiasi momento simulacri d'ogni
tipo siano a disposizione e pronti in tutti i vari luoghi: tanta è la
mobilità, tanta la moltitudine delle immagini. Perciò, quando la prima è
morta e quindi un'altra è nata in altra positura, pare allora che la prima
abbia mutato gesto. E poiché sono sottili, l'animo non può discernere
distinte se non quelle che cerca di cogliere; quindi tutte quelle che ci
sono oltre ad esse, vanno perdute, tranne quelle cui l'animo s'è
preparato. Esso, d'altra parte, si prepara e s'aspetta che gli accada di
vedere ciò che segue a ogni positura dell'immagine; quindi ciò
avviene. Non vedi che anche gli occhi, quando s'accingono a scorgere cose
che sono sottili, si tendono con sforzo e si preparano, né senza ciò può
accadere che discerniamo distintamente? E tuttavia, anche nel caso di cose
manifeste, puoi osservare che, se non volgi ad esse la mente, è come se
tutto il tempo la cosa fosse distante e di gran lunga remota. Perché,
dunque, meravigliarsi, se l'animo perde tutte le altre cose, tranne quelle
alle quali esso è intento? E poi da piccoli segni procediamo alle congetture
più vaste e ci irretiamo noi stessi nell'inganno che ci illude. Accade
anche talora che non sussegua un'immagine dello stesso genere, ma quella che
prima era una donna, sembri starci accanto divenuta uomo sotto i nostri
occhi, oppure si seguano facce ed età differenti. Ma il sonno e l'oblio
fanno sì che non ce ne stupiamo. A tale proposito desideriamo vivamente che
tu fugga un vizioso ragionamento, e con grande cautela eviti l'errore di
credere che il chiaro lume degli occhi sia stato creato affinché possiamo
vedere, e che le estremità delle gambe e delle cosce fondate sui piedi
possano piegarsi per questo, affinché siamo in grado di avanzare a lunghi
passi, e ancora, che gli avambracci siano attaccati alle forti braccia e
ci siano state date le mani per servirci ‹dall'›una e l'altra parte, affinché
possiamo fare ciò che abbisogna per la vita. Tutte le interpretazioni di
questo genere mettono il prima al posto del dopo con ragionare
stravolto, poiché nessuna cosa è nata nel corpo per questo, affinché
potessimo usarne, ma ciò che è nato crea esso l'uso. Né esistette la vista
prima che nascessero gli occhi, né il dire con parole prima che la lingua
fosse creata, ma piuttosto la nascita della lingua precedette di molto la
favella, e le orecchie furono create molto prima che si udisse il suono, e,
in breve, tutte le membra esistettero, io credo, prima che esistesse il loro
uso. Non poterono quindi crescere per il fine dell'uso. Ma, al contrario,
venire alle mani nella zuffa della battaglia e lacerar membra e insozzare di
sangue il corpo furono molto prima che volassero i lucidi dardi, e la
natura costrinse a evitare la ferita prima che il braccio sinistro opponesse
la difesa dello scudo foggiato dall'arte. E senza dubbio l'abbandonare al
riposo il corpo stanco è molto più antico che il letto dai morbidi
materassi, e il placare la sete nacque prima delle coppe. Si può dunque
credere che siano state inventate per l'uso queste cose che sono state
scoperte secondo i bisogni della vita. Ma stanno a parte tutte quelle cose
che, nate prima esse stesse, dettero poi la nozione della loro utilità. Di
tale genere vediamo anzitutto i sensi e le membra; quindi, ancora e ancora,
non ti è possibile credere che abbiano potuto esser creati per adempiere
l'utile funzione. Di questo, ugualmente, non ci si deve stupire, che il
corpo d'ogni vivente cerca il cibo per impulso della propria natura. E
infatti ho insegnato che molti corpi fluiscono via e si staccano dalle cose
in molti modi, ma più numerosi se ne devono staccare dagli animali. Poiché
‹questi› sono travagliati dal movimento, e molti corpi vanno via col sudore,
spremuti dal profondo, molti sono esalati per la bocca, quando essi
infiacchiti anelano, per tali motivi, dunque, si dirada il corpo e si
strema tutta la loro natura; e a ciò segue il dolore. Perciò si prende il
cibo, affinché sorregga le membra e distribuito ricrei le forze, e per
membra e per vene sazi l'avido desiderio di nutrimento. Ugualmente l'umore
si spande in tutte quelle parti che richiedono umore; e i molti corpi di
calore raccolti, che nel nostro stomaco producono un incendio, li dissipa
al suo arrivo il liquido e li spegne come fuoco, affinché l'arido calore non
possa più ardere le membra. Così dunque, vedi, la sete anelante si
deterge dal nostro corpo, così si appaga l'affamata brama. Ora dirò come
avviene che possiamo avanzare coi nostri passi quando vogliamo, e che ci sia
dato muover le membra in vari modi, e quale forza sia solita spingere innanzi
questo gran peso del nostro corpo: tu ascolta attentamente le mie
parole. Dico che dapprima simulacri di movimento giungono al nostro animo
e lo impressionano, come abbiamo già detto. Quindi nasce il volere; e infatti
nessuno comincia a fare qualcosa prima ‹che› la mente preveda quello che
vuole fare. E di quello che essa prevede, esiste un'immagine. Dunque,
quando l'animo si muove sì che vuole andare e procedere, sùbito sprona la
forza dell'anima che è disseminata in tutto il corpo per membra e
giunture; e ciò è facile a farsi, poiché all'animo è strettamente
congiunta. Poi essa sprona a sua volta il corpo, e così tutta la massa a
poco a poco è spinta innanzi e si muove. Inoltre, allora si dirada anche il
corpo, e l'aria (come naturalmente deve, giacché sempre è di mobile
natura) arriva attraverso le aperture e penetra nei fori in abbondanza, e
così si sparge qua e là, fino a tutte le parti minute del corpo. Allora,
dunque, avviene che il corpo sia mosso da due cause, operanti da una parte e
dall'altra, come una nave spinta dai remi e dal vento. Né tuttavia in ciò fa
meraviglia che corpuscoli tanto piccoli possano dirigere un corpo tanto
grande e voltare attorno tutto il nostro peso. E infatti il vento, tenue per
la sottile sua materia, muove e spinge una grande nave di grande massa, e
un'unica mano la guida, con qualunque rapidità proceda, e un unico timone la
dirige ovunque piaccia; e per mezzo di carrucole e di ruote una macchina
sposta e solleva molte cose di grande peso con uno sforzo lieve. In quali
modi il sonno diffonda la quiete per le membra e sciolga dal petto le
inquietudini dell'animo, ora esporrò in versi soavi piuttosto che
numerosi; così il breve canto del cigno è migliore di quel clamore delle
gru disperso tra le eteree nubi dell'austro. Tu prestami fini orecchie e
animo sagace, affinché non neghi che possa avvenire ciò che dico e non ti
scosti da me con petto che respinge e scaccia le parole veritiere, mentre
proprio tu sei in errore e non riesci a discernere. Anzitutto, il sonno si
produce quando la forza dell'anima è dispersa per le membra, e una parte,
scacciata fuori, è andata via, un'altra, stipata dentro, si è ritratta più
nel profondo. Infatti, proprio allora le membra si rilassano e sono
cascanti. Giacché non v'è dubbio che per opera dell'anima esiste in noi
questo senso; quando il sonno gl'impedisce di esistere, dobbiamo credere che
allora l'anima sia stata perturbata e scacciata fuori; tuttavia, non tutta:
altrimenti il corpo giacerebbe penetrato dall'eterno freddo della morte. E
infatti, se nessuna parte dell'anima rimanesse celata nelle membra, come si
cela il fuoco sepolto sotto molta cenere, donde potrebbe il senso
riaccendersi d'un tratto nelle membra, come da fuoco invisibile può risorgere
la fiamma? Ma spiegherò per quali fattori si produca questo nuovo stato e
per quale causa possa perturbarsi l'anima e languire il corpo: tu fa' che io
non disperda ai venti le parole. Anzitutto, è inevitabile che dalla parte
esterna il corpo, poiché da vicino è toccato dai soffi dell'aria, venga
urtato e picchiato dai frequenti colpi di questa; e perciò quasi tutti i
corpi sono coperti o di cuoio o anche di conchiglie o di callo o di
scorza. Anche la parte interna degli esseri che respirano è sferzata da
questa stessa aria, quando viene inspirata ed espirata. Perciò, essendo il
corpo battuto da entrambi i lati ed arrivando i colpi, attraverso i piccoli
pori, fino alle prime parti e agli elementi primi del nostro
corpo, avviene a poco a poco in noi per le membra quasi un crollo. Si
sconvolgono infatti le positure degli atomi del corpo e dell'animo. Avviene
quindi che una parte dell'anima sia scacciata fuori e una parte si ritragga e
si celi nell'interno, un'altra parte, dispersa per le membra, non possa
restare in sé connessa, né scambiare movimenti; la natura infatti
impedisce gli incontri e sbarra le vie; così, mutati i movimenti, il senso si
ritira nel profondo. E poiché non v'è nulla che quasi sorregga le
giunture, diventa debole il corpo e languiscono tutte le membra, cadono le
braccia e le palpebre, e i ginocchi, anche se si è coricati, spesso si
piegano e rilassano le loro forze. Ancora, il sonno segue al pasto, perché i
medesimi effetti dell'aria li produce anche il cibo, mentre in tutte le
vene si diffonde. E molto più di ogni altro è pesante quel sopore che ti
prende se sei sazio o stanco, perché più numerosi elementi allora si
sconvolgono, travagliati dal grande sforzo. Parimenti avvengono un più
profondo stiparsi di parte dell'anima e una più larga espulsione di un'altra
parte all'esterno, mentre all'interno essa è in sé stessa più divisa e
dispersa. E l'attività alla quale ognuno di solito è attaccato e
attende, o gli oggetti sui quali molto ci siamo prima intrattenuti e
nell'occuparsi dei quali è stata più intenta la mente, in questi stessi per
lo più nei sogni ci pare d'essere impegnati: gli avvocati credono di perorare
cause e confrontare leggi, i generali di combattere e di impegnarsi nella
battaglia, i naviganti di sostenere la lotta ingaggiata coi venti, e noi
di compiere quest'opera e d'investigare sempre la natura e scoprirla ed
esporla in pagine scritte nella lingua dei padri. Così tutte le altre
attività e arti per lo più paiono nei sogni tenere prigionieri di fallaci
immagini gli animi degli uomini. E chiunque per molti giorni continuamente fu
presente e attento agli spettacoli, per lo più vediamo che, quando ha
ormai cessato di percepirli coi sensi, conserva tuttavia aperte nella sua
mente altre vie, per le quali possono entrare i medesimi simulacri. E così
per molti giorni quelle stesse immagini si presentano davanti ai suoi occhi,
sì che anche da sveglio crede di veder persone che danzano e muovono le
flessibili membra, e di percepire con le orecchie il limpido canto della
cetra e la voce delle corde, e di vedere gli stessi spettatori e, insieme,
lo splendere dei vari ornamenti della scena. Tanto grande è l'importanza
della passione e del piacere e delle occupazioni consuete, non solo per
gli uomini, ma anche per tutti gli animali. Vedrai infatti forti cavalli, le
cui membra giaceranno distese, tuttavia irrorarsi di sudore nel sonno e ansar
senza posa e tender le forze all'estremo, quasi fossero in gara per la
vittoria, o le sbarre fossero state aperte † ...... † E spesso i cani dei
cacciatori, pur mollemente addormentati, tuttavia dimenano d'improvviso le
zampe e emettono d'un tratto latrati e aspirano frequentemente con le nari
l'aria, come se avessero scoperto tracce di fiere e le seguissero; e
spesso, essendosi svegliati, inseguono vane immagini di cervi, quasiché li
vedessero lanciati nella fuga, finché, dissipati gli errori, ritornano in
sé. Ma la carezzevole prole dei cuccioli, avvezza a vita domestica, in
fretta scuote via e solleva da terra il corpo, quasiché vedesse figure e
facce ignote. E quanto più una razza è feroce, tanto più nel sonno essa
deve infuriare. Ma i variopinti uccelli fuggon via e, sbattendo le
ali, d'un tratto turbano durante la notte i boschi sacri, se nel dolce
sonno sembrò loro di vedere sparvieri dare battaglia e far zuffa
perseguitandoli a volo. Inoltre le menti degli uomini, che con grandi
movimenti producono grandi cose, spesso nei sogni le fanno e le svolgono
parimenti: i re espugnano, son fatti prigionieri, si gettano nella
mischia, emettono grida come se fossero scannati in quel punto
stesso. Molti lottano all'ultimo sangue e mandano gemiti di dolore e, come
se fossero dilaniati dai morsi d'una pantera o d'un feroce leone, riempiono
tutto di grandi grida. Molti nel sonno parlano di cose gravi, e così
parecchi denunziarono proprie colpe. Molti affrontano la morte. Molti, come
se da alti monti precipitassero a terra con tutto il peso del corpo, sono
sconvolti dalla paura e, destandosi, come mentecatti a stento tornano in sé,
perturbati dal rimescolìo del corpo. Similmente, un assetato si siede presso
un corso d'acqua o un'amena sorgente e con le fauci ingoia quasi tutto il
fiume. Spesso persone pudiche, se avvinte dal sonno credono di sollevare
la veste davanti a una latrina o a un vaso da notte, spandono il liquido
filtrato attraverso tutto il corpo, e le coperte babilonesi, dal magnifico
splendore, ne sono bagnate. E a quelli cui pei canali adolescenti la prima
volta s'insinua il seme, quel giorno stesso della maturazione che l'ha
prodotto nelle membra, arrivano di fuori simulacri emessi da vari
corpi, nunzi di uno splendido volto e di un bel colorito, che stimola ed
eccita le parti turgide di molto seme, sì che spesso, come se tutto avessero
compiuto, spandono larghi fiotti di liquido e imbrattano la veste. Si
agita ‹in› noi questo seme, di cui ho parlato prima, appena l'adolescenza
rafforza le membra. Giacché diverse cause eccitano e provocano diversi
oggetti: dall'uomo, solo l'attrattiva dell'uomo fa scaturire il seme
umano. E appena questo, emesso dalle sue sedi, esce, attraverso le membra
e le giunture si ritira da tutto il corpo, raccogliendosi in determinate
regioni nervose, e immediatamente eccita proprio gli organi genitali. Le
parti stimolate inturgidiscono di seme e nasce la voglia di emetterlo là
verso dove è protesa la furente brama, e il corpo cerca quello da cui la
mente è ferita d'amore. Giacché tutti solitamente cadono sulla ferita, e il
sangue spiccia in quella direzione da cui è giunto il colpo e, se il
nemico è vicino, il rosso liquido lo copre. Così, dunque, chi riceve i colpi
dai dardi di Venere, lo trafigga un fanciullo di membra femminee o una
donna che da tutto il corpo irraggi amore, tende verso là donde è ferito, e
anela a congiungersi, e in quel corpo spandere l'umore tratto dal
corpo. Ché il muto desiderio presagisce il piacere. Questa è Venere per
noi; e di qui viene il nome di amore, di qui quella goccia della dolcezza di
Venere stillò prima nel cuore, e le susseguì il gelido affanno. Infatti,
se è assente l'oggetto del tuo amore, son tuttavia presenti le sue immagini,
e il dolce nome non abbandona le tue orecchie. Ma conviene fuggire quelle
immagini e respingere via da sé ciò che alimenta l'amore e volgere la mente
ad altro oggetto e spandere in altri corpi, quali che siano, l'umore
raccolto, e non trattenerlo essendo rivolto una volta per sempre
all'amore d'una persona sola, e così riservare a sé stesso affanno e sicuro
dolore. Giacché la piaga s'inacerbisce e incancrenisce, a nutrirla, e di
giorno in giorno la follia aumenta e la sofferenza s'aggrava, se non scacci
con nuove piaghe le prime ferite, e non le curi vagando con Venere vagabonda
mentre sono ancora fresche, o trovi modo di rivolgere altrove i moti
dell'animo. Né dei frutti di Venere è privo colui che evita l'amore, ma
piuttosto coglie le gioie che sono senza pena. Giacché certo agli assennati
ne viene un piacere più puro che ai malati d'amore. Infatti nel momento
stesso del possedere fluttua ed erra incerto l'ardore degli amanti, né
sanno che cosa debbano prima godere con gli occhi e le mani. Quel che
hanno desiderato, lo premono strettamente, e fanno male al corpo, e spesso
infiggono i denti nelle labbra, e urtano bocca con bocca nei baci, perché non
è puro il piacere e assilli occulti li stimolano a ferire l'oggetto
stesso, quale che sia, da cui sorgono quei germi di furore. Ma lievemente
attenua le pene Venere nell'atto di amore e il carezzevole piacere, commisto,
raffrena i morsi. Giacché in ciò è la speranza: che dallo stesso corpo da
cui è nato l'ardore, possa anche essere estinta la fiamma. Ma la natura
oppone che ciò avviene tutto al contrario; e questa è l'unica cosa per cui,
quanto più ne possediamo, tanto più il petto riarde d'una crudele
brama. Difatti cibo e bevanda sono assorbiti dentro le membra; e poiché
possono occupare determinate parti, perciò la sete e la fame si saziano
facilmente. Ma di una faccia umana e di un bel colorito nulla, di cui si
possa godere, penetra nel corpo, tranne tenui simulacri, che spesso
trascinano la mente con una misera speranza. Come quando in sogno un assetato
cerca di bere e non gli è data bevanda che nelle membra possa estinguere
l'arsura, ma a simulacri di acque aspira e invano si travaglia e in mezzo
a un fiume impetuoso bevendo patisce la sete, così in amore Venere con
simulacri illude gli amanti, né possono saziare i propri corpi contemplando
corpi pur vicini, né sono in grado di strappar via qualcosa dalle tenere
membra con le mani errando incerti su per tutto il corpo. E quando,
alfine, congiunte le membra, si godono il fiore di giovinezza, quando il
corpo già presagisce il piacere, e Venere è sul punto di effondere il seme
nel femmineo campo, s'avvinghiano avidamente al corpo e mischiano le
salive bocca a bocca, e ansano, premendo coi denti le labbra; ma invano;
perché non possono strapparne nulla, né penetrare e perdersi nell'altro corpo
con tutto il corpo; infatti sembra talora che vogliano farlo e che per questo
lottino: tanto ardentemente si tengono avvinti nelle strette di
Venere, finché le membra si sciolgono, sfinite dalla forza del
piacere. Infine, quando il desiderio costretto nei nervi ha trovato
sfogo, segue una piccola pausa dell'ardore violento, per poco. Quindi
torna la stessa rabbia, e di nuovo li invade quel furore, quando essi stessi
non sanno ciò che bramano ottenere, né sono in grado di trovare che mezzo
possa vincere quel male: in tanta incertezza si consumano per una piaga
nascosta. Aggiungi che sciupano le forze e si struggono nel
travaglio; aggiungi che si trascorre la vita al cenno di un'altra
persona. Son trascurati i doveri, e ne soffre il buon nome e
vacilla. Frattanto il patrimonio si dilegua, e si converte in
profumi babilonesi, e bei sandali di Sicione ai piedi ridono, s'intende, e
grandi smeraldi con la verde luce sono incastonati nell'oro, e la veste color
di mare è consunta assiduamente, e maltrattata beve il sudore di Venere; e
i beni ben guadagnati dai padri diventano bende, diademi, talora si cangiano
in un mantello femminile e in tessuti di Alinda e di Ceo. S'apparecchiano
conviti con splendide tovaglie e vivande, giochi, coppe senza risparmio,
unguenti, corone, serti, ma invano, perché di mezzo alla fonte delle
delizie sorge qualcosa di amaro che pur tra i fiori angoscia, o quando per
caso l'animo conscio s'angustia per il rimorso d'una vita trascorsa
nell'inerzia e perduta nelle orge, o perché lei ha lanciato, lasciandone in
dubbio il senso, una parola, che confitta nel cuore appassionato divampa come
fuoco, o perché gli sembra che troppo lei occhieggi o che il suo
sguardo sia attratto da un altro, e nel suo volto vede le tracce d'un
sorriso. E questi mali si trovano in un amore che dura ed è felice al più
alto grado; ma, se è infelice e senza speranza, ci sono mali che puoi
cogliere anche ad occhi chiusi, innumerevoli; sì che è meglio stare prima
all'erta, come ho insegnato, e guardarsi dall'essere adescati. Difatti
evitare di cadere nei lacci d'amore non è così difficile come districarsi,
una volta presi in mezzo alle reti, e forzare i possenti nodi di Venere. E
tuttavia, anche avviluppato e inceppato, potresti sfuggire all'insidia, se
proprio tu non opponessi ostacoli a te stesso, e non ti celassi in primo
luogo tutti i difetti dell'animo o quelli del corpo di colei che prediligi e
desideri. Questo infatti fanno per lo più gli uomini ciechi di passione, e
attribuiscono alle amate pregi ch'esse non posseggono davvero. Così vediamo
che donne in molti modi deformi e laide sono adorate e godono del più alto
onore. E poi s'irridono a vicenda, e l'uno invita l'altro a
placare Venere, perché lo affligge un brutto amore, e spesso non scorge,
l'infelice, i propri mali, che sono i più grandi. La nera "ha il colore del
miele", la sudicia e fetida è "disadorna", se ha occhi verdastri è
"l'immagine di Pallade", se è nervosa e secca è "una gazzella", la
piccoletta, la nanerottola, è "una delle Grazie", è "tutta puro sale", la
corpulenta e smisurata è "un prodigio" ed è "piena di maestà". La
balbuziente, che non può parlare, "cinguetta", la muta è "pudica"; e
l'irruente, odiosa, linguacciuta è "tutta fuoco". Diventa "un sottile
amorino", quando non può vivere per la consunzione; se poi è già morta di
tosse, è "delicata". E la turgida e popputa è "Cerere stessa dopo aver
partorito Bacco", la camusa è "una Silena" e "una Satira", la labbrona è "un
bacio". Troppo mi dilungherei, se tentassi di dire tutte le altre cose di
questa specie. Ma tuttavia sia pure bella in volto quanto vuoi, sia tale che
da tutte le sue membra promani il potere di Venere: certo ce ne sono anche
altre; certo senza di lei siamo vissuti per l'addietro, certo ella fa in
tutto, e noi sappiamo che le fa, le stesse cose che fa la brutta, e da sé
stessa, misera, s'appesta di odori nauseanti: fuggono allora le ancelle
lontano da lei e furtivamente sghignazzano. Ma l'amante escluso, piangendo,
spesso copre di fiori e ghirlande la soglia, e profuma di maggiorana la
porta superba, e addolorato imprime baci sui battenti; ma se, alfine
ricevuto, lo investisse nell'entrare una sola di quelle esalazioni,
cercherebbe speciosi pretesti per andar via, e cadrebbe il lamento, a lungo
meditato, ripreso da lontano, e in quel punto egli si taccerebbe di
stoltezza, perché vedrebbe d'avere attribuito a lei più di quanto conviene
concedere a una mortale. Né questo sfugge alle nostre Veneri; perciò tanto
più esse celano con la massima cura tutti i retroscena della vita a
costoro che vogliono tenere saldamente avvinti nei vincoli d'amore, ma
invano, perché tu con la mente hai pur sempre il potere di trarli tutti alla
luce e di scrutare tutto ciò che può essere oggetto di riso, e, se lei è di
animo amabile e non è odiosa, a tua volta puoi lasciar correre ‹e› perdonare
all'umana limitatezza. Né sempre di finto amore sospira la donna,
quando, abbracciando il corpo dell'amante, col proprio corpo lo
congiunge, e lo tiene avvinto, dando umidi baci sulle labbra che
sugge. Difatti spesso lo fa di cuore e, cercando condivisi piaceri, lo
stimola a raggiungere la meta dell'amore. Non potrebbero altrimenti gli
uccelli, gli armenti e le fiere e le greggi e le cavalle sottomettersi ai
maschi, se la stessa natura loro non entrasse in calore, non ardesse
traboccando e non rispondesse con gioia alla Venere di quelli che dan loro
l'assalto. Non vedi anche come quelli che vicendevole piacere ha avvinti,
spesso nei legami comuni si travagliano? Quanto spesso nei trivi i cani,
anelando a distaccarsi, bramosamente tirano con tutte le forze in direzioni
opposte, mentre restano tuttavia stretti nei possenti lacci di
Venere! Questo non lo farebbero mai, se non conoscessero mutui
piaceri, capaci di farli cadere nella rete e tenerli avvinti. Dunque,
ancora e ancora, come dico, il piacere è condiviso. E quando, nel
frammischiarsi dei semi, per avventura la femmina con sùbita forza ha vinto e
travolto la forza del maschio, allora i figli nascono simili alle madri per
effetto del seme materno, come ai padri per il seme paterno. Ma quelli che
vedi partecipi d'ambedue gli aspetti, mescolare, l'uno accosto
all'altro, i volti dei genitori, crescono dal corpo paterno e dal sangue
materno, quando il concorde, mutuo ardore ha spinto a incontrarsi i semi
eccitati per le membra dagli stimoli di Venere, e nessuno dei due ha vinto,
né è stato vinto. Avviene anche talora che possano nascere figli simili agli
avi, e spesso riproducano gli aspetti dei bisavoli, perché spesso i
genitori celano nel proprio corpo molti principi mescolati in molti modi,
che, provenienti dal ceppo originario, son trasmessi da padri ad altri
padri: così Venere con varia sorte forma gli aspetti e riproduce i volti e
le voci e i capelli degli antenati; giacché questi sono creati in noi ‹da›
semi determinati, non meno che le facce e i corpi e le membra. E figlie
femmine sorgono dal seme paterno e maschi nascono plasmati dal corpo
materno. Sempre infatti il parto è prodotto da duplice seme, e quello dei
due cui più rassomiglia chi vien procreato, è lui che ha dato la parte più
grande; come puoi scorgere, si tratti di maschio rampollo o di prole
femminile. Né divine potenze rifiutano ad alcuno il seme
generativo, perché non venga mai chiamato padre dai dolci nati e in
sterili amori trascorra l'esistenza; come credono sovente gli uomini, e mesti
cospargono di molto sangue le are e bruciano offerte sugli altari, perché
possano far gravide le mogli con seme abbondante. Invano affaticano la
potenza degli dèi e gli oracoli. Giacché sterili sono, parte a causa di seme
troppo denso, altri, per contro, perché il seme è liquido e sottile più del
giusto. Il sottile, poiché non può fissare la sua aderenza alle
parti, sùbito scorre via e torna indietro senza fecondare. Il seme troppo
denso, inoltre, poiché per quegli altri nell'emissione è più tenace del
giusto, o non vola via con lancio abbastanza lungo, o non può penetrare
egualmente nelle parti, o, sebbene sia penetrato, si mescola a stento col
seme femminile. Si vede infatti che molto differiscono le armonie di
Venere. E alcuni più fan pregne alcune donne, e da altri meglio altre
accolgono il peso e diventano gravide. E molte furono per l'addietro sterili
in più matrimoni e tuttavia alfine trovarono l'uomo dal quale
poterono generare fanciullini e arricchirsi di dolce parto. E spesso anche
per uomini, cui prima nella casa le mogli, benché feconde, non avevano potuto
partorire, fu trovata la natura confacente, sì che poterono munire di figli
la vecchiaia. A tal punto importa che i semi possano mischiarsi coi semi
in un modo atto alla generazione, e che i densi s'uniscano coi liquidi e i
liquidi coi densi. E in ciò ha importanza con quale vitto la vita si
sostenti; e infatti per alcuni cibi s'ingrossano i semi nelle membra e per
altri, al contrario, si assottigliano e si struggono. E in quali modi si goda
lo stesso carezzevole piacere, è anche cosa di grande importanza; difatti si
crede per lo più che nella positura delle fiere e alla maniera dei quadrupedi
le mogli concepiscano meglio, perché così i semi possono raggiungere le
proprie sedi, quando il petto è chinato e son sollevati i fianchi. Né le
mogli han punto bisogno di movimenti voluttuosi. Giacché la donna s'impedisce
di concepire e contrasta, se godendo risponde essa stessa con le anche alla
Venere dell'uomo e con tutto il petto che s'agita flessuoso provoca il
fiotto: infatti scosta il solco dal retto percorso del vomere e svia dalle
sue sedi il getto del seme. E così son solite agitarsi le meretrici per
propria utilità, per non essere fatte pregne sovente e giacer gravide, e
insieme perché l'atto stesso di Venere sia agli uomini più grato; ma di ciò è
evidente che le nostre spose non hanno bisogno. E non avviene per volere
divino talora o per le saette di Venere che una donnetta di aspetto meno
leggiadro sia amata. Giacché la donna stessa talvolta, col suo fare e coi
modi compiacenti e col corpo finemente curato, riesce ad avvezzar‹ti›
facilmente a trascorrere la vita con lei. Del resto, la consuetudine fa
nascere l'amore; giacché ciò che è percosso da colpi continui, benché
lievi, tuttavia in lungo tratto di tempo è vinto e cede. Non vedi come
anche le gocce d'acqua che cadono sopra le rocce, in lungo tratto di tempo
bucano le rocce?